Anno XXIII, 1981, Numero 3-4, Pagina 188
LA STANDARDIZZAZIONE DEGLI ARMAMENTI
INEUROPA*
Gli Stati membri dell’Alleanza dell’Atlantico del Nord spendono ogni anno somme enormi per equipaggiamenti militari. All’interno di tale spesa vi sono doppioni di rilevante ammontare in merito alla ricerca e sviluppo di nuove armi. Si è calcolato, ad esempio, che i 2.600 milioni di dollari USA spesi per ricerca e sviluppo nell’Europa occidentale nel 1974-75 erano già coperti dai 7.600 milioni di dollari USA spesi dagli Stati Uniti per attività similari durante lo stesso periodo. Tali doppioni non soltanto producono enormi perdite finanziarie, ma danno anche luogo ad una inefficace e pericolosa molteplicità di diversi tipi di armi, con le stesse caratteristiche, adottate dalle Forze armate dei paesi dell’Europa occidentale. A causa della mancanza di una politica industriale dell’Europa occidentale nel settore degli armamenti, i singoli Stati stanno ottenendo troppo poco in materia di difesa per il danaro speso o stanno pagando di gran lunga troppo ciò che ottengono.
Per vari anni, diverse organizzazioni internazionali, quali la stessa NATO a livello atlantico, l’Unione dell’Europa occidentale, l’Eurogruppo e il Gruppo indipendente per il programma europeo, hanno tentato di razionalizzare il persistente sistema o «non sistema» di duplicazione e di sprechi. Ma a nessuno di questi organismi sono stati concessi, da parte dei loro governi, i poteri necessari per vincere gli acquisiti interessi nazionali. Anno dopo anno sono corsi fiumi di inchiostro, sono state approvate risoluzioni ammirabili e del tutto ragionevoli, ma quasi nulla è mutato.
Potrebbe esservi una facile soluzione al problema della razionalizzazione dell’approvvigionamento di armamenti dell’Occidente. Esso consisterebbe nell’acquisto da parte dei membri dell’Alleanza dell’Atlantico del Nord degli stessi aeroplani, cannoni e carri armati da uno stesso gruppo di costruttori. Però, cosa ciò implicherebbe? Con quasi assoluta certezza che qualsiasi importante contratto nell’essenziale settore industriale della produzione di armamenti verrebbe ottenuto dalle gigantesche industrie americane. La razionalizzazione e la standardizzazione non possono essere comprate a tale prezzo, poiché con ciò si ucciderebbe il settore della tecnologia industriale avanzata in Europa — così strettamente collegato con l’industria degli armamenti — e si renderebbero disoccupate enormi masse di lavoratori industriali dell’Europa occidentale, aggravando in modo del tutto inaccettabile l’attuale situazione di disoccupazione. Ciò renderebbe anche l’Europa occidentale completamente dipendente dagli Stati Uniti per i suoi equipaggiamenti militari, con gravi rischi così per la sua indipendenza politica. Tanto il governo americano che i governi dell’Europa occidentale che fanno parte dell’Alleanza si sono resi conto di tale problema. Essi si sono accordati sul concetto della «strada a due corsie» secondo il quale l’Europa occidentale esporterebbe significanti quantitativi di armamenti verso gli Stati Uniti acquistando nel contempo armi americane. Ciò implicherebbe un uso delle risorse più razionale ed efficiente ed aumenterebbe la standardizzazione dei sistemi di arma. Il governo americano ha tuttavia ben chiarito di non essere interessato all’acquisto di equipaggiamenti militari europei che non corrispondano alle sue necessità militari o che possano essere prodotti negli Stati Uniti a più buon mercato.
Ma dal momento dell’accettazione del concetto della strada a due corsie avvenuto nel 1975, e nonostante un certo numero di accordi bilaterali e trilaterali conclusi da singoli Stati dell’Europa occidentale per lo sviluppo e la produzione di armamenti, l’Europa occidentale non ha sfruttato l’opportunità di organizzare il terminale europeo della strada a due corsie.
In una relazione che ho redatto per la commissione politica del Parlamento europeo e che è stata adottata dal Parlamento nel giugno 1978, ho tentato di enunziare nuove idee che potrebbero permettere agli Stati membri della Comunità europea di sottrarsi alla loro situazione di frustrazione e stagnazione. Gli inizi sarebbero abbastanza semplici. Se, come primo passo verso di essa, le istituzioni della Comunità europea potessero imbrigliare ed unificare l’enorme, ma frammentario e suddiviso, potenziale dei costruttori europei di armi nel contesto di una politica industriale comune, questo contesto politico ed istituzionale potrebbe dare una risposta e porre un termine alle divisioni distruttive che ci hanno afflitto per così lungo tempo. La proposta fatta con la risoluzione del Parlamento europeo che accompagnava la mia relazione era di «invitare la Commissione CEE a presentare a breve scadenza al Consiglio, quale elemento della politica industriale comune, un programma d’azione europeo per la messa a punto e la produzione di armamenti convenzionali».
Tra le proposte che io ho fatto nelle conclusioni della mia relazione vi erano quelle riguardanti la creazione di un segretariato permanente del GIEP (di cui sono membri la Francia oltre che altri membri europeo-occidentali dell’Alleanza) che verrebbe a costituire, nella sua nuova forma, la parte più sostanziale dell’Agenzia europea per l’approvvigionamento degli armamenti. Da parte sua, la Comunità europea potrebbe sviluppare gli aspetti industriali e commerciali della cooperazione europea nell’approvvigionamento degli armamenti con l’aiuto di tutte le risorse istituzionali e finanziarie disponibili a tale scopo. Inoltre, la Comunità dovrebbe essere rappresentata, a fianco dei governi, alle riunioni del GIEP. La Comunità sarebbe così in grado di operare come un’entità nell’ambito della nuova Agenzia europea per l’approvvigionamento di armamenti. A nome dell’Agenzia, la Commissione rappresenterebbe l’Europa e negozierebbe per essa nel dialogo con gli Stati Uniti in merito alla strada a doppia corsia, particolarmente per quel che riguarda le condizioni commerciali che reggeranno il commercio transatlantico degli armamenti.
È possibile che il principale contributo del GIEP nel contesto dell’Agenzia sia quello di assumere decisioni vincolanti riguardanti il tipo di armi, e le loro specifiche, che devono essere sviluppate o acquistate sotto gli auspici dell’Agenzia. Infine, il finanziamento comunitario dovrebbe essere in grado di sviluppare l’industria europea degli armamenti in settori specifici quali quello della costruzione aeronautica e navale o quello dell’elettronica.
Desidero a questo punto chiarire bene la precisa natura della mia proposta. Io non propongo che la Comunità in quanto tale diventi in qualche modo responsabile della fissazione dei criteri o delle norme riguardanti nuove armi o gli equipaggiamenti militari. Questo compito rimarrebbe sempre nelle competenze delle autorità militari che preciserebbero, per mezzo del GIEP, o in altro modo, nel contesto generale dell’Agenzia, le esatte necessità e le esatte specifiche degli equipaggiamenti militari che sono necessari. Le autorità militari costituiranno quindi, come è logico, il «richiedente» o «il cliente ». Il ruolo della Comunità europea sarà limitato al puro e semplice compito organizzativo e strutturale di far sì che l’industria europea risponda in modo coerente e coordinato alle richieste che nel settore le verranno esposte dai clienti militari che sono le forze armate degli Stati membri.
Un’impostazione di questo genere è la sola che permetterà all’industria europea degli armamenti di tener duro nei confronti della sua controparte americana, in modo da poter evitare di essere costretta a «comprare americano», come nel caso del F-16, ogni volta che nuovi essenziali sistemi di arma devono essere acquistati.
La relazione è stata osteggiata nella commissione politica del Parlamento e nelle discussioni del giugno 1978 per un certo numero di motivi rispettabili ma fuorvianti. In primo luogo è stato sostenuto che stavo trascinando la Comunità al di là dei limiti dei Trattati nei reami delle questioni di sicurezza e di difesa. Benché non si possa in alcun modo negare che gli armamenti sono strettamente correlati alla sicurezza e alla difesa, un attento studio delle mie proposte dimostrerà, in maniera palese, che, per quel che riguarda la Comunità, esse sono limitate allo sviluppo di una politica industriale comunitaria, di cui la Comunità necessita da lungo tempo, ma per porre in essere la quale si è fatto così poco. Sono stato anche attaccato per incoraggiamento alla proliferazione degli armamenti. Il mio pensiero è ben lungi da ciò. La mia preoccupazione è quella di razionalizzare la produzione degli armamenti e di ridurre così le attuali sovrapposizioni e le dispendiose duplicazioni delle limitate risorse disponibili per la ricerca e lo sviluppo. Inoltre, non sottolineerò mai abbastanza che le mie proposte, se adottate, renderebbero molto più difficoltoso di quello che non sia al presente, per i fabbricanti di armamenti senza scrupoli, di vendere armi a regimi antidemocratici e politicamente riprovevoli. La spiegazione di questo è assai semplice. Dal momento che i governi vengono coinvolti nella supervisione della produzione e della vendita di armamenti, su base collettiva, diventa ovvio che le pressioni politiche e morali che verranno esercitate saranno molto più rigorose che nell’attuale situazione completamente incontrollata. Dopo l’approvazione della mia relazione da parte del Parlamento e la promessa fatta dalla Commissione nel giugno 1978 di agire secondo le sue indicazioni, alcune critiche sono state sollevate da membri del governo e del parlamento francesi nel senso che il Parlamento europeo e la Commissione avrebbero ecceduto le loro competenze nell’assumere tale posizione. La situazione non sta per niente in questi termini, in quanto, come ho chiarito più sopra, le mie proposte riguardano essenzialmente non lo sviluppo di una politica comune europea di difesa ma l’attuazione di una politica industriale comunitaria.
Il visconte Davignon, commissario responsabile per la politica industriale, ha espresso il consenso della Commissione alle mie proposte in sede di assemblea plenaria nel giugno 1978 ed ha indicato che la Commissione avrebbe agito sulla falsariga della risoluzione in discussione. Nel luglio 1980, Roy Jenkins, quale Presidente della Commissione ha promesso al Parlamento che la Commissione avrebbe reso noto uno studio preliminare elaborato sulla base delle mie proposte, prima della fine del 1980.
Alla fine del 1980 la Commissione ha trasmesso ai membri del Parlamento europeo, quale risposta alla mia relazione ed alla risoluzione del Parlamento, una nota elaborata dal visconte Davignon corredata da una relazione del signor Greenwood, direttore del Centro per gli studi sulla difesa di Aberdeen, su una proposta per promuovere la cooperazione nei settori della difesa e della tecnologia tra i nostri Paesi. La commissione politica del Parlamento, il cui relatore è l’on. Adam Fergusson sta studiando la nota Davignon e la relazione Greenwood e si ritiene che la commissione stessa sia in grado di riferire al Parlamento europeo nella sua interezza nel corso dei prossimi mesi.
La nota del visconte Davignon pone in rilievo «quanto poco l’Europa abbia avuto successo… nei settori dell’alta tecnologia… e dell’approvvigionamento degli armamenti in generale… nello sfruttamento del potenziale e delle necessità del suo proprio mercato». Infatti «l’assenza di un mercato europeo e di strutture industriali di dimensioni comparabili hanno limitato le possibilità dell’industria europea di far fronte alle necessità europee di sistemi avanzati di armi». La nota Davignon riprende la proposta fatta nella relazione Greenwood secondo cui «un organismo di analisi degli approvvigionamenti per la difesa» dovrebbe essere creato nel contesto dell’unione dell’Europa occidentale o della GIEP. Il visconte Davignon esamina anche la possibilità di creare «un nuovo Forum nell’ambito del quale gli Stati membri della Commissione si scambino informazioni sugli approvvigionamenti pubblici ed i relativi acquisti pubblici e sulle politiche di promozione verso una strategia generale di approvvigionamento di armi e di sviluppo tecnologico».
Benché io ritenga che il visconte Davignon, a nome della Commissione, si sia avviato in una direzione positiva — quantunque con molta cautela — sulla base della relazione Greenwood, io non sono convinto che le premesse, gli argomenti e le conclusioni definiti nella stessa relazione Greenwood siano utili per aiutare la Comunità ad agire con efficacia e rapidità nell’affrontare aspetti industriali e strutturali della politica di approvvigionamento degli armamenti dell’Europa occidentale. Con mia grande sorpresa il signor Greenwood appare lieto di accettare una situazione nella quale l’inefficienza, la duplicazione e le spese rovinose continuano a fiorire.
lo spero, tuttavia, che la commissione politica del Parlamento europeo ponga in discussione l’impostazione Greenwood e incoraggi la Commissione a continuare a muoversi in direzione positiva sulla falsariga della generale filosofia espressa dalla mia relazione.
Egon Klepsch
* Nei «Documenti» di questo numero compaiono alcuni testi e interventi e la risoluzione finale del Convegno «Il ruolo internazionale della Comunità europea e i problemi della difesa dell’Europa», organizzato dall’UEF il 5 aprile 1981 a Torino. Il pensiero della rivista sul problema della difesa è contenuto nell’editoriale. Ci è parso comunque opportuno offrire ai lettori l’espressione di autorevoli punti di vista che possono anche non coincidere col nostro.