Anno XXV, 1983, Numero 4, Pagina 160
TRE TESTIMONIANZE SULLA FONDAZIONE DEL MFE
RACCOLTE IN OCCASIONE DELLA CELEBRAZIONE DEL SUO QUARANTENNALE
ADA ROSSI
Carissima Rita, ti scrivo perché non so se la mia salute mi permetterà di essere a Milano il 10-12 prossimo, per la commemorazione della fondazione del MFE che avvenne proprio in casa vostra, in via Poerio (37A), il 27/28-8-1943.
Sono contenta che si ricordi questa data e si ponga una lapide su casa Rollier: Mario si merita questo ricordo; il nostro caro indimenticabile pessimista attivo.
Non voglio lasciar passare questa occasione senza rievocare alcuni ricordi di quei lontani anni.
Mario capitò una mattina a casa mia a Bergamo — io non lo conoscevo ancora — alla fine del 1941, con un sacco. Io rimasi meravigliata nel vedermi innanzi un alto, elegante signore, con un leggero accento straniero e con un sacco abbastanza voluminoso, ma non feci in tempo a fargli alcuna domanda: subito mi spiegò che si trattava di un sacco di riso che mi pregava, a nome della Ursula Colorni, di portare a Ventotene.
Io dovevo andare da Ernesto per Natale e avevo già il permesso dell’OVRA e partivo con diverse ceste piene di sacchetti di farina bianca e gialla, di riso, zucchero, caffè, scatole di latta con uova, burro soffritto, lattine di olio ecc. ecc. — in una valigia avevo anche un prosciutto. Era vitto non solo per Esto, ma per tutta la sua mensa. A Ventotene c’era la fame.
Così conobbi Mario. Qualche mese dopo fui convocata una sera in via Poerio a Milano, vi trovai Fiorella Spinelli venuta da Roma, Lelio Basso ed altri due amici di cui non riesco a ricordare i nomi (forse non si erano neanche presentati, non usava — lo sai — nella clandestinità). Erano arrivate alcune comunicazioni, clandestinamente, da Altiero e da Ernesto. Al solito si discusse sulla stampa clandestina e sulla propaganda federalista. Le sorelle Spinelli ed io avevamo la possibilità di far diverse copie dattilografate su carta-riso leggerissima destinate ad essere passate agli amici, messe nelle buche delle lettere. Oggi come oggi mi sento portata a minimizzare queste nostre azioni, eppure erano quelle che ci facevano sentire «in pace con noi stessi». Il ricordo più bello, che riguarda la vostra casa, è che proprio lì il 1 agosto del 1943 mi incontrai con Ernesto dopo più di un anno che non ci vedevamo. Io arrivavo dal confino in Basilicata (non ti dico che viaggio allucinante — lungo l’Adriatica sotto i bombardamenti, durato tre giorni) ed Esto era appena uscito da Regina Coeli, dove era stato portato da Ventotene con Bauer e Calace il 7 luglio: stavano imbastendo un processo tale da portarli al muro.
Quel giorno mangiammo in casa vostra, ricordo, una specie di farinata (fatta dall’Ursula) e dormimmo da voi. Infine il ricordo storico: in mente ho lucidamente il convegno semiclandestino tenuto in casa vostra il 27 e 28 agosto 1943.
Una vostra saletta si era riempita, molti stavano seduti per terra: ricordo Colorni, Cavallera, Luisa Usellini, (il marito era stato arrestato da Badoglio con Cerilo Spinelli e si trovavano a Regina Coeli), inoltre le due Spinelli e?… venuti da Roma, Vittorio Foà arrivato fresco ed ancora col cranio pelato, da una qualche patria galera, Altiero, Dino Roberto, Braccialarghe, Buleghin, Giussani da Ventotene, Ghinsburg da un confino (?), inoltre Ursula Colorni, Momi Banfi e sua moglie, don Gilardi, la moglie di Bassi (lui no) tu Rita ed altre donne giovani, graziose.
Si lavorò tutto il giorno, senza interruzione e qualcuno (forse tu Rita) aveva portato delle fette di pizza salata: si mangiava e si discuteva (cioè discutevano: io sapevo «già tutto» perché troppe volte avevo scritto e riscritto «Il Manifesto di Ventotene», il l° e il bis e le comunicazioni di Altiero, di Esto, ero sempre del loro parere).
Alla fine della giornata, prima del coprifuoco, ci lasciammo; alcuni vennero con te e Mario dove eravate sfollati vicino a Milano, noi del gruppo più grosso ci dirigemmo a piedi (non andavamo in tram) verso un istituto diretto da don Gilardi da dove erano sfollati tutti, anche le suore: però trovammo qualcosa da mangiare.
Si dormì in due camerate (donne e uomini separati), con me c’era la Luisa Usellini, mentre Cavallera, Ghinsburg, Braccialarghe, Giussani, Buleghin, Ernesto, Dino, Roberto si accomodarono benissimo in un’altra camerata. Io ero sfinita e così immagino tutti gli altri.
Alla mattina dopo, Esto ed io uscimmo presto perché dovevamo spedire dei telegrammi, mentre gli altri usciti più tardi furono sorpresi e «sommersi» da un gran temporale ed arrivarono in via Poerio inzuppati. Mario li fece spogliare e li fece avvolgere in lenzuoli, mentre gli abiti furono messi al sole che era rispuntato «dopo la tempesta».
Il convegno riprese subito molto seriamente e ricordandolo oggi mi commuove e mi viene da ridere pensando a quella riunione di uomini in «toghe romane» che voleva costruire l’Europa.
Si discusse se fondare un partito o un movimento: quasi alla unanimità si decise per il movimento e così nacque il Movimento Federalista Europeo.
CERILO SPINELLI
Alcuni amici federalisti mi hanno chiesto una testimonianza ed io vorrei qui ricordare un episodio poco noto che, pur nella sua modesta portata, ha un qualche rilievo storico.
Il 25 luglio 1943, Badoglio, nominato dal Re al posto di Mussalini, lanciò un proclama al popolo italiano che finiva con le parole: «La guerra continua». Abbiamo celebrato questa mattina la fondazione, nell’agosto ‘43, del Movimento federalista, ma il 25 luglio ‘43 esisteva a Roma, già da due o tre mesi, quello che definirei il Comitato direttivo del Movimento federalista composto da Eugenio Colorni, Guglielmo Usellini, Ursula Hirschmann e me. Questo Comitato non era stato eletto da nessuno perché eravamo in periodo clandestino e il Movimento federalista non aveva una base popolare; ma noi ci sentivamo interpreti del pensiero di Altiero e di Ernesto Rossi, sia perché avevamo contatti, tenendo conto della clandestinità, abbastanza frequenti — Altiero ricorderà le cassette di legno che viaggiavano tra Roma e Ventotene, nei cui doppi fondi si celavano gli scritti e le notizie che ci scambiavamo — sia per la presenza tra noi di Eugenio Colorni e di Ursula che fino a quando erano stati a Ventotene avevano vissuto e partecipato alla nascita e all’evoluzione del pensiero e delle posizioni federaliste.
Il 26 luglio, Colorni, Usellini ed io ci riunimmo per decidere l’atteggiamento del Movimento federalista rispetto al proclama di Badoglio. Ci trovammo subito d’accordo nel dire che non si poteva assolutamente accettare l’idea che la guerra dovesse continuare a fianco dei tedeschi e che, invece, si dovesse lanciare un appello al popolo italiano perché si preparasse all’insurrezione armata, alla guerra partigiana. In quella stessa riunione fu redatto, da tutti e tre noi insieme un manifesto che esponeva la nostra posizione nei suddetti termini. Questo manifesto fu stampato da noi in alcune migliaia di esemplari, a firma del Movimento federalista, largamente diffusi a Roma nell’università, in alcune fabbriche, nelle stesse strade.
Fu la diffusione di questo manifesto che provocò l’arresto mio e di Usellini e il nostro deferimento al Tribunale militare che aveva sostituito in tutto e per tutto — salvo l’eliminazione dei generali della milizia fascista — il Tribunale speciale.
In quel periodo i partiti antifascisti erano orientati, anche sotto la pressione, molto forte, del Partito comunista, verso la formazione di un governo antifascista di unione nazionale, che andasse dai badogliani ai comunisti. In conformità con questo orientamento, i partiti antifascisti avevano assunto un atteggiamento di cautela nei riguardi del Governo Badoglio. Accadde così che il Movimento federalista fu la prima organizzazione politica italiana — certamente a Roma, ma ritengo in tutti l’Italia — a lanciare la parola d’ordine della guerra partigiana contro il nazifascismo. E fu un primato conservato fino all’8 settembre perché soltanto allora, quando i tedeschi occuparono l’Italia, i vari partiti antifascisti si pronunciarono apertamente per la guerra partigiana. Non che vi fossero contrari, ma non desideravano dirlo. L’unico gruppo politico che lo disse apertamente, pubblicamente, fu il Movimento federalista.
Ho voluto ricordare questo episodio perché dei tre responsabili di questo manifesto e di questa azione sono rimasto io soltanto. Guglielmo Usellini è morto a Parigi nell’ottobre del ‘58 e Colorni, come tutti sappiamo, fu ucciso dai fascisti alla vigilia della liberazione di Roma.
Ad ispirarci nell’appello a favore della guerra partigiana fu certamente il nostro essere federalisti, cioè uomini politici che, attenti agli eventi europei e non solo nazionali, desideravano che il popolo italiano si schierasse a fianco della Resistenza francese e jugoslava. Naturalmente anche altri ideali ci guidavano in questa azione: noi pensavamo allora che le forze partigiane nazionali, una volta abbattuto il nazismo, avrebbero operato come forze unificatrici nell’Europa nuova. Questo sogno non si realizzò, come altri hanno spiegato molto bene, ma esso fu certamente uno stimolo all’azione svolta in quei primi giorni di effimera libertà, dal 25 al 30 luglio del 1943.
Un’azione che penso debba essere registrata nella storia del Movimento federalista e della Resistenza italiana.
ARIALDO BANFI
Come è avvenuto per molti giovani di allora, la militanza politica nell’antifascismo fu determinata da fatti imprevedibili ed in parte casuali.
Cosi fu certamente per me convertito definitivamente all’antifascismo dall’introduzione in Italia delle leggi raziali ma con idee assai vaghe.
Per molti anni, con brevi intervalli, ho prestato servizio militare e già ero richiamato all’epoca della sporca guerra contro l’Abissinia a cui non partecipai per un caso fortunato: ero in licenza per la laurea quando il reggimento partì per l’ingloriosa impresa. In Sicilia mi ammalai e così spesso mi accadde di essere inviato in convalescenza.
Nel corso di uno di questi soggiorni a Milano Guido Rollier, fratello minore di Mario come io ero fratello minore di Gian Luigi (morto nel campo di sterminio di Mauthausen) mi chiese se ero disposto a fare qualcosa ed io gli chiesi «cosa posso fare?» e lui mi disse «Guarda, dal confino di Ventotene sono arrivati questi fogli. Devi copiarli a macchina e diffonderli». Con le dita inesperte cominciai a copiare il Manifesto federalista e a diffonderlo tra gli amici che sapevo antifascisti.
Nel 1942 ero già in contatto con Riccardo Lombardi e quindi introdotto nell’ambiente antifascista che poi dette vita al Partito d’azione.
Fu così che nell’agosto 1943, sotto i bombardamenti di Milano ed essendo ancora in licenza di convalescenza, partecipai alla fondazione del Movimento federalista ed ho avuto la fortuna di conoscere Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi e divenni federalista europeo.