Anno XXV, 1983, Numero 3, Pagina 109
LE PROSPETTIVE POLITICHE
DOPO LE ELEZIONI DEL 26 GIUGNO*
Per gli elettori italiani il voto non è facile. Con il sistema elettorale in vigore, e con il frazionamento dei partiti che esso produce, gli italiani non possono né scegliere un governo con il loro voto, né avere governi efficaci proprio perché coincidenti con le maggioranze elettorali di governo esistenti a volta a volta nel paese. Ne segue un fatto molto grave: nessun italiano può sviluppare il suo pensiero politico sino al punto delle scelte programmatiche circa le cose da fare, che restano così affidate alla pressione degli interessi particolari. Si tratta di un vero e proprio limite della formazione della volontà democratica, cioè del fatto che spiega i difetti attuali del processo di governo e della struttura della rappresentanza. La loro funzione è infatti quella di compensare la mancanza di un sostegno popolare diretto con l’aumento artificiale — rispetto ai sentimenti prevalenti nel popolo — del peso politico delle feudalità, delle corporazioni e dei gruppi politici irresponsabili.
Ma, nonostante tutto ciò, gli elettori sono riusciti egualmente a creare, con le loro scelte del 26 giugno, una situazione che non impedisce più la transizione dal regime attuale — privo di alternative democratiche di governo — a un regime fondato su queste alternative, e quindi tale da far coincidere ogni elezione con la scelta del governo da parte del popolo. Questo è il grande fatto nuovo della vita italiana. Nelle condizioni create dallo sviluppo dell’integrazione europea, e della crescita conseguente dell’unità nazionale, il popolo italiano ha potuto esercitare la sua saggezza, e si presenta ormai con una fisionomia elettorale che consente di affrontare il problema della riforma delle istituzioni.
La restante parte del compito spetta ai partiti, che con il risanamento dell’economia, il rafforzamento della Comunità europea, e con la riforma del sistema elettorale e della funzionalità del governo, possono provocare i cambiamenti necessari per far sì che gli italiani abbiano, sin dalle prossime elezioni del 1988, la possibilità di scegliere con il loro voto il governo. In caso contrario il peggio sarebbe inevitabile perché i progressi fatti dagli elettori — cioè dal popolo — non trovando sbocchi concreti non potrebbero non generare un diffuso senso di impotenza e non tradursi in un arretramento storico dell’Italia. In ogni caso questo è il metro con il quale i partiti dovranno essere giudicati. Si tratta di vedere se faranno quanto sta in loro per concedere agli italiani il diritto di scegliere democraticamente il governo, o se continueranno a fare e a disfare i governi nell’ambito della stessa maggioranza parlamentare, volatilizzando ogni responsabilità e impedendo agli italiani di punire chi ha fatto male e di premiare chi ha fatto bene.
Bisogna dunque chiarire, al di là di ogni ragionevole dubbio, che gli ostacoli che impedivano la riforma delle istituzioni sono caduti. Ogni elezione comporta, per ogni partito, alti e bassi. Ma ciò che conta è che con il voto del 26 giugno tutti i fattori di continuità storica e politica della vita democratica italiana sono stati salvaguardati e assicurati. La DC resta il partito di maggioranza relativa. Il PCI conserva la sua forza e il suo legame con la Comunità europea. Il PSI ha ottenuto la riconferma del suo ruolo. Ciò vale anche per il PSDI. D’altra parte il PLI e il PRI — che rappresentano nell’Italia di oggi quella del Risorgimento — possono ormai affrontare il problema della riforma della legge elettorale senza correre il rischio di essere emarginati. In queste condizioni e prima che le distrugga la continuazione del malgoverno — è perfettamente possibile, con il meccanismo degli apparentamenti — che salvaguarda l’autonomia dei partiti — e con altri accorgimenti elettorali, promuovere la formazione delle alleanze pre-elettorali indispensabili per far si che ad ogni elezione gli italiani possano scegliere tra due governi possibili quello che reputano il migliore.
Il compito fondamentale del nostro tempo resta la creazione degli Stati Uniti d’Europa, come tappa verso la costruzione della pace con un governo mondiale e verso la ripresa del cammino dell’emancipazione umana. Ma per portare a compimento, con le altre nazioni europee, l’unificazione, l’Italia deve tornare ad essere un paese serio, operoso e rispettabile.
La riforma delle istituzioni.
La riforma istituzionale dalla quale dipendono in ultima istanza le sorti della democrazia italiana e la governabilità del sistema politico italiano è la riforma istituzionale della Comunità. Ma la necessità prioritaria di operare a questo fine non fa venire meno quella di attuare, nel frattempo, proprio per garantire la capacità dell’Italia di mantenere comportamenti compatibili con la sua permanenza nella Comunità in attesa della trasformazione democratica di quest’ultima, alcune riforme istituzionali interne. I settori nei quali si deve operare con maggiore urgenza e che sono già stati per lo più individuati nel dibattito che si è svolto negli ultimi mesi tra i partiti e tra gli esperti sono la Presidenza della repubblica, la Presidenza del consiglio, la struttura del Consiglio dei ministri, il bicameralismo, il sistema elettorale e la pubblica amministrazione.
In’ particolare i federalisti si propongono di attirare l’attenzione delle forze politiche sulla necessità delle seguenti riforme:
a) l’elezione diretta del Presidente della repubblica per rafforzarne l’insostituibile ruolo arbitrale. Si tratta di una proposta istituzionale che può essere avanzata in una versione «minima» lasciando inalterate le competenze attuali del Presidente, e in una «massima», attribuendogli, come nel sistema francese, anche la facoltà di revocare il Presidente del consiglio.
b) Il rafforzamento del ruolo del Presidente del consiglio (che diverrebbe Primo ministro) mediante l’istituzione della regola che la fiducia del Parlamento viene accordata soltanto alla sua persona, e non al Consiglio dei ministri nella sua collegialità. Il Primo ministro avrebbe in questo modo la facoltà di sostituire i ministri senza dover ricorrere al voto di fiducia. Questo riforma dovrebbe essere completata dall’introduzione del voto di sfiducia costruttivo sul modello della costituzione della Repubblica federale di Germania.
c) L’attribuzione di una maggiore efficienza al governo mediante l’istituzione di un Consiglio di gabinetto formato da un numero ristretto di Ministri di Stato, titolari dei dicasteri più importanti. Questa riforma dovrebbe essere accompagnata da una riduzione del numero totale dei ministri (raggruppando dicasteri con competenze analoghe, come Tesoro, Finanze e Bilancio, in grandi dicasteri come quello dell’Economia).
d) La trasformazione della seconda Camera in un Senato delle regioni, al fine di eliminare un fattore di grave rallentamento del processo legislativo e di creare contemporaneamente un organo di raccordo che giocherebbe un ruolo essenziale ai fini della perequazione nella distribuzione delle risorse, della responsabilizzazione delle regioni nella gestione della spesa pubblica e del coordinamento della programmazione.
e) L’abolizione del voto di preferenza, principale causa istituzionale della degenerazione clientelare dei partiti. Questo obiettivo potrebbe essere raggiunto senza attribuire un inaccettabile potere discrezionale agli apparati dei partiti attraverso l’introduzione di un sistema elettorale analogo a quello in vigore per l’elezione al Bundestag nella Repubblica federale di Germania, fondato su una combinazione tra collegio uninominale e scrutinio di lista, garantendo la più rigorosa proporzionalità. Questo metodo elettorale dovrebbe essere adattato alla realtà italiana prevedendo, pur nel rispetto dell’identità dei singoli partiti, la possibilità di apparentamenti (ai fini della determinazione dei candidati eletti nei collegi uninominali). Si dovrebbe introdurre altresì una clausola di sbarramento del 5% la cui funzione sarebbe quella di eliminare le formazioni fantasiste e irresponsabili (e quindi scoraggiarne addirittura la creazione) e insieme di spingere i partiti minori di simile ispirazione ideologica e programmatica ad apparentarsi.
f) Uno sforzo serio per la razionalizzazione e la meccanizzazione della pubblica amministrazione come complemento indispensabile di tutte le altre riforme, che sarebbero destinate a rimanere lettera morta se la migliorata capacità decisionale che ne conseguirebbe non potesse essere tradotta in atti concreti pratica amministrativa quotidiana.
Il risanamento dell’economia.
Il risanamento dell’economia italiana non è possibile senza una radicale inversione di tendenza, necessaria per scongiurare il rischio dell’esclusione definitiva dell’Italia dal novera dei paesi industrializzati, che sono stati capaci di riprendere sotto controllo l’inflazione e di avviare l’uscita dalla recessione. Per realizzare questo obiettivo vanno perseguite simultaneamente tre linee di intervento:
a) il controllo sull’evoluzione dei redditi di lavoro dipendente, che si può conseguire ancorando il salario allo scudo e sospendendo le altre forme di indicizzazione. In questo modo la politica economica italiana garantirebbe ai lavoratori la stessa tutela che in media viene garantita ai lavoratori europei. Non sarebbero possibili riduzioni del salario reale indotte da variazioni dei prezzi interni, in quanto queste alla fine si riflettono in un deprezzamento della lira rispetto allo scudo. Parallelamente i lavoratori dovrebbero subire gli effetti di variazioni nella quotazione del dollaro o di aumenti esogeni nei prezzi delle materie prime o delle fonti di energia. L’ancoraggio del salario allo scudo dovrebbe essere accompagnato da una strategia analoga di deindicizzazione dell’equo canone e da un controllo diretto sull’evoluzione di tariffe e prezzi amministrati. Va tenuto presente che per i prodotti industriali esposti alla concorrenza internazionale il controllo si realizza attraverso la stabilità del tasso di cambio.
b) La riduzione del disavanzo pubblico, che presuppone l’attribuzione di concrete responsabilità finanziarie agli enti decentrati che controllano in misura sempre più ampia l’erogazione della spesa corrente. D’altra parte, la riduzione del costo del debito pubblico in essere, che pure è indispensabile, presuppone a sua volta un’anticipazione degli effetti della manovra di risanamento, da cui soltanto può scaturire una riduzione dei tassi di interesse. A questo fine si potrebbero utilizzare le emissioni di titoli di Stato denominati in scudi, come è già avvenuto con i Certificati di credito in scudi (CTE). Va inoltre osservato che questi titoli potrebbero offrire una garanzia reale per il risparmiatale se venisse riconosciuta la facoltà per i residenti di sottoscrivere prestiti in scudi da emittenti comunitari — come richiesto dalla Commissione di Bruxelles —, dando così valore concreto alla clausola per cui il rimborso dei titoli potrebbe avvenire in scudi se questi avranno corso legale in Italia all’atto del pagamento.
c) il rafforzamento della competitività, e la conseguente riduzione del disavanzo nei conti con l’estero, che si può conseguire attraverso un drastico riallineamento, concordato in sede comunitaria, nel valore esterno della lira. La svalutazione dovrebbe essere accompagnata da un contestuale ingresso a pieno titolo della valuta italiana nello SME, simbolizzato dal rientro della lira nell’ambito della fascia ristretta del 2,25%, per dare certezza agli operatori che si tratta di una scelta irreversibile e per evitare che si manifesti nuovamente la spirale perversa svalutazione-inflazione.
Ciò che va compreso è che in definitiva nessuna misura economica, anche se del massimo rigore, può rovesciare le aspettative di aggravamento dell’inflazione e della recessione se non viene accompagnata da scelte che indichino in modo inequivocabile la volontà di legare definitivamente l’economia italiana all’Europa. La strategia di risanamento deve dunque nel contempo essere sostenuta dalla ferma richiesta che vengano rispettati gli impegni assunti dai Capi di Stato e di governo al momento del varo dello SME, i quali prevedevano un insieme di misure a sostegno delle economie più deboli per favorire la convergenza e il conseguente passaggio alla seconda tappa dello SME. Le scelte rigorose che si propongono in Italia giustificano l’invito ai paesi più forti di sostenere lo sforzo di risanamento dell’economia italiana consentendo un aumento delle risorse proprie che affluiscono al bilancio comunitario, per realizzare il rafforzamento delle politiche comuni da cui dipende la possibilità per l’Italia di avviare una ripresa non inflazionistica e di rovesciare le tendenze negative dell’occupazione.