Anno XXV, 1983, Numero 3, Pagina 104
L’ALTERNATIVA ALLA CRISI*
L’azione sviluppata in modo sostanzialmente convergente dai paesi industrializzati ha consentito di riportare a livelli contenuti l’inflazione.
La prima fase di un disegno volto a riprendere il controllo su alcune variabili fondamentali dell’economia come condizione per il rilancio dello sviluppo si è con ciò conclusa. L’inflazione permane ancora fuori controllo in alcuni Stati, come l’Italia; nelle condizioni attuali, si tratta di problemi locali, per ora con scarsa rilevanza per l’economia mondiale.
Questo risultato appare peraltro precario e insufficiente. Nessun risultato parziale può essere difeso a lungo se l’obiettivo finale non viene raggiunto; e la sconfitta dell’inflazione potrà essere giudicata un vero successo solo quando costituirà una base stabile dello sviluppo.
La natura del problema è semplice. Si tratta di sapere se il grado di controllo dell’economia che ha consentito di abbattere l’inflazione è sufficiente per avviare un ciclo di sviluppo.
Alcune osservazioni possono orientarci per trovare una risposta a questo interrogativo.
La prima osservazione è che per ridurre l’inflazione è stata sufficiente l’iniziativa a livello dei singoli Stati. L’azione esercitata sui meccanismi nazionali (salari, spesa pubblica, politica monetaria) ha controbilanciato l’impatto dei meccanismi inflazionistici interni e internazionali. In particolare, la politica interna statunitense ha inciso direttamente su una delle cause internazionali dell’inflazione, costituita dalla debolezza del dollaro.
La seconda osservazione è che le cause profonde dell’inflazione non sono state ancora riportate sotto controllo. È sufficiente, a tal fine, fare riferimento alle due cause fondamentali, costituite dal disordine monetario e dalla instabilità dei mercati delle materie prime. In effetti, nessuna iniziativa nazionale è in grado di avviare a soluzione questi due problemi, che pongono in discussione l’ordine mondiale. L’iniziativa statunitense ha potuto rafforzare il dollaro, ma non può certo ambire a ristabilire un ordine monetaria stabile fondato sul dollaro. Il mercato delle materie prime è oggi depresso per la caduta della domanda; nessun meccanismo efficace di regolazione è stato attivato per assicurare in futuro una evoluzione meno anarchica e destabilizzante delle quotazioni.
L’indicazione che si trae da queste osservazioni è di questo genere: gli interventi di carattere nazionale fin qui adottati hanno consentito di fronteggiare gli effetti della crisi internazionale (l’inflazione), ma non hanno potuto avviarla a soluzione.
Ciò che vale per le cause ultime dell’inflazione, vale a maggior ragione per la possibilità di rilanciare lo sviluppo. Qualsiasi tentativo nazionale di rilanciare lo sviluppo riaccenderebbe l’inflazione e genererebbe un deficit nei conti con l’estero. Questa politica è destinata a rivelarsi insostenibile per qualsiasi Stato; nemmeno gli Stati Uniti potrebbero oggi promuovere una simile politica, in quanto è ormai tramontato il tempo in cui essi potevano guardare con «benign neglect» il deficit nei conti con l’estero, facendo affidamento sulla disponibilità del resto del mondo ad assorbire masse crescenti di dollari.
In questa situazione è realistico prevedere due alternative estreme: o i paesi industrializzati sapranno garantire le condizioni per la ripresa economica, grazie ad un’iniziativa che superi i limiti delle azioni fin qui intraprese, oppure la crisi diverrà sempre più grave. Il consolidamento dei risultati fin qui ottenuti costituisce un obiettivo inadeguato, incapace di suscitare le energie necessarie per la sua stessa realizzazione, e perciò irrealistico.
Le condizioni per la ripresa economica.
L’inadeguatezza delle risposte date alla crisi deve stimolare la ricerca di alternative.
La strada della ragione è chiara; ciò non significa facile. Occorre prendere atto che il consumismo ha esaurito il proprio potenziale di sviluppo nei paesi progrediti, mentre può sostenere la crescita economica ove si renda effettiva la domanda potenziale nei paesi meno sviluppati. Nell’epoca del mercato mondiale emerge il problema della gestione razionale della riserva di domanda effettiva oggi esistente nei paesi meno progrediti. Indipendentemente da considerazioni di ordine politico-morale, si tratta di prendere atto, da un punto di vista economico, che un nuovo ciclo di sviluppo può essere attivato garantendo il finanziamento internazionale dello sviluppo (della domanda effettiva) nei paesi meno progrediti.
Nel lungo periodo, questo pone in discussione il rafforzamento delle istituzioni internazionali, concepite come nucleo di un governo mondiale, per gestire l’economia mondiale.
Nel breve periodo, questo pone in discussione il varo di un piano a sostegno del Terzo mondo, concepito come condizione per superare la stagnazione dell’economia mondiale. Questo obiettivo può essere perseguito facendo perno su una autonoma e stabile capacità di intervento da parte europea.
I punti su cui è necessario intervenire vincolano gli strumenti che debbono essere attivati.
Gli obiettivi possono essere sintetizzati in tre punti essenziali: 1) il finanziamento dello sviluppo dei paesi del Terzo mondo; 2) lo stabilimento di un sistema monetario internazionale stabile ed evolutivo, che consenta lo sviluppo della cooperazione; 3) la stabilizzazione del mercato delle materie prime, che consenta la regolazione dei rapporti di scambio in modo ordinato ed evolutivo.
I tre obiettivi sono interrelati. Non può esserci finanziamento internazionale dello sviluppo senza un sistema monetario stabile ed evolutivo; cambi e quotazioni delle materie prime costituiscono due aspetti di una unica realtà, costituita dal governo dell’economia internazionale. Questa interrelazione indica che tali obiettivi possono essere raggiunti solo sulla base di un’unica iniziativa.
L’esperienza del mercato comune europeo indica come questi obiettivi possano essere raggiunti, in misura parziale ma sufficiente a garantire un quadro di convergenze delle aspettative e dei comportamenti, anche in assenza di un governo. Nell’esperienza europea, tali obiettivi sono stati perseguiti, ad esempio, a livello agricolo tramite il FEOGA, a livello monetario tramite lo SME.
A livello europeo è oggi possibile/necessario porre il problema di una politica agricola unitaria e della moneta europea. A livello mondiale è oggi possibile/necessario attivare per il mercato delle materie prime soluzioni che riprendano il precedente europeo del FEOGA, e fondare i rapporti di cambio fra le grandi aree monetarie su un sistema di parità fisse aggiustabili che riproduca su più ampia scala la formula dello SME.
L’Europa ha la possibilità di assumere queste iniziative. Essa può lanciare un nuovo «piano Marshall per il Terzo mondo», solo che rafforzi la propria capacità finanziaria con la realizzazione dell’Unione monetaria. L’Europa ha già mostrato tale capacità in passato; sia sufficiente ricordare il precedente storico costituito dal ruolo della Gran Bretagna come centro promotore dello sviluppo internazionale, sia a livello reale sia a livello finanziario.
Ciò che più ha rilevanza, l’Europa ha necessità di assumere tale iniziativa, in conseguenza diretta dell’apertura della sua economia, cioè dell’interdipendenza del suo destino con quello del mondo. Per l’Europa non è solo in discussione lo sviluppo o il mancato sviluppo, ma una crisi senza precedenti; la caduta del libero scambismo, che deriverebbe fatalmente dalla mancata soluzione della crisi, travolgerebbe le basi stesse su cui si fonda il nostro sistema.
L’urgenza di un’alternativa europea alla crisi travalica gli aspetti economici. L’incapacità di garantire lo sviluppo ha sempre portato in passato a conflitti militari. La guerra è l’esito di una politica sbagliata, cioè non corrispondente al corso della storia. Tale spettro si affaccia sul nostro futuro, nel caso che l’Europa non sappia assumere le responsabilità che le competono.
La seconda tappa dello SME.
La decisione cruciale intorno a cui può organizzarsi l’iniziativa europea è la realizzazione della seconda tappa dello SME.
Questa è la condizione per rifondare un nuovo ordine monetario internazionale stabile ed evolutivo, fondato sulla cooperazione fra dollaro, ECU e yen, cioè fra le monete rappresentative delle tre aree più industrializzate.
Questa è la decisione da cui dipende il ruolo finanziario dell’Europa a livello mondiale e quindi la capacità di quest’ultima di contribuire allo sviluppo dell’integrazione internazionale e, più in generale, alla diffusione del progresso economico.
La sovranità monetaria europea è, in sintesi, la condizione di base per l’esistenza stessa di una posizione europea autonoma a livello internazionale.
Occorre prendere atto che le seconde elezioni europee offrono l’occasione per il completamento dello SME con l’istituzione del Fondo monetario europeo.
Lo SME è nato grazie alla sua congiunzione con le prime elezioni europee. Nel contesto politico creato dalle elezioni europee, i fondatori dello SME hanno potuto avviare una strategia di unificazione monetaria, e non una semplice riedizione della cooperazione monetaria intergovernativa secondo le linee già sperimentate dal piano Werner.
La realizzazione della seconda tappa dello SME comporta il trasferimento della sovranità monetaria dalle mani dei governi nazionali al governo europeo. È chiaro che il successo di questo tentativo dipende dal contesto politico generale. Lo sviluppo dello SME verso il Fondo monetario europeo può essere progettato solo nell’ambito del processo costituente oggi sviluppato dal Parlamento europeo e che sarà sottoposto al voto degli europei nel 1984.
Il nesso tra lo sviluppo dello SME e il progresso del processo costituente europeo è duplice. La creazione del Fondo monetario europeo non può essere progettata in assenza di un rafforzamento delle istituzioni europee nel senso del governo europeo. A propria volta è illusorio progettare il progresso del processo costituente se nel contempo non si compiono reali progressi sul terreno della integrazione economica. Entrambi i progetti, infine, possono essere rafforzati dall’adozione di misure immediate che rafforzino lo SME e la diffusione dell’ECU, e con ciò dimostrino la capacità della Comunità e la volontà dei paesi membri di far prevalere gli interessi comuni su quelli nazionali.
Il risanamento dell’economia italiana.
La realizzazione dell’alternativa europea alla crisi non dipende solamente dalla realizzazione di iniziative adeguate a livello europeo, ma altresì da comportamenti conformi a livello nazionale.
Questa indicazione vale in primo luogo per il nostro paese, avviato a divenire il punto debole dell’Europa. La necessità di realizzare la seconda tappa dello SME come decisione cruciale intorno a cui organizzare l’iniziativa europea si scontra con le inadempienze del nostro paese.
Gli accordi istitutivi dello SME hanno lasciato all’Italia il privilegio di una banda di fluttuazione del 6%. L’incapacità del paese di realizzare un risanamento interno che consenta di rientrare in limiti di fluttuazione normali ha alimentato, nel corso della recente crisi valutaria, il tentativo di altri partner di estendere il privilegio: ove il disegno si fosse realizzato, esso avrebbe segnato la regressione dello SME ad un tenue accordo di cooperazione monetaria.
Il rafforzamento dello SME può essere progettato solo a condizione di essere sostenuto dall’adozione, a livello nazionale, di misure coerenti orientate verso gli obiettivi europei comuni.
Considerando il nostro Paese, emerge il duplice nesso fra lo SME e le politiche nazionali: una politica nazionale di risanamento ha per l’Italia il valore di contributo alla costruzione dell’unione monetaria, mentre al tempo stesso l’avanzamento della unificazione monetaria è la condizione per rafforzare la posizione di quanti si battono per il risanamento del Paese. Questo nesso sempre più inscindibile fra scelte nazionali e scelte europee vale per tutti i paesi europei, anche se evidentemente assume forme diverse in funzione della «posizione di partenza» dei singoli Stati.
Il fatto è che l’Italia è oggi di fronte a una svolta. Il crocevia è fra la rassegnazione a convivere con l’inflazione e la volontà di liberarsi dalle difficoltà attuali orientandosi verso modelli di sviluppo industriale avanzato effettuando una decisa scelta europea.
In questa situazione emerge la responsabilità del nostro paese di affrontare, senza frapporre indugi, prima che sia troppo tardi, le cause interne della propria crisi, come contributo alla soluzione delle cause comuni di crisi.
Si tratta di passare da una politica assistenziale — che porta stagnazione, disoccupazione soprattutto giovanile, crescente dualismo a danno del Sud e emarginazione dell’Italia — ad una politica di programmazione e di sviluppo, cioè di risanamento. Si tratta di riprendere in mano il controllo dell’economia. Il compito è arduo ma possibile. Per raggiungere questo obiettivo, la prospettiva di un piano di rientro graduale dell’inflazione si è ormai dimostrato irrealistico. Occorre invece incidere in modo efficace sui comportamenti di tutti gli operatori, a partire evidentemente dall’operatore pubblico, che deve dimostrare la credibilità dell’obiettivo compiendo la prima mossa, cioè dimostrando la volontà politica di congelare, riqualificandola, la spesa pubblica.
Sul nostro paese si accumulano i rischi di una crisi internazionale, di una crisi nazionale e anche di una crisi del debito pubblico. Nel nostro paese esistono condizioni tali da rendere massimo il pericolo che scoppi una crisi di intensità tale da travolgere l’intera Europa. Per evitare che ciò avvenga è necessario che tutte le forze sane del paese si mobilitino per affrontare l’emergenza economica.
* Rapporto redatto da Dario Velo su incarico della Direzione nazionale del MFE, e da questa approvato a Roma l’11 giugno 1983.