Anno LIII, 2011, Numero 2, Pagina 127
L’EVOLUZIONE DELLA RIFLESSIONE
SUI TEMI ECONOMICO-SOCIALI E AMBIENTALI
IN SENO AL MFE*
Il discorso sviluppato dal MFE sulle tematiche economico-sociale ed ambientale, che è sempre stato un aspetto importante delle nostre riflessioni, acquista una particolare rilevanza nella fase attuale della lotta federalista. Oggi in effetti ha un posto centrale nel dibattito politico-culturale la questione dello sviluppo sostenibile. Questo concetto comprende sia la salvaguardia dell’ambiente sia il superamento delle ingiustizie sociali (esasperate dalla globalizzazione senza governo), le quali, oltre a vanificare la democrazia, rappresentano un fattore fondamentale del degrado ambientale. Si tratta di una sfida vitale per il progresso dell’umanità e noi siamo convinti che essa possa trovare una risposta valida solo nel quadro della piena attuazione del sistema istituzionale federale a cominciare dall’Europa per estendersi al mondo. Di qui l’utilità di un seminario che si proponga di presentare in modo sistematico la riflessione del MFE sulle tematiche economico-sociale e ambientale e di chiarire in modo approfondito, in questo quadro, la questione dello sviluppo sostenibile — e ciò anche al fine di elaborare tesi operative per la lotta federalista.
Ciò premesso, ricordo qui per sintetici cenni le tesi fondamentali in cui si è espresso il contenuto economico-sociale ed ecologico del federalismo proprio del MFE (e a cui sono dedicate in modo più ampio e approfondito le relazioni del seminario), e cerco quindi di chiarire il filo conduttore di questo aspetto del discorso federalista, i principi-guida a cui si ispira.
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Incominciando con una schematica ricostruzione del discorso del MFE sui problemi economico-sociali e ambientali, si può dire che il punto di partenza è il recepimento nel Manifesto di Ventotene delle tesi fondamentali del socialismo liberale di Carlo Rosselli caratterizzate dalla ricerca di una sintesi fra il sistema liberaldemocratico, che negli Stati Uniti d’America aveva trovato la sua più rilevante realizzazione, e le esigenze di solidarietà e giustizia sociale espresse dal socialismo nelle sue diverse correnti. In sostanza, si ritiene che, per far prevalere in modo duraturo l’interesse generale in alternativa allo scatenarsi dei conflitti fra gli interessi corporativi (definiti “sezionali” nella terminologia di allora), e per superare quindi la tendenza da parte di vaste masse a cercare una apparente stabilità nel totalitarismo, la via maestra consista nell’integrare un più avanzato regime liberaldemocratico (soprattutto per quanto concerne la partecipazione popolare e le autonomie territoriali) con un regime di economia mista. Questa implica l’attribuzione allo Stato ed agli altri enti pubblici delle funzioni economiche necessarie alla creazione di una equality of opportunities per tutti (socializzazione dei monopoli, ridistribuzione della proprietà terriera, creazione di un sistema scolastico che provveda all’educazione dei giovani più capaci e non dei più ricchi, assicurazioni sociali obbligatorie, ecc.) lasciando per il resto operare, e promuovendo anzi il loro sviluppo, la libera concorrenza e lo spirito di iniziativa individuale.
Questo orientamento implica ovviamente il rifiuto sia di un’impostazione liberistica che esclude l’indispensabile ruolo pubblico per superare gli squilibri economici, sociali e territoriali prodotti da un mercato non governato, sia del totalitarismo comunista che sacrifica l’esigenza della libertà e della democrazia a quella della giustizia sociale. Al di là delle modalità concrete che vengono proposte per conciliare libertà e giustizia sociale e che verranno aggiornate alla luce dell’esperienza, il discorso socialista-liberale presente nel Manifesto di Ventotene rimarrà un punto di riferimento costante per il MFE. Esso è in effetti alla base della nostra convinzione secondo cui il completamento in senso federale dell’unificazione europea (come modello e spinta decisiva verso l’unificazione mondiale) è la condizione ineludibile per preservare e rafforzare, in opposizione alla globalizzazione neoliberistica, l’originalità e il valore del modello sociale europeo teso a conciliare competitività, efficienza e solidarietà.
Il discorso socialista-liberale sull’economia mista, che implica evidentemente il sostegno ai programmi di welfare state (al riguardo va ricordato il ruolo dei federalisti William Beveridge ed Ernesto Rossi), ha avuto un’integrazione di grande importanza nelle proposte del minimo sociale garantito e del servizio civile obbligatorio. Essi si basano su riflessioni provenienti dalla tradizione del federalismo integrale, di cui Alexandre Marc è stato il più prestigioso esponente, e da Ernesto Rossi, con successivi approfondimenti e specificazioni della scuola albertiniana. Cerco qui di schematizzare la posizione che ha il MFE al riguardo.
Il minimo sociale garantito significa che ad ogni cittadino debba essere assicurato, anche in mancanza di un lavoro retribuito, un reddito che gli eviti di cadere in condizioni di povertà e di emarginazione sociale. In sostanza si tratta di superare una situazione in cui la strutturale instabilità del mercato del lavoro (legata alla libera concorrenza e accentuata da un vorticoso progresso tecnologico e dalla globalizzazione non governata, che hanno prodotto la cosiddetta “società flessibile” caratterizzata da una rilevantissima precarietà del lavoro) rende estremamente difficile o impossibile per un numero crescente di persone programmare una vita degna di essere vissuta (farsi una famiglia, partecipare attivamente alla vita sociale e politica, arricchirsi culturalmente, ecc.) e, tra l’altro, le rende facilmente attirabili dalle sirene del populismo. Secondo l’opinione prevalente nel MFE il minimo sociale garantito deve essere accompagnato dal servizio civile obbligatorio. Questo consiste in un periodo della vita (sei mesi - un anno) che ogni persona dovrebbe dedicare obbligatoriamente al servizio della comunità (come un tempo con il servizio militare obbligatorio), inteso come strumento sia di educazione civica (doveri e non soli diritti, preparazione alla partecipazione democratica) sia di realizzazione di compiti (salvaguardia del territorio, aiuto alle persone anziane, integrazione sociale, recupero dei tossicodipendenti…) che non possono essere svolti adeguatamente attraverso il lavoro retribuito. Al di là di ciò, il servizio civile (che dovrebbe comprendere sia la riqualificazione che i lavori socialmente utili) deve essere la controprestazione richiesta a coloro che, trovandosi senza un lavoro retribuito, godono del minimo sociale garantito. Il legame fra il minimo sociale garantito e il servizio civile obbligatorio si fonda, oltre che su considerazioni finanziarie (le risorse derivanti dai risparmi nelle spese degli enti pubblici resi possibili attivando il servizio civile obbligatorio al di là dell’impegno annuale per tutti), su considerazioni realistiche circa la natura umana in cui accanto alle tendenze disinteressate e cooperative esistono le tendenze egoistiche. Queste potranno essere superate solo attraverso un progresso morale a lunghissimo termine il cui punto di arrivo è il kantiano “regno dei fini”, nel quale ogni essere umano tratterà ogni altro essere umano sempre come fine e mai come mezzo. Così come ci vuole lo Stato per garantire l’ordine pubblico, senza il principio “a ciascuno secondo il suo lavoro” ci sarebbe il parassitismo di massa. Va detto che su questo tema è aperta una discussione con chi sostiene il basic income incondizionato.
Un ulteriore capitolo di grande rilevanza della riflessione del MFE sulla tematica economico-sociale è rappresentato da una chiara presa di posizione a favore di uno sviluppo ecologicamente sostenibile, la quale si è manifestata non appena è diventato evidente (a partire dagli anni Sessanta) che la salvaguardia dell’ambiente costituisce una sfida esistenziale per l’umanità. Nella visione schematica che qui propongo basta dire che il discorso che da allora si è sviluppato e continua a svilupparsi nell’ambito del MFE è incentrato sul recepimento della tesi della strutturale inadeguatezza del mercato rispetto al perseguimento di beni pubblici essenziali. In sostanza, come è indispensabile l’intervento pubblico nello sviluppo economico per superare le distruttive contraddizioni sociali, e non solo, prodotte dal mercato non governato, così questo intervento è indispensabile per subordinare lo sviluppo economico all’esigenza vitale della salvaguardia dell’ambiente, che, in assenza di regole rigorosamente imposte, il mercato tende a distruggere. L’attuale riflessione federalista sullo sviluppo socialmente ed ecologicamente compatibile contiene in particolare la nostra risposta alle sfide della globalizzazione (avente in ultima istanza la sua base oggettiva nella transizione al modo di produrre tecnico e scientifico), che apre grandiose possibilità di emancipazione, ma che è altresì caratterizzata da dirompenti contraddizioni.
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Dopo questa presentazione per sommi capi della riflessione del MFE sulle tematiche economico-sociale ed ecologica si tratta ora di chiarire come questa riflessione si inquadra coerentemente nella visione federalista propria del MFE. E qui due sono le considerazioni cruciali: il rapporto fra federalismo e democrazia, e la realizzazione delle istituzioni federali come impegno politico prioritario (e quindi strategico).
Per quanto riguarda la prima considerazione, il punto centrale da sottolineare è che il valore qualificante del federalismo, cioè la pace intesa come impossibilità strutturale della guerra, è considerato come la condizione indispensabile per realizzare pienamente la democrazia, intesa a sua volta come momento fondamentale del processo di emancipazione della persona umana avente come fine ultimo la kantiana costituzione civile perfetta (nel cui quadro diventa possibile per gli uomini avere un comportamento pienamente morale). Se dunque il valore della pace comprende nel suo ambito quello della democrazia (appunto perché il federalismo si colloca nel disegno storico dell’emancipazione umana), si tratta di stabilire in modo rigoroso cos’è la democrazia. Qui si sviluppa il discorso sul fatto che la democrazia, per essere effettiva, deve comprendere le fondamentali garanzie liberali che in definitiva devono impedire l’autoritarismo (in cui rientra anche la dittatura della maggioranza). E va anche ricordato che il pluralismo economico-sociale è un aspetto essenziale del liberalismo che deve essere organicamente incorporato nel sistema democratico. Non si tratta soltanto della concorrenza che favorisce la creatività e l’innovazione in tutti i campi, ma anche del fatto (chiarito lucidamente da Proudhon) che la concentrazione del potere politico e del potere economico nella classe politica è destinata a produrre il totalitarismo. Se, per essere effettiva, la democrazia deve essere liberale, deve d’altra parte essere anche sociale, cioè incorporare organicamente nel suo sistema la giustizia sociale, in sostanza un controllo pubblico dello sviluppo economico che superi le contraddizioni prodotte dal mercato non governato (disoccupazione, povertà, emarginazione sociale, discriminazione degli immigrati) le quali impediscono un generale esercizio dei diritti liberali e democratici.
La riflessione federalista sulla tematica ecologica è, nella sostanza, anch’essa legata al problema di realizzare una democrazia effettiva. In termini generali, la distruzione dell’ambiente comporta il ritorno a condizioni di vita selvagge (con la prospettiva di compromettere addirittura la possibilità della vita umana nel nostro pianeta) incompatibili con il sistema democratico. In termini più specifici, viene colpita la solidarietà intergenerazionale, cioè si creano situazioni che compromettono in modo pesantissimo e addirittura irreversibile i bisogni e le decisioni delle generazioni future senza che queste abbiano potuto essere coinvolte nelle decisioni delle generazioni precedenti. Per certi aspetti è lo stesso problema che si pone con l’inflazione e il debito pubblico, e che deve essere affrontato con scelte (autonomia delle banche centrali, limiti costituzionali al debito pubblico) dirette appunto a conciliare democrazia e solidarietà con le generazioni future.
Il secondo punto da tenere presente per chiarire come la riflessione sulle tematiche economico-sociale ed ecologica si inquadra nella visione federalista è il discorso sulla priorità della realizzazione delle istituzioni federali. Il federalismo è l’erede delle grandi ideologie emancipatrici aventi il loro fondamento nell’Illuminismo, cioè del liberalismo, della democrazia e del socialismo, i cui valori guida trovano una sintesi nell’idea della democrazia effettiva (che deve essere allo stesso tempo liberale e sociale — e anche vincolata alla salvaguardia dell’ambiente per le ragioni indicate). La dottrina federalista d’altra parte va al di là delle dottrine liberale, democratica e socialista perché sa che la realizzazione delle istituzioni federali (e cioè della pace) è la condizione ineludibile (come è stato chiarito in termini generali da Kant) per la piena realizzazione delle dottrine derivanti dall’Illuminismo. In sostanza le istituzioni federali (che devono essere estese al mondo intero per essere pienamente attuate) mentre sradicano la soluzione violenta dei conflitti, creano il quadro indispensabile per affrontare in modo democratico i problemi fondamentali, che, in connessione con l’interdipendenza crescente dell’attività umana, hanno una dimensione sopranazionale. In mancanza di un sistema istituzionale che permette strutturalmente di risolvere in modo pacifico i conflitti e di affrontare democraticamente i problemi di fondo, prevale la ragion di Stato, che subordina tutti i valori all’esigenza della sicurezza e comunque il sistema democratico è inefficace perché non può affrontare validamente i problemi di fondo.
Di qui i principi, contenuti nel Manifesto di Ventotene, della federazione come préalable rispetto alle riforme interne in senso liberale, democratico e socialista e la nuova dicotomia fra progresso (perseguire come prioritaria la creazione delle istituzioni federali) e reazione (perseguire come prioritarie le riforme interne mantenendo in piedi il sistema fondato sulla sovranità assoluta degli Stati). Questa impostazione — che, integrata dalla percezione dei governi democratici nazionali come strumenti e ostacoli rispetto all’unificazione federale, giustifica l’esistenza del federalismo come un movimento politico autonomo — non significa, come si è visto, indifferenza rispetto ai valori delle grandi ideologie emancipatrici, ma indica la strada che deve essere percorsa per realizzarli pienamente e stabilmente. Un impegno fondamentale dei federalisti è in effetti quello di spingere le forze politiche e sociali che si riconoscono nelle ideologie emancipatrici a riconoscere la centralità della costruzione delle istituzioni federali. Questo impegno comporta anche una selezione delle forze politiche con cui i federalisti dialogano. Esse devono cioè far parte dell’“arco democratico”, cioè condividere, pur con diverse accentuazioni, l’idea della democrazia liberale e sociale, che è un aspetto ineliminabile del programma federalista, e devono anche essere aperte al discorso del legame fra democrazia e impegno ecologico. Pertanto il liberismo (nella misura in cui significa rifiutare l’idea dell’indispensabile intervento pubblico nella vita economica per perseguire la giustizia sociale e la salvaguardia dell’ambiente) è incompatibile con la visione federalista e le forze politiche e sociali di orientamento liberista non possono essere alleate organiche dei federalisti, anche perché non sono certo interessate al riequilibrio Stato - mercato per cui è indispensabile il federalismo. Ciò non toglie che nel perseguimento dell’obiettivo strategico (il superamento della sovranità statale assoluta) ci possano essere momenti di utilizzazione dei “badogliani”.
* Si tratta dell’introduzione di Sergio Pistone alla prima sessione su “Il federalismo e la questione economico-sociale” dell’incontro organizzato dall’Ufficio formazione del MFE a Bertinoro il 18-19 giugno 2011 sul tema “Federalismo, questione economico-sociale e sfida ecologica”.