Anno LXVI, 2024, Numero 2-3, Pagina 145
VENTOTENE:
INTERVENTO DELL’ALTO RAPPRESENTANTE
JOSEP BORREL AL SEMINARIO SUL
FEDERALISMO IN EUROPA E NEL MONDO*
Farò un mix di inglese e italiano per cominciare a dire che sono molto felice di essere qui in questa isola magica, al quarantatreesimo seminario di Ventotene. È la terza volta che vengo sull’isola. La prima volta è stata nel 2014. E ora sono di nuovo qui in un momento molto complicato per l’Europa e per il mondo. L’Europa si trova di fronte a due guerre e le elezioni americane incombono.
Quindi, sì, siamo in un momento difficile, siamo nell’agosto del 2024: 110 anni fa iniziava la prima guerra mondiale e i soldati andavano al fronte cantando. A Berlino dicendo: “domani a Parigi”. A Parigi dicendo: “domani a Berlino”. Non sono andati né a Parigi né a Berlino. Sono vissuti per cinque anni nella più grande idiozia della storia, uccidendosi a vicenda. In un solo giorno l’esercito francese ha perso 25.000 soldati. Ve lo immaginate? In un solo giorno sono morti 25.000 soldati. Oggi se muoiono dieci soldati è un dramma nazionale, ma cento anni fa sono morti milioni di soldati. E poi è arrivata un’altra guerra.
Nella Prima guerra mondiale, ricordo, i soldati andavano ancora in guerra con i pantaloni rossi, con l’uniforme napoleonica, non avevano l’elmetto. Perché la guerra si faceva in un altro modo. Oggi è diverso: nessuno va in guerra con i pantaloni rossi, perché sono visibili da lontano. Ma allora le uniformi erano belle, la guerra era bella, ma scomoda. Poi la Seconda guerra mondiale è stata ancora più micidiale, soprattutto qui in Italia. Sono stato sulle Dolomiti e ho visto le trincee: gli italiani da una parte e gli austriaci dall’altra, l’inverno, il freddo, la morte.
Tutte queste cose per noi sono storia, perché ora noi europei non facciamo più la guerra tra di noi. Questa è una grande notizia e una grande cosa, a cui non diamo abbastanza valore. Perché la pace sembra essere lo stato naturale delle cose. Mi dispiace dirlo, ma non è vero, non è lo stato naturale delle cose. E io sono nella posizione ideale per saperlo, in quanto Alto rappresentante dell’Unione europea. Ho viaggiato per il mondo e ho visto guerre. Guerre, guerre e guerre ovunque. Non per noi. Per gli altri. Ma ancora oggi centinaia di migliaia di persone vengono uccise ogni giorno in guerra. E noi europei abbiamo fatto pace. La pace tra di noi.
E tutto è iniziato qui a Ventotene, quando i carri armati tedeschi venivano condotti verso Mosca. Qui a Ventotene alcune persone in carcere e al confino hanno avuto la visione di pensare a un’Europa in pace attraverso la creazione di una federazione per rendere impossibile la guerra. E ora nessuno dei giovani qui pensa che sia possibile, immaginabile, fare la guerra tra di loro, contro i loro compagni di Erasmus. È una cosa impossibile, non è vero? Nessuno lo immagina. E questa è una grande notizia. Ventotene è stato il luogo dove tutto è cominciato: qualcuno ha detto “dopo la guerra, gli Stati devono fare in modo che non sia possibile la guerra”. È stata fatta un’unione per il carbone e l’acciaio. Perché per il carbone e l’acciaio? Perché il carbone e l’acciaio erano il modo per fare la guerra. A quel tempo, il carbone e l’acciaio erano il modo per fare la guerra. Senza carbone e acciaio non si fanno carri armati, non si fanno armi. Quindi, hanno iniziato con questo, poi hanno proseguito con il mercato comune e la moneta unica, l’euro.
Sono sicuro che Spinelli non l’ha immaginato: a poco a poco, gli Stati hanno rinunciato ad alcuni elementi della loro sovranità. Niente confini, niente moneta nazionale, niente dazi tra di noi. Si può andare dalla Serbia a Helsinki senza attraversare un confine. I confini ci sono ancora. Ma non si vedono. Non li vedi. Si passa attraverso i confini, si attraversano i confini. Nessuno ti chiede: “Dove stai andando?”, “Chi vuoi incontrare?”, “Apri i bagagli”. Quando ero come voi, giovani, e volevo andare dalla Spagna alla Francia, alla frontiera qualcuno mi chiedeva: “Chi sei?”, “Perché vai?” “Apri il bagaglio”, “Mostrami il passaporto”. E poi sono andato dall’altra parte del confine. E la stessa storia. “Chi sei?”, “Mostra il passaporto”, “Apri il bagaglio”, “Perché stai andando?” Non succede più. E sembra normale. Non è normale. È straordinario. Quindi sì, abbiamo abolito le frontiere per renderle invisibili. Abbiamo una moneta unica. Non si deve cambiare denaro quando si va a Roma dalla Francia all’Italia. E abbiamo costruito l’euro. L’euro è arrivato con una grande crisi.
Questo progetto era già nel documento scritto da Spinelli, Rossi e Colorni. Ed è per questo che è così importante essere qui oggi, per poter valutare ciò che è stato realizzato dal manifesto del 1941. Ma soprattutto, più che essere contenti perché alcune delle cose che Spinelli pensava sono state fatte, è più importante pensare a cosa c’è ancora da fare. Quali sono i compiti che non siamo riusciti a svolgere, dal momento che la visione di Spinelli non è stata pienamente realizzata.
Certamente, abbiamo bisogno di un’Europa più unita e di più risorse per l’Europa. Il bilancio europeo è l’1 per cento PNL europeo, l’1 per cento! Il bilancio italiano deve essere circa il 40 per cento o il 45 per cento del PNL italiano. Gli europei gestiscono l’1 per cento e vogliono toccare tutto il mondo. E io sto girando il mondo. Sì, facciamo tutto, ma a piccole dosi, dosi omeopatiche che il più delle volte non cambiano la realtà. Se l’Europa vuole sopravvivere, dovrà essere più unita. Dovrà essere più integrata. Dovrà avere più risorse comuni e dovrà costruire una nuova identità europea. Identità: una parola pericolosa. In nome dell’identità tanta gente è morta. La mia identità è contraria alla tua, e allora o tu o io dobbiamo morire. Io penso che la caratteristica importante dell’essere umano sia di avere varie identità. Io sono catalano, sono spagnolo e sono europeo, e le tre cose vanno insieme, non sono in contraddizione. La ricchezza dell’essere umano è essere capace di avere multiple identità, perché siamo esseri complessi, la vita è complessa, la storia è complessa, la cultura è differente, le lingue sono differenti. Ma avere un’identità europea vuol dire integrare le differenti identità senza annullarle. Gli Stati rimangono, l’Italia non sparisce, la Spagna nemmeno. Sono troppo forti, si sono formate nella storia. Gli Stati Uniti, gli Stati della federazione, non hanno una storia tanto differente gli uni dagli altri, perché sono giovani. Ma dal Medioevo ad oggi la nostra storia è troppo forte perché le nazioni possano sparire, ma devono essere compatibili le une con le altre. Abbiamo seguito i passi dei Padri fondatori e ora è giunto il momento di passare la fiaccola ai giovani europei, che sentono l’idea dell’Europa come qualcosa di più di un semplice beneficio.
Voi beneficiate dell’Europa. Voi beneficiate dell’Europa molto, molto più della generazione dei miei padri. Ora è giunto il momento che facciate qualcosa per l’Europa, che vi assumiate la responsabilità in un mondo sempre più difficile e ostile. L’esperienza di questi cinque anni mi ha insegnato che gli europei non sono pronti ad affrontare questo mondo. È troppo duro. È troppo difficile. È crudele. Forse noi siamo molto in pace, nella nostra prosperità e nella nostra libertà politica, perché alla fine l’Europa è la migliore combinazione che l’umanità è stata in grado di costruire di libertà politica, prosperità economica e coesione sociale. Non è perfetta, ma non troverete da nessuna parte del mondo una migliore combinazione di libertà politica, prosperità economica e coesione sociale.
Sì, alcuni Paesi hanno libertà politica e prosperità economica. Non hanno la coesione sociale perché non si preoccupano della salute del prossimo. Non considerano la salute un bene pubblico. Noi consideriamo la salute e l’istruzione un bene pubblico e dobbiamo preoccuparci della salute del nostro vicino pagando le tasse e la previdenza sociale. Altrove non succede. Nemmeno in un Paese comunista come la Cina o in un Paese capitalista come gli Stati Uniti. Quindi, la mia esperienza è che il mondo è difficile, è un mondo duro, e noi non siamo pronti ad affrontare queste difficoltà perché a casa nostra godiamo della pace, della libertà politica, della prosperità economica e della coesione sociale. Ma ci sono altre parti del mondo che non godono di libertà politica o non godono di progresso economico, o non godono di coesione sociale. Dobbiamo quindi capire che dobbiamo impegnarci con il resto del mondo. Non possiamo alzare muri per proteggerci dal resto del mondo. I muri non sono mai abbastanza alti.
Quante volte avete visto sui giornali o nei telegiornali parlare del Sudan? Cosa succede in Sudan? In Sudan c’è una guerra che ha fatto partire centinaia di migliaia di persone. Dove pensate che andranno? Ci sono decine di migliaia di persone che vengono uccise ogni giorno. Ma questo non merita nemmeno una notizia sulla prima pagina dei giornali. Ma sì, è in Sudan. Che peccato. Sì, c’è una guerra in Sudan e un’altra in Ucraina, e c’è una catastrofe umanitaria a Gaza, che non è una catastrofe naturale, non è un terremoto, non è un’alluvione: è una catastrofe provocata dall’uomo che uccide persone ogni giorno, bombardandole senza prestare molta attenzione.
Sì, sì. Oggi è stata scoperta la morte di sei ostaggi. E certamente Hamas deve essere condannato per la presa di ostaggi. Ero nel kibbutz dove Hamas stava attaccando il sette ottobre. Nulla giustifica quanto sta accadendo in questo kibbutz. Ma un orrore non giustifica un altro orrore. Un orrore non ne giustifica un altro. Quindi, ripetiamo, abbiamo una certa responsabilità al riguardo, perché quello che sta accadendo in Palestina è in parte responsabilità nostra. Perché abbiamo promesso la stessa terra a due persone diverse, e queste persone stanno combattendo per la stessa terra.
E abbiamo una responsabilità nei confronti delle persone che combattono in Ucraina per difendere la loro sovranità e integrità territoriale.
E abbiamo una responsabilità nei confronti delle persone che affrontano il cambiamento climatico. Sapete perché vado in Africa? Sto parlando di cambiamenti climatici. Sapete cosa mi hanno detto? “Sentite, noi africani abbiamo inviato nell’atmosfera il 3 per cento, solo il 3 per cento delle emissioni cumulate di gas CO2. Siamo responsabili del 3 per cento del problema. E voi ne inviate il 25 per cento. Quindi, se c’è un problema, qualcuno ha creato il problema. Non siamo stati noi.” Se andate in America Latina, vi diranno esattamente la stessa cosa. “Abbiamo creato il 3 per cento delle emissioni. Se c’è un problema, certamente non l’abbiamo creato noi. Ma ne paghiamo le conseguenze più di voi.” Perché chi sta pagando le conseguenze maggiori del cambiamento climatico? Il cambiamento climatico non è per domani. È già qui. Guardate la temperatura del mare. Non ci credete? Ma chi ne paga le conseguenze? L’Africa subsahariana. È impossibile vivere lì se fa troppo caldo; 38 gradi qui, immaginatevi nell’Africa subsahariana. E nell’Africa subsahariana ogni donna ha in media otto figli. Quindi, non c’è soluzione ai problemi di queste persone senza un forte empowerment della donna. Quando parliamo di uguaglianza di genere, il problema è qui, per noi? Sì. Ma non potete immaginare quanto sia grande questo problema. Ma non potete immaginare quanto sia grande il problema in Mali, o in Ciad o in Niger, dove le ragazze a 14 anni iniziano a riprodursi? Un giorno ho parlato con il presidente del Niger. Mi ha detto: “Per favore, aiutami a prendere le giovani donne, le giovani ragazze e a metterle in una scuola lontano dalla loro famiglia, perché, se rimangono nella loro famiglia, si sposeranno a 14 anni e cominceranno a fare un figlio dopo l’altro e non faranno altro che questo. Aiutami a tenerli lontani dalla tradizione culturale.” Sapete dove si trova questa persona? In prigione. Un anno fa c’è stato un colpo di Stato. I militari hanno preso il potere e lui è in prigione perché voleva cambiare il comportamento culturale della società. E non è così facile.
L’Africa è piena di campi profughi in Sudan, in Etiopia, nel Sud-Est asiatico. Sì, è vero. La guerra è tornata. Non qui, ma è ai nostri confini, è vicina. Ed è per questo che dobbiamo pensare di più al futuro, non solo in termini di economia e commercio e di difesa dei diritti umani: è bene; è necessario. Ma noi europei dobbiamo anche capire che, se vogliamo sopravvivere, dobbiamo, ad esempio, unire maggiormente la nostra capacità di difesa. Continua a essere ridicolo avere 27 eserciti diversi, alcuni dei quali così piccoli da non avere alcun tipo di capacità di combattimento. Spendiamo per la difesa quattro volte la Russia, quattro volte la Russia! Pensate che abbiamo la capacità di combattimento dell’esercito russo, che, tra l’altro, non è così grande come Putin si aspettava? No, certamente no.
C’è un certo parallelismo tra quello che sta succedendo oggi e quello che è successo nel 1941. Il ritorno della guerra in Europa e il peggioramento del panorama geopolitico si verifica certamente per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale. Ci rendiamo conto ora che il post-Guerra fredda si è evoluto in una nuova era. Pochi anni dopo l’elezione di Putin, forse senza che ce ne rendessimo conto, era iniziata la piena invasione dell’Ucraina. Non due anni fa, ma diversi anni fa, con l’avvelenamento letale degli oppositori politici, il conflitto con la Georgia nel 2008 e l’annessione della Crimea nel 2014.
In ogni caso, viviamo adesso. È il momento geopolitico più pericoloso dalla caduta del Muro di Berlino nel 1989. Forse la crisi dei missili a Cuba, ma è molto lontana. Oggi, il concetto di sicurezza e difesa, che non faceva parte della narrazione iniziale della costruzione dell’Europa, sta diventando sempre più importante, e lo sarà ancora di più nei prossimi anni. Il mio lavoro si chiama “politica estera e di sicurezza”. Ma quando sono arrivato a Bruxelles, tutti parlavano di politica estera, non di politica di sicurezza. Oggi il mio successore dovrà occuparsi molto di sicurezza, sapendo che l’Unione europea non è un’unione militare. Costruire la pace tra gli europei non è sufficiente. Se vogliamo affrontare un mondo di violenza in molti luoghi, gli eventi ci obbligano ad agire in quel campo. Come diceva Monet, l’Europa sarà il risultato delle soluzioni collettive per affrontare la crisi. E permettetemi di ricordare un personaggio famoso: Hamilton. Durante la Rivoluzione americana, creò il debito federale. Creò la Federazione accollandosi il debito di tutti gli Stati della Confederazione. Ma accollarsi il debito non era sufficiente. Un debito deve essere ripagato. Il genio di Hamilton fu quello di creare tasse federali per ripagare il debito. Ecco perché quando si parla di federalismo si deve pensare alle tasse federali, al fatto che l’Internal Revenue Service statunitense raccoglieva le tasse federali in tutti gli Stati Uniti. Hamilton, che tra l’altro era un emigrante, era nato in un’isola dei Caraibi. Arrivò a New York ed era un ragazzo di colore. Non era un bianco anglosassone. Non so dove, ma era nato in un’isola dei Caraibi. Hamilton ci mostra la strada.
Dobbiamo avere tasse federali. E il Parlamento europeo (sono stato presidente del Parlamento europeo), dovrebbe essere in grado di aumentare le tasse. E, si sa, i parlamenti votano principalmente le tasse. Nessuna tassazione senza rappresentanza. Questo era il grido dell’indipendenza americana. Nessuna tassazione senza rappresentanza. Ebbene, oggi in Europa possiamo dire no representation without taxation. Affinché i rappresentanti dell’Unione Europea che siedono a Strasburgo siano davvero rappresentativi, dovrebbero avere il potere di tassarci. So che non è molto simpatico parlare di tasse, ma questa cosa esiste.
E c’è un altro personaggio che vogliono ricordare: Demostene. Sapete, Demostene era il filosofo greco che molti anni prima di Cristo metteva in guardia gli ateniesi dicendo: “Guardate, Sparta sta arrivando. Sparta è molto più forte di noi. Gli spartani si stanno preparando alla guerra. Dobbiamo prepararci a difenderci”. E gli ateniesi dissero: “Suvvia, non disturbateci con questo”. Ebbene, alla fine accadde quello che accadde. Demostene si suicidò e Atene fu invasa da Sparta. Questo è un altro esempio.
Fate attenzione. Fate attenzione alle persone che possono aggredirvi e siate pronti a questa eventualità. L’Ucraina non deve diventare un’altra Bielorussia. Quando mi criticano perché chiedo di continuare a sostenere l’esercito ucraino – e qui in Italia ci sono parecchie critiche – la mia domanda è: “Ok, smetto di sostenere l’Ucraina: cosa pensate che succederà?” Quando il Presidente Trump dice: “Ho la formula magica per far finire la guerra in una settimana. Smetto di sostenere l’Ucraina e la guerra finirà in una settimana.” Ma come finirà? Ve lo dico io: truppe russe a Kiev, Zelensky in Siberia; il popolo ucraino schiacciato, le truppe russe al confine con la Polonia. E la Russia che acquista il controllo del 40 per cento del mercato mondiale del grano. No, non credo che sia la soluzione. Il che non significa che non vogliano che la guerra finisca. E sapete chi vuole che la guerra finisca più di chiunque altro? Beh, gli ucraini. Gli ucraini vogliono che la guerra finisca più di chiunque altro. Ma nel rispetto della difesa dei loro diritti e della loro democrazia.
E poi c’è un’altra guerra: Gaza. 40.000 morti tra i civili. Spesso sento alcuni leader europei e persino Kamala Harris l’altro giorno dire che sono state uccise troppe persone. Giusto. Quante sono troppe? 40.000 sono troppi. La prossima settimana saranno di più. Quanti sono troppi? Qual è il punto di arrivo di questa situazione drammatica? Se credete che troppi siano troppi. Allora forse dovreste inviare armi. Perché queste persone vengono uccise con le armi che voi inviate loro. Ma non vedo la fine di questa guerra. Oggi c’è uno sciopero generale in Israele che chiede di cessare il fuoco per fermare il massacro e liberare gli ostaggi.
Ho prestato molta attenzione a questa guerra, questa guerra drammatica. Due popoli che combattono per la stessa terra. E noi dobbiamo impegnarci di più in questa guerra. Ma purtroppo non siamo uniti. Abbiamo opinioni diverse. Alcuni Stati membri riconoscono lo Stato palestinese e altri non credono che sia una buona cosa da fare. Se non siamo uniti, siamo irrilevanti. Per essere rilevanti, dobbiamo essere uniti. E su questo problema non lo siamo. Certo, abbiamo fatto progressi nella costruzione di una politica estera comune. Certamente. Ma per fare di più, dobbiamo essere più uniti e dobbiamo avere modi diversi di prendere le decisioni. Non vedo come l’Europa possa funzionare con la regola dell’unanimità, con 27 paesi che devono essere d’accordo su tutto e con un singolo paese che può bloccare tutto ciò che non gli piace. Ho sul mio conto corrente 6 miliardi di euro – beh, non sul mio conto corrente – ho 6 miliardi di euro sul conto corrente del Servizio per l’azione esterna. Non posso versarli all’Ucraina perché un solo paese si rifiuta. Uno! Quindi, credo che i Trattati dovranno essere modificati per rendere il nostro processo decisionale più agile, più federale, più comunitario. Per non dover essere tutti d’accordo su tutto, perché a volte essere d’accordo su tutto significa non essere d’accordo su niente. Quindi sì, so che è difficile. Ma la prossima generazione di europei dovrà essere più integrata, e più integrata significa essere pronti ad accettare decisioni a maggioranza qualificata, non all’unanimità, e non è un tecnicismo, è il cuore di ciò che è l’Unione europea, di come funziona e di ciò che offre.
Bene, mi sono dilungato troppo. Vi ringrazio per l’attenzione.
Josep Borrell
[*] Trascrizione dell’intervento al 43° Seminario di formazione federalistq e al 40th International Seminar on Federalism organizzati a Ventotene dall’1 al 6 settembre 2024, dall’Istituto Spinelli in collaborazione con il Comune di Ventotene, la Provincia di Latina, il Movimento federalista europeo (MFE), l’Unione europea dei federalisti (UEF), la Gioventù federalista europea (GFE), la Jeunesse Fédéraliste Européene (JEF) e il World Federalist Movement (WFM).