Anno LIX, 2017, Numero 1, Pagina 73
LE RAGIONI DELL’EUROPA
Pubblichiamo gli interventi alla sessione su Presente e futuro dell’Europa svoltasi nel quadro della giornata Le ragioni dell’Europa organizzata il 4 febbraio 2017 dalla Scuola di cittadinanza e partecipazione di Pavia in collaborazione con il Movimento federalista europeo. Alla sessione hanno preso parte: Mons. Corrado Sanguineti, Vescovo di Pavia, Marta Cartabia, vice-Presidente della Corte Costituzionale, Alberto Majocchi, Professore emerito di Scienza delle finanze dell’Università di Pavia, e Giulia Rossolillo, Professore di Diritto dell’Unione europea dell’Università di Pavia.
LE RAGIONI DELL’EUROPA
Ringrazio innanzitutto gli amici della “Scuola di cittadinanza e partecipazione” che hanno voluto organizzare questa giornata di convegno e di riflessioni su un tema così importante e attuale: sappiamo bene che in questi ultimi anni si sono levate molte voci critiche sull’Unione europea, e da parte di non poche popolazioni del nostro continente l’Europa di Bruxelles e di Strasburgo è sentita come una presenza estranea, una grande struttura burocratica, economico-finanziaria, che spesso sembra avere poca attenzione all’identità dei singoli popoli, e si mostra sempre più sfilacciata e carica di tensioni interne. Tendenze anti-europeiste sono ben vive, come ha dimostrato la recente scelta della Brexit da parte della Gran Bretagna, e come attestano partiti e movimenti in differenti nazioni, compresa la nostra.
Il “sogno” dei padri dell’Europa, all’indomani della tragedia della Seconda guerra mondiale, sembra essersi offuscato, e purtroppo di Europa sentiamo parlare soprattutto quando ci sono in gioco i nostri conti economici, oppure quando abbiamo l’impressione di un’assenza drammatica nella gestione di emergenze e sfide del nostro tempo (come l’immigrazione o il terrorismo fondamentalista), o in occasioni nelle quali istituzioni centrali europee danno indicazioni e orientamenti, al fine di condizionare la legislazione e la stessa cultura dei singoli paesi.
In questo senso, è bene chiederci quali siano le ragioni a favore dell’Europa, e perché valga la pena non lasciare cadere il progetto di un’Europa unita, disponibili a rivedere certe sue modalità di attuazione, che sono alla base dello scontento e della crisi attuale.
Ovviamente anche i credenti sono consapevoli dei limiti dell’attuale Unione europea e della necessità di passi nuovi e di una revisione profonda di certi ‘meccanismi’ politici che mostrano tutta la loro inadeguatezza e lontananza dalla vita reale della gente, tuttavia non possiamo dimenticare che, grazie al cammino di questi decenni, nazioni, che per secoli si sono contrapposte e combattute, vivono in pace e che la prolungata condizione di pace è una delle cause dell’accresciuto benessere dei cittadini europei, della facilità agli scambi nei campi della cultura e del lavoro, e della crescita di nuove generazioni capaci di pensare e di progettare in un orizzonte europeo e mondiale.
La Chiesa sente di non poter abbandonare l’Europa a se stessa, rassegnandosi a un risorgente spirito “nazionalistico” e localistico, che porta ciascun popolo e ciascun individuo a chiudersi in se stesso, indifferente e sospettoso verso fenomeni e sfide innegabili: c’è un legame profondo tra cristianesimo ed Europa, e non è un caso che i politici europei del dopoguerra, che hanno avviato il cammino verso l’unione, fossero tutti uomini di fede, cattolici integrali e di alto spessore umano (Alcide de Gasperi, Robert Schumann, Konrad Adenauer).
Se il cristianesimo è sorto in Asia, nella regione mediorientale, con le prime comunità in Israele, nella vicina Siria e nell’Asia Minore, è indubbio che la Chiesa latina e quella d’Oriente hanno messo radici profonde nelle terre dell’Europa, hanno contribuito a plasmare l’identità dei suoi popoli (latini, germanici, slavi), facendo della fede cristiana l’elemento che ha accomunato genti molto diverse tra loro; soprattutto dopo la forte riduzione delle comunità cristiane nelle terre del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale, dominate dall’islam e dalla sua organizzazione politica, l’Europa si è caratterizzata come continente cristiano, nella forma della christianitas medioevale, sempre più separata dall’ortodossia d’Oriente — con le sue capitali spirituali di Bisanzio e di Mosca — successivamente frantumata dall’avvento degli Stati nazionali, dalla rottura della Riforma protestante e dalla tragedia delle guerre di religione.
Se rimane vero che la Chiesa non è confinata al continente europeo, e che vanno acquistando rilievo, per il futuro della fede, altre comunità ecclesiali, più vive e feconde, in Africa, in America Latina e in certe zone circoscritte dell’Asia, è altrettanto vero che il volto dell’Europa, nei prossimi decenni, sarà condizionato dal volto della Chiesa nei popoli del nostro continente, e che la Chiesa rimane una funzione “strategica” e centrale dell’Europa per il futuro della fede. Non nel senso che il cristianesimo può sussistere solo se mantiene una forma europea, quasi esportando e imponendo questa forma nelle chiese di altre nazioni e culture, ma nel senso che gli orientamenti culturali del mondo occidentale (Europa e nord America), di fatto sono quelli che tendono a condizionare, nel breve o lungo periodo, le forme e la mentalità anche di popoli molto lontani. La globalizzazione non è solo un fenomeno economico o finanziario, ma innanzitutto culturale, che attraversa ogni barriera, e tende a plasmare un tipo umano abbastanza simile, con un processo, talvolta sottile e soft, talvolta quasi violento, di “colonizzazione” ideologica, etica e sociale.
Perciò la Chiesa non può non avere a cuore il destino dell’Europa, sotto il profilo dei modelli culturali e antropologici che essa realizza, sostiene ed esporta, e sente che lo stesso futuro della fede cristiana, anche nei popoli che sembrano molto lontani dal modus vivendi dell’Occidente, ha un legame con la capacità del cristianesimo di restare un fenomeno vivo, pur se minoritario, in Europa. Joseph Ratzinger, da cardinale e da Pontefice, ha sempre sostenuto che, nell’orizzonte della modernità e della post-modernità, fenomeni tipicamente europei e nord-americani, le chiese, nelle loro differenti tradizioni, potranno vivere e offrire un apporto positivo solo se avranno la forma di “minoranze creative”, capaci di custodire e difendere il patrimonio spirituale e morale, tipico della tradizione europea, plasmata dall’eredità greco-romana, da quella giudaico-cristiana e da quella moderna e illuministica.
Nei limiti di questo mio intervento, vorrei delineare il contributo, davvero ricco e originale, di riflessione e di pensiero, presente nel Magistero degli ultimi pontefici, in tema di Europa: scelgo di concentrarmi sugli ultimi tre papi, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco, anche se occorre riconoscere che sul destino dell’Europa, ci sono pagine tutt’ora illuminanti in diversi interventi di Pio XII, nei suoi celebri radiomessaggi natalizi, e di Paolo VI, il Papa che nel 1964 proclamò San Benedetto patrono del continente europeo. Non pretendo di offrire una trattazione esauriente e rimando, soprattutto per il magistero di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, a studi e raccolte dei loro numerosi testi sull’Europa e sulla missione dei cristiani europei.
Giovanni Paolo II: “ritrova te stessa, sii te stessa”.
Il primo Papa slavo della storia ha fatto, fin dall’inizio, del tema “Europa” un tratto fondamentale del suo magistero e del suo pontificato, manifestando da subito la preoccupazione che l’Europa, recidendo le radici cristiane, corresse il rischio di perdere il suo volto e di smarrire il patrimonio umanistico, fecondato profondamente dalla fede cristiana.
Non è questo il luogo dove ripercorrere gli atti più rilevanti di Giovanni Paolo, che nei suoi 26 anni di ministero, ha di fatto visitato tutti gli Stati europei, giungendo a toccare anche le nazioni che, prima del 1989, erano nell’area del Patto di Varsavia, e che proprio nello scorcio finale del suo pontificato nel 2004, ha vissuto la delusione di non vedere nemmeno menzionate le radici cristiane nella bozza di Costituzione europea, e non ha trovato ascolto presso i “grandi” dell’Unione.
Già nel 1980, XV centenario della nascita di San Benedetto (480-547), egli aveva pronunciato discorsi di rilievo, soprattutto nelle sue visite a Norcia e a Subiaco e, al termine dell’anno, proclamò i santi Cirillo e Metodio, gli apostoli degli slavi, copatroni d’Europa.
Ma il discorso più ricco e più intenso fu pronunciato a Santiago in occasione dell’Atto europeistico il 9 novembre 1982. In esso Giovanni Paolo II, riprendendo una nota affermazione di Goethe, affermava che la coscienza dell’Europa fosse nata pellegrinando e che proprio nel medioevo le genti europee erano emerse come popoli e nazioni, man mano che abbracciavano il Vangelo. L’identità dell’Europa è dunque incomprensibile senza il cristianesimo e l’anima dell’Europa vive in quei valori umani e cristiani, che l’hanno resa grande e lo stato di crisi che il Papa leggeva già nel 1982, nel continente ancora diviso nei due blocchi, era allo stesso tempo civile e religioso.
Al centro dell’intervento di Giovanni Paolo, fece una forte impressione l’appello rivolto direttamente all’Europa, con toni appassionati e quasi mistici:
“Per questo, io, Giovanni Paolo, figlio della nazione polacca, che si è sempre considerata europea, per le sue origini, tradizioni, cultura e rapporti vitali, slava tra i latini e latina tra gli slavi; io, successore di Pietro nella sede di Roma, sede che Cristo volle collocare in Europa e che l’Europa ama per il suo sforzo nella diffusione del cristianesimo in tutto il mondo; io, Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale, da Santiago, grido con amore a te, antica Europa: ‘Ritrova te stessa. Sii te stessa’. Riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici. Torna a vivere dei valori autentici che hanno reso gloriosa la tua storia e benefica la tua presenza negli altri continenti. Ricostruisci la tua unità spirituale, in un clima di pieno rispetto verso le altre religioni e le genuine libertà. Rendi a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. Non inorgoglirti delle tue conquiste fino a dimenticare le loro possibili conseguenze negative; non deprimerti per la perdita quantitativa della tua grandezza nel mondo o per le crisi sociali e culturali che ti percorrono. Tu puoi essere ancora faro di civiltà e stimolo di progresso per il mondo. Gli altri continenti guardano a te e da te si attendono la risposta che san Giacomo diede a Cristo: ‘Lo posso’.”
Un altro momento rilevante della riflessione di Giovanni Paolo II sull’Europa fu rappresentato dalla sua visita, nell’ottobre 1988, al Parlamento e al Consiglio d’Europa a Strasburgo: nell’ampio discorso rivolto ai membri del Parlamento europeo, il Papa affermava che la Chiesa non può disinteressarsi dell’Europa, e ribadiva che non si può concepire un’Europa fatta solo di mercato (alla fine del 1992 sarebbe nato il mercato unico, tappa d’avvicinamento alla moneta unica). Senza la dimensione trascendente è impossibile concepire un’Europa dei popoli e delle culture, e si rischia la sua trasformazione in una pura organizzazione economica e finanziaria, priva di fondamenta etiche condivise. Inoltre nel suo intervento Giovanni Paolo II ricordava che proprio nell’humus del cristianesimo era racchiuso il principio di una vera laicità dello Stato, con la distinzione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio (cfr. Mt 22,21), pur riconoscendo che purtroppo, molte volte la frontiera tra i due ambiti è stata attraversata nei due sensi; concludeva indicando nel continente europeo un esempio molto significativo della fecondità culturale del cristianesimo, e mettendo in guardia dal rischio che si corre, rinnegando questa eredità: “Il mio dovere è anche quello di sottolineare con forza che se il sostrato religioso e cristiano di questo continente dovesse essere emarginato dal suo ruolo di ispirazione dell'etica e dalla sua efficacia sociale, non è soltanto tutta l'eredità del passato che verrebbe negata, ma è ancora un avvenire dell'uomo europeo — parlo di ogni uomo europeo, credente o non credente che verrebbe gravemente compromesso”.
Nel discorso all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, il Papa riconosce che l’identità europea non è facile da circoscrivere e ha fonti lontane provenienti dall’antica Grecia e da Roma, alle quali si sono aggiunti substrati celtici, germanici e slavi, rimodellati dal cristianesimo; di fatto, in venti secoli la fede cristiana ha forgiato una concezione del mondo e dell’uomo, che resta un apporto fondamentale anche per il futuro, ed è caratterizzata da una visione positiva dell’uomo, da un alto concetto della dignità della persona e della coscienza, nucleo sacro e intangibile dell’essere umano.
È ora impossibile ripercorrere tutti gli interventi con cui il Santo Papa ha accompagnato il cammino dell’Europa negli anni del suo lungo pontificato: anni in cui sono crollati i muri e sono nate nuove speranze di unità e di rigenerazione spirituale, in parte deluse e smentite dagli avvenimenti, tra i quali la tragedia di una guerra brutale nel cuore dell’Europa, nelle regioni della ex-Iugoslavia; anni nei quali il processo di secolarizzazione è andato avanti, con grandi interrogativi riguardo a realtà umane fondamentali, come la famiglia, la generazione, la morte, le possibilità della bio-scienza, lo sviluppo di un capitalismo che aumenta il benessere, ma allarga il fossato tra ricchi e poveri.
Impressiona come già fin dall’inizio del suo pontificato Giovanni Paolo II avesse uno sguardo così lucido e appassionato sull’Europa e come avvertisse già delle sfide che prenderanno corpo nei decenni successivi fino ai nostri giorni: il rapporto con la natura, l’accoglienza e la convivenza con gli immigrati, gli interrogativi morali posti dalle bio-tecnologie, il nichilismo latente di tanta cultura. Di fronte a questi scenari, il Papa venuto dall’Est, grande difensore dei diritti degli uomini e dei popoli, rivolge un appello forte e insistente a tutti gli uomini, anche laici e non credenti, perché è convinto ci sia un bene dell’uomo che dovrebbe essere riconosciuto e custodito da tutti: non occorre essere cristiani per avvertire l’orrore di fronte alle violenze inaudite contro l’uomo, opera delle “ideologie del male” (nazismo e comunismo) che hanno devastato l’Europa e il mondo, o per sentire domande serie e preoccupate su procedimenti medici e scientifici che mettono in questione l’identità umana, o per riconoscere il bene naturale e fondamentale della vita e della famiglia.
Nello stesso tempo, Giovanni Paolo II avverte ed esprime la responsabilità dei cristiani in Europa, perché, al fondo, la crisi della coscienza europea è una crisi della coscienza cristiana, è una crisi della fede, e in questo senso si apre lo spazio e il compito di una “nuova evangelizzazione” che rigeneri la vita e la fede della comunità cristiane in Europa, e renda la Chiesa un soggetto vivo, capace di dare il suo apporto, anche sul piano sociale, culturale e pubblico, alla costruzione della identità europea.
Benedetto XVI: un Papa europeo.
L’interesse che il tema Europa ha avuto nel pensiero di J. Ratzinger, già da fine teologo e cardinale, e successivamente nelle vesti di Sommo Pontefice, è veramente profondo e ha dato origine a una sterminata quantità di scritti, interventi e discorsi. Non è un caso che nel suo pontificato il maggior numero di viaggi si svolgerà in Europa, e in ognuno di essi vi saranno interventi di rilievo, in ambito ecclesiale e in quello civile, culturale e politico, che offriranno dense riflessioni sulla missione della Chiesa in Europa e sulle sfide che il pensiero europeo ha di fronte a sé. Qualcuno ha addirittura parlato di Benedetto XVI come “ultimo Papa europeo”: è una definizione forse esagerata, e sicuramente non possiamo sapere che cosa accadrà nel futuro del papato. Rimane però certo che il profilo del contributo di Papa Ratzinger, sul nostro tema, è di altissimo livello, e sarebbe davvero una grave negligenza farlo cadere nell’oblio.
Già nell’assumere il nome di Benedetto, il cardinale Joseph Ratzinger intende ricollegarsi alla figura del Santo patrono dell’Europa e indicare così nell’esperienza del monachesimo benedettino un patrimonio di valore, non solo per la Chiesa, ma anche per il nostro continente.
Fra i grandi discorsi, di respiro europeo, dovremmo riprenderne troppi, per lo spazio del mio intervento; mi limito soltanto a due interventi che, a mio parere, meglio sintetizzano il pensiero e la proposta di Papa Benedetto per l’Europa.
Il primo testo, che ebbe una vasta eco soprattutto per le contestazioni e le critiche da parte del mondo musulmano, è la celebre prolusione pronunciata all’Università di Regensburg, sul tema “Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni”. Affrontando l’ampio argomento, Papa Benedetto offriva degli spunti di riflessione originali e tuttora validi circa il destino e i compiti dell’Europa e il suo rapporto con il cristianesimo.
Innanzitutto il Papa notava che l’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non fosse un semplice caso, e che in realtà l’avvicinamento tra pensiero greco e fede biblica ebraica fosse iniziato già all’interno d’Israele e nella stessa Scrittura. Proprio qui sta la radice profonda dell’Europa e della sua identità culturale, che porta in sé la triplice eredità, rappresentata da Gerusalemme, Atene e Roma.
Questo processo favorì l’incontro tra fede giudaico-cristiana e ragione, tra un autentico “illuminismo” e la religione, ed è questo incontro tra la fede nel Logos fatto carne e l’interrogarsi filosofico del mondo greco che spiega come mai il cristianesimo abbia dato una sua impronta decisiva all’Europa, e dall’Europa abbia tanto ricevuto.
Nello sviluppo della sua riflessione, Papa Ratzinger passava in rassegna tre espressioni del “programma della de-ellenizzazione” che muove da una critica di questo legame tra fede cristiana e eredità ellenistica, e tenta di ricondurre la fede a una sua pretesa purezza: le tre forme di questo processo sono rappresentate dalla Riforma di Lutero, dalla teologia liberale del XIX e XX secolo, che si accompagna alla riduzione della conoscenza a scienza empirico-matematica, e all’attuale tendenza a considerare la sintesi con l’ellenismo nella Chiesa dei primi secoli come una prima forma d’inculturazione, che non deve essere assolutizzata e non deve condizionare altre culture.
La proposta finale del Papa, di fronte a certe riduzioni della ragione, che si sono sviluppate e affermate soprattutto nella cultura europea moderna e contemporanea, non è un ritorno all’indietro, o un rifiuto delle grandi acquisizioni della scienza, ma un allargamento del nostro concetto di ragione, superando i limiti angusti del razionalismo positivista e scientista:“Non ritiro, non critica negativa è dunque l’intenzione; si tratta invece di un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa. Perché con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell'uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo; se superiamo la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell'esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza”.
Tutto questo che cosa c’entra con l’Europa? C’entra molto, perché la concezione moderna e autolimitante di ragione è tipica del pensiero filosofico europeo in epoca moderna, e se non si recupera questo senso più ampio, capace di far dialogare tra loro il pensiero con l’esperienza religiosa, ci si preclude un vero incontro con le altre culture diffuse nel mondo, che danno spazio alla dimensione trascendente. Inoltre l’Occidente si condanna a vivere in una sorta d’avversione agli interrogativi fondamentali della ragione, che oltrepassano l’ambito scientifico ed empirico, e, soprattutto in Europa, si manifestano dei segni di uno strano “odio” alla propria tradizione umanistica e culturale: è un pericolo già denunciato più volte da Joseph Ratzinger, prima di salire al soglio di Pietro.“Solo così diventiamo anche capaci di un vero dialogo delle culture e delle religioni — un dialogo di cui abbiamo un così urgente bisogno. Nel mondo occidentale domina largamente l'opinione che soltanto la ragione positivista e le forme di filosofia da essa derivanti siano universali. Ma le culture profondamente religiose del mondo vedono proprio in questa esclusione del divino dall'universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime. Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell'ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture. (…) L'occidente, da molto tempo, è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così potrebbe subire solo un grande danno. Il coraggio di aprirsi all'ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza — è questo il programma con cui una teologia, impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa del tempo presente”.
L’altro testo che desidero richiamare è il discorso di Benedetto XVI al mondo della cultura raccolto al Collège des Bernardins a Parigi, durante il viaggio in Francia nel settembre 2008. In un percorso molto originale e affascinante, il Papa, partendo dal luogo dove si svolgeva l’incontro, mostra come le radici della cultura europea siano proprio da rinvenire nella natura stessa del monachesimo occidentale e nei monasteri, autentici luoghi di cultura.
Per Benedetto XVI i monaci cercavano Dio, l’essenziale, non avevano, per sé, l’intenzione di conservare o di creare una cultura. Lo cercavano nella sua parola, nelle Sante scritture, e perciò il loro quaerere Deum per sua natura richiedeva una cultura della parola. In questo modo assumevano importanza le scienze profane che aprono la via alla lingua e alla parola scritta.
La parola biblica, inoltre, riguarda la comunità, suppone un “noi” e tende a creare un “noi”: è una Parola che introduce nella comunione dei credenti. Nello stesso tempo è una Parola che introduce al colloquio con Dio, alla preghiera dei Salmi e tutto ciò richiede lo sviluppo della musica e del canto. Da qui nasce la grande musica europea, che si sviluppa, in primo luogo, come musica liturgica e sacra.
Infine, nell’esperienza monastica, si profila una nuova concezione del lavoro, che nel mondo antico era riservato agli schiavi, ai servi, prende forma una nuova cultura del lavoro, senza la quale non sarebbe stato pensabile né possibile lo sviluppo tecnico ed economico dell’Europa.
Se l’Europa vuole mantenere viva la sua eredità culturale di pensiero e di scienza, e la sua capacità d’intrapresa nel mondo del lavoro e dell’economia, se non vuole smarrire il patrimonio del suo pensiero umanistico, deve superare le diverse forme di “riduzionismo” della ragione, che la indeboliscono e la svuotano dall’interno.“Quaerere Deum — cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati. Una cultura meramente positivista, che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura”.
La conclusione del discorso si muove sulla stessa linea della prolusione di Regensburg, una linea che Papa Benedetto riprenderà e svolgerà, nelle sue implicazioni etiche, politiche e giuridiche nei suoi interventi presso le istituzioni dell’Europa e delle sue singole nazioni, da lui visitate.
Papa Francesco: nuove sfide per l’Europa.
L’attuale pontefice non proviene dall’Europa, non ha vissuto, come Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger, la tragedia immane del nazismo, del conflitto mondiale e dell’Europa divisa in due dalla “cortina di ferro”: è il primo Papa latinoamericano, che proviene “dalla fine del mondo”.
Intenzionalmente, a parte la breve puntata a Strasburgo il 25 novembre 2014, non ha visitato ancora grandi nazioni europee, se escludiamo la Polonia, dove si è recato nel luglio 2016 per la Giornata mondiale della gioventù a Cracovia, e la Svezia, dove ha partecipato alla Commemorazione della Riforma di Lutero il 31 ottobre scorso; ha preferito paesi più marginali, come l’Albania, l’isola di Lesbo in Grecia, che accoglie migliaia di profughi, e Sarajevo, capitale della Bosnia Erzegovina.
Tuttavia, anche Papa Francesco ha sviluppato, in alcuni interventi, un suo pensiero sull’Europa, e vale la pena, sempre in forma sintetica, mettere in evidenza alcuni passaggi più rilevanti.
Sia nel discorso al Parlamento europeo sia in quello al Consiglio d’Europa, Francesco si è soffermato su aspetti e sfide del nostro presente che non possono essere elusi o nascosti, riconoscendo che viviamo ormai in un mondo più interconnesso e globale, e meno eurocentrico.
Ha ricordato che al centro del progetto dei padri fondatori dell’Europa unita c’è l’uomo, considerato come persona e dotato di una dignità trascendente, mentre oggi sono troppe le situazioni, sociali ed economiche, in cui gli esseri umani sono trattati come numeri, come oggetti.
La persona, in quanto tale, possiede dei diritti inalienabili; oggi, tuttavia, assistiamo alla tendenza di rivendicare in modo individualistico i diritti, e questo fenomeno impone una prima sfida: quella di articolare la dimensione personale dei diritti con la dimensione legata al bene comune, con la conseguente necessità di fare appello alla natura relazionale della persona contro la diffusa e crescente solitudine degli individui nel continente europeo e nel mondo occidentale.
Un’altra sfida per l’Europa è riconoscere la preziosità di ogni vita umana e prendersi cura della fragilità: senza apertura alla dimensione trascendente della vita, l’Europa perde la propria anima. Da qui deriva il fondamentale apporto che può dare, ora e nel futuro, il cristianesimo e l’importanza di fare tesoro delle proprie radici religiose.
Altre sfide che il Papa ricorda al Parlamento europeo sono il mantenere viva la democrazia nei singoli paesi, favorire le doti delle persone nella famiglia, nelle istituzioni educative, assumere un forte impegno per l’ecologia ambientale e umana, ridare dignità al lavoro, affrontando il dramma della disoccupazione giovanile, assumere con responsabilità la questione migratoria, superando la tentazioni di egoismi particolaristici e promuovendo sviluppo e aiuti nei paesi d’origine.
Su questa linea, nel discorso al Consiglio d’Europa, Francesco parla di un’Europa ferita e ripiegata su se stessa, insidiata da un individualismo sterile, stanca e pessimista, dove l’immenso patrimonio umanistico dell’Europa rischia di diventare roba da museo! Proprio le sfide del presente che a livello socio-culturale sono identificate nella multipolarità e nella trasversalità, ci obbligano a una creatività, perché le radici siano vive e feconde nell’oggi. Qui, di nuovo, si colloca il contributo che il cristianesimo è chiamato a dare, in collaborazione con altri soggetti dell’Europa:“In tale logica va compreso l’apporto che il cristianesimo può fornire oggi allo sviluppo culturale e sociale europeo nell’ambito di una corretta relazione fra religione e società. Nella visione cristiana ragione e fede, religione e società, sono chiamate a illuminarsi reciprocamente, sostenendosi a vicenda e, se necessario, purificandosi scambievolmente dagli estremismi ideologici in cui possono cadere. L’intera società europea non può che trarre giovamento da un nesso ravvivato tra i due ambiti, sia per far fronte a un fondamentalismo religioso che è soprattutto nemico di Dio, sia per ovviare a una ragione ‘ridotta’ che non rende onore all’uomo”.
Nell’intenso discorso, pronunciato in occasione del conferimento al Papa del “Premio Carlo Magno”, Francesco, dopo aver evocato la crisi attuale di un continente sempre più “invecchiato”, ha indicato una pista per “aggiornare” l’idea d’Europa, in fedeltà all’ispirazione dei padri fondatori:“Nel Parlamento europeo mi sono permesso di parlare di Europa nonna. Dicevo agli eurodeputati che da diverse parti cresceva l’impressione generale di un’Europa stanca e invecchiata, non fertile e vitale, dove i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva; un’Europa decaduta che sembra abbia perso la sua capacità generatrice e creatrice. (…) Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli? (…) Un’Europa capace di dare alla luce un nuovo umanesimo basato su tre capacità: la capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di generare”.
Ma forse l’elemento più interessante di questa proposta del Papa è il compito che egli affida oggi alla Chiesa in Europa: un compito di testimonianza che può avvenire solo attraverso uomini e donne toccati da Cristo e che vivano davvero il Vangelo.“Alla rinascita di un’Europa affaticata, ma ancora ricca di energie e di potenzialità, può e deve contribuire la Chiesa. Il suo compito coincide con la sua missione: l’annuncio del Vangelo, che oggi più che mai si traduce soprattutto nell’andare incontro alle ferite dell’uomo, portando la presenza forte e semplice di Gesù, la sua misericordia consolante e incoraggiante. Dio desidera abitare tra gli uomini, ma può farlo solo attraverso uomini e donne che, come i grandi evangelizzatori del continente, siano toccati da Lui e vivano il Vangelo, senza cercare altro. Solo una Chiesa ricca di testimoni potrà ridare l’acqua pura del Vangelo alle radici dell’Europa”.
Colpisce la consonanza tra questa prospettiva missionaria e testimoniale, presente nelle parole di Francesco e ciò che affermava il cardinale Joseph Ratzinger, alla vigilia della morte di San Giovanni Paolo II, il 1° aprile 2005, alla conclusione della sua lezione tenuta a Subiaco, in occasione del conferimento a lui del Premio San Benedetto:“Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo. La testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di Lui, ha oscurato l’immagine di Dio e ha aperto la porta all’incredulità. Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini”.
Mons. Corrado Sanguineti