Anno LVIII, 2016, Numero 1, Pagina 43
Consegna del riconoscimento
“Altiero Spinelli” ai costruttori dell’Europa federale
al Presiedente emerito della Repubblica
Giorgio Napolitano
(Roma, Palazzo Giustiniani, 22 gennaio 2016)
INTERVENTO DEL
PRESIDENTE EMERITO DELLA REPUBBLICA,
GIORGIO NAPOLITANO
Sono molto grato al Presidente Anselmi e a tutti coloro che con esemplare tenacia tengono viva in Italia la nobile tradizione del Movimento federalista. Grato per un riconoscimento generosamente motivato che mi onora e che tanto più apprezzo in quanto è stato in precedenza conferito a uno dei più rispettati protagonisti italiani della costruzione europea, Carlo Azeglio Ciampi. Grato ancor più per l’occasione che mi si offre di rendere omaggio alla figura di Altiero Spinelli nell’imminenza del 30° della sua scomparsa.
E il fatto che abbiano voluto condividere questa occasione il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e insieme con lui il Presidente del Senato, che ringrazio per il suo caloroso e non formale saluto, e il Ministro degli affari esteri, ha un significato che tutti possono intendere. Gliene siamo riconoscenti.
Insieme con loro saluto cordialmente tutte le autorità e personalità presenti, e con particolare affetto Renata Colorni, tanto cara ad Altiero e Ursula, come tutte le sue sorelle.
* * *
Sulle idee di Spinelli, sullo straordinario dispiegarsi del suo impegno, e dunque sulla sua eredità ho avuto modo, nel tempo, di esprimermi pubblicamente a più riprese, a partire dall’intervento che tenni alla Camera nel primo anniversario della sua scomparsa.
Ancora di recente ho voluto ricordare, all’Università di Pavia, quanto io debba al suo insegnamento, e come assolutamente singolare sia stata la sua vicenda. La lunga e travagliata esperienza di Spinelli in carcere e al confino era culminata nella grande ideazione – insieme con Ernesto Rossi e Eugenio Colorni – del Manifesto di Ventotene. Caduto il fascismo, egli tornò finalmente libero, ma in assoluta solitudine politica. Iniziò dunque la sua lunga marcia forte soltanto del senso della sua missione.
Ma per riflettere qui oggi sull’arduo cammino del processo di integrazione europea e sul modo di affrontare le scelte che ci stanno davanti, vorrei partire dall’ultimo messaggio che Altiero Spinelli, “giunto quasi (così scrisse) all’estremo dei miei anni” consegnò – marzo 1986 – nella premessa a una seconda parte della sua autobiografia, poi rimasta solo abbozzata.
In quella “Premessa” egli evocò le sconfitte sue e del Movimento federalista, e dunque della causa dell’unità europea. E volle dire: “Nessuna di quelle sconfitte ha però lasciato in me quel rancore contro la realtà che così spesso alligna nell’animo degli sconfitti. ... Bisogna sentire che il valore di un’idea, prima ancora che dal suo successo finale, è dimostrato dalla sua capacità di risorgere dalle proprie sconfitte”. E in effetti, l’Europa unita, nel suo farsi da 65 anni a oggi, ha conosciuto non poche e non lievi crisi, e vere e proprie sconfitte. Quando si dice che l’integrazione europea è avanzata attraverso crisi ricorrenti, ci si riferisce a vicende che non è possibile porre tutte sullo stesso piano.
Di certo, da un lato, vicende di tensione e di crisi nei rapporti tra Stati membri della Comunità e nei rapporti tra Stati nazionali e istituzioni europee. Tra le più note la crisi insorta negli anni Sessanta tra la Francia di de Gaulle e la Comunità (la cosiddetta crisi della “sedia vuota”). E, nella seconda metà degli anni Settanta, la crisi tra la Gran Bretagna guidata dalla Signora Thatcher, e la Comunità. Si trattò della polemica sul “giusto ritorno”, con la poco flemmatica Primo ministro britannica che urlò “voglio indietro i miei soldi” (“I want my money back”).
Quelle crisi nascevano non solo da interessi divergenti e da abnormi pretese nazionali, ma da visioni opposte dell’unità europea. E vennero, come poi altre, risolte attraverso compromessi, adattamenti, ambiguità, suscitando delusioni e insoddisfazioni nei più coerenti fautori dell’integrazione.
Altra, e ben più grave cosa, sono state le sconfitte: in quanto hanno interrotto o deviato, per un non breve periodo, il corso della costruzione europea. La prima e più grave sconfitta fu quella del rigetto del Trattato CED nel 1954. In che senso ne fu deviato il corso della costruzione europea ? Ricordiamolo: la Comunità a Sei era stata delineata e varata nel maggio 1950 con la Dichiarazione Schuman di altissima ispirazione e visione politica. Si partì, è vero, da una scelta che apparve tecnica: la messa in comune della produzione franco-tedesca di carbone e acciaio. Ma in effetti si intese intervenire su un punto “decisivo” anche se “limitato”, cioè sulla “fabbricazione di strumenti bellici” di cui le vaste regioni francesi e tedesche erano state “più costantemente le vittime”. L’obbiettivo esplicito nella Dichiarazione era di rendere “materialmente impossibile qualsiasi nuova guerra fra la Francia e la Germania”. E che cosa di più politico poteva esserci dell’obbiettivo della pace in Europa?
La Comunità del carbone e dell’acciaio, introdotta nel 1951-52, fu concepita come “il primo nucleo concreto di una Federazione europea”, così nettamente definita. E infatti si decise subito dopo, nel 1953, di lanciare il progetto di Trattato istitutivo della CED, Comunità europea di difesa. Già la creazione di una difesa comune avrebbe presentato un alto valore politico in senso federale: e solo ora, forse, possiamo comprendere quanto fu grave il bloccare sul nascere quella scelta, destinata a rimanere a tutt’oggi un essenziale anello mancante della costruzione europea.
Ma decisiva, politicamente, fu l’iniziativa di De Gasperi, in stretta intesa con Spinelli – una straordinaria, emblematica collaborazione – di introdurre in quel Trattato l’articolo 38. Esso prevedeva un’Assemblea ad hoc, effettivamente riunitasi già nel marzo 1953, per adottare il “Progetto di statuto di una Comunità politica europea”, redatto in 117 articoli. E oggi è impressionante vedere quanto lontano si fossero spinte le nuove leadership democratiche, rapidamente affermatesi in Italia e in Germania, nel prospettare a paesi sconvolti dalla dittatura, dalla guerra e dalla sconfitta, un orizzonte radicalmente nuovo. Lo fecero pur tra divisioni e opposizioni nei loro paesi, cogliendo le speranze dei popoli impegnati nell’immane compito della ricostruzione e aspiranti a un futuro migliore. Rispetto all’audacia di leader come De Gasperi e Adenauer, quanto appare avvilente l’angustia degli orizzonti e dei calcoli che tanto pesa oggi sulle decisioni degli Stati membri dell’Unione europea.
Ma il voto con cui l’Assemblea nazionale francese bocciò il Trattato CED nell’agosto 1954, ne fece crollare tutto l’impianto politico. E divenne reale il rischio che si dissolvesse il processo di integrazione appena avviato e ancora fragilissimo. Altiero Spinelli avvertì nel profondo quel rischio, e alla sconfitta non reagì “con rancore verso la realtà”, ma mettendosi all’opera per salvare il cammino dell’integrazione europea. Si mise all’opera in stretta sintonia con l’altro grande ispiratore e stratega dell’unità europea, Jean Monnet.
Ma fu giocoforza deviare il corso della costruzione europea da politica a strettamente economica. Un ambito molto importante ma in ultima istanza asfittico, in cui quella costruzione sarebbe rimasta a lungo costretta.
Sappiamo come se ne uscì, anche grazie a un forte contributo italiano: dalla Conferenza di Messina ai Trattati di Roma del 1957, che fondarono la Comunità economica europea. E in quella dimensione, certo, furono conseguiti storici risultati di progresso per tutti, scanditi da richieste di adesione e ingressi di nuovi Stati nel processo di unità dell’Europa. Ma finalmente un nuovo grande passo avanti sul terreno politico fu compiuto nel 1979 con l’elezione diretta del Parlamento europeo.
E di lì riparte il cammino di Altiero Spinelli che, eletto deputato, porta avanti un formidabile sforzo per aggregare consensi attorno al progetto di Trattato istitutivo dell’Unione, portandolo trionfalmente all’approvazione del Parlamento di Strasburgo nel febbraio 1984. Sono, si badi, passati 30 anni dalla sconfitta della CED; e tuttavia sopravviene una nuova sconfitta per Spinelli, quella del tentativo di rendere operante il progetto approvato da un Parlamento europeo privo di potere costituente. Dai negoziati tra governi scaturì quell’Atto Unico con cui Spinelli polemizzò duramente, ma rimettendosi poi ancora una volta all’opera, con le ridotte energie e lo scarso tempo che gli restavano, per aprire la strada a quella che fu la graduale introduzione di elementi importanti del suo progetto nei successivi Trattati europei.
Dopo la scomparsa di Spinelli, fu il Trattato di Maastricht a segnare una svolta in senso federale, dando vita alla moneta unica, alla Banca centrale europea, con delega dunque, da parte degli Stati nazionali, della sovranità monetaria a istituzioni sovranazionali. Si trattò di un reale, rilevante approfondimento dell’unità europea, e nello stesso tempo si preparò il grande allargamento dell’Unione. Questo richiedeva però un nuovo impegno di rilancio ideale e di costituzionalizzazione di quella che stava per diventare una Unione a 25 e poi a 27 membri. Da molteplici discussioni ed elaborazioni feconde nacque il Trattato che stabiliva una costituzione per l’Europa, firmato da tutti gli Stati interessati. Tuttavia – nuova drammatica sconfitta – fu ben presto affossato dall’esito dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi. E ciò confermò ancora una volta quanto sia stato travagliato e spesso spezzato il cammino dell’Europa unita. E la grande novità dell’Unione monetaria rimase fatalmente indebolita, in quanto priva di pilastri politici. Essa non divenne, oltre che monetaria, anche Unione economica effettiva.
Quasi un decennio fa, sono poi intervenute, a condizionare pesantemente le scelte dell’Unione europea, la crisi globale e le sue ricadute finanziarie ed economiche in Europa e in particolare nell’eurozona.
Ci si è da allora concentrati inevitabilmente, ma con scarso respiro politico, su quelle angosciose problematiche comprensibilmente destinate a dominare le popolazioni, le opinioni pubbliche, le reazioni degli Stati membri. Si è puntato perciò affannosamente, in chiave intergovernativa, a sancire, com’era d’altronde necessario, maggiore concertazione e disciplina nelle politiche di bilancio. Ma quelle decisioni non hanno toccato le politiche economiche nella loro più ampia accezione e dimensione.
E scelte rimaste nel quadro di quel che è stata definita l’austerità, hanno mostrato la corda. Bisogna perciò andare oggi avanti sulla via di una più complessiva integrazione e di una visione pienamente politica. In questo senso si sono elaborate nuove proposte (quelle, in particolare, dei Presidenti delle istituzioni europee): ma il passo è lento, le esitazioni e contraddizioni molte, e a complicare drammaticamente il quadro interviene la crisi migratoria, e con essa emerge una crisi degli stessi fondamenti ideali dell’Unione, dei consensi dei cittadini-elettori, degli equilibri politici nazionali, e della funzionalità degli assetti istituzionali europei.
Più crisi, diciamo pure, sfociate in un solo intricato coacervo di rischi e di sfide. E’ a sciogliere quei nodi critici che si deve oggi lavorare, e l’Italia deve contribuire, ispirandosi al sempre vivissimo messaggio ed esempio di Spinelli.
Il che significa combattere le spinte centrifughe e i rigurgiti nazionalistici che davvero minacciano come non mai l’edificio e il futuro della costruzione europea. E se questa vacillasse, noi europei – i nostri paesi tutti, senza eccezione – saremmo relegati ai margini dello sviluppo mondiale, e della ricerca di un nuovo ordine mondiale.
Sono queste le inoppugnabili nuove motivazioni del progetto di unità europea: in quanto dettate imperativamente dai cambiamenti avvenuti nelle realtà e nei rapporti di forza mondiali, che conferiscono drammatica verità alle profetiche parole di Jean Monnet nel 1976: “...oggi, i nostri popoli debbono imparare a vivere insieme sotto regole e istituzioni comuni liberamente consentite se vogliono raggiungere la dimensione necessaria al loro progresso e restare padroni del loro destino. Le nazioni sovrane del passato non sono più il quadro in cui esse possano risolvere i problemi del presente”.
Altro che rientro nei confini degli Stati nazionali, altro che rilancio delle sovranità nazionali, come predicano gli euroscettici, gli eurodistruttori. Ed è tempo, aggiungo, di reagire al vilipendio continuato che viene rozzamente da quella parte nei confronti delle conquiste dell’integrazione e unità europea. Reagirvi non solo sul piano della verità storica ma anche valorizzando i passi avanti che pur in questo così tormentato periodo si sono fatti.
Ne citerò alcuni. Il ruolo assunto dalla BCE a tutela della moneta unica, per la tenuta e la ripresa delle nostre economie; le tappe già raggiunte sulla via dell’Unione bancaria. La maggiore unitarietà e incisività della politica estera e di sicurezza comune al fine della felice soluzione della crisi in Iran, della paziente ricerca di intese per la Siria e in Libia, e contro la maggiore complessiva minaccia, quella del terrorismo fondamentalista islamico.
E’ necessario accompagnare a motivate insoddisfazioni e critiche per il presente stato dell’Unione Europea, l’attenzione a non avallare mai nessun catastrofismo. E’ questo il compito di tutte le forze europeiste.
E ora parliamo pure dell’Italia, senza sfuggire a un’attualità che per più versi ci preoccupa. Vorrei dire a tale proposito solo quel che l’esperienza storica e l’insegnamento di Spinelli suggeriscono. Tra Roma e Bruxelles non c’è nessuna resa dei conti in vista, se non nei titoli a sensazione di qualche giornale. Non possono esserci “rese dei conti” tra un paese, l’Italia, che si è identificata col processo di integrazione europea fin dal suo primo avvio, e un’istituzione, la Commissione, in cui l’Italia ha sempre visto il fulcro – insieme con il Parlamento di Strasburgo – di un’Europa sovranazionale.
Possono e debbono esserci – oltre le escandescenze polemiche e nel reciproco rispetto – confronti e chiarimenti obbiettivi concentrati sulle effettive divergenze da superare. Intese ragionevoli certamente si raggiungeranno, anche sull’interpretazione, applicazione e semplificazione di regole importanti, e innanzitutto con la Commissione.
L’Italia ha, nel tempo, dato alla Commissione di Bruxelles, in funzioni di guida o di alta responsabilità, uomini di sicura tempra europeista. Innanzitutto non dimentichiamolo, lo stesso Altiero Spinelli, Commissario dal 1970 al 1976. E l’Italia ha anche espresso, al livello europeo, non pochi civil servants e rappresentanti diplomatici di grande valore. Né sono certo mancati, tra i governanti dell’Italia repubblicana, esempi di dignità e autorevolezza nei rapporti con le istituzioni europee. Sono rimaste agli atti tracce dell’apporto decisivo dell’Italia, in particolare di alcune Presidenze di turno italiane, in momenti cruciali per l’avanzamento della costruzione comune.
L’Italia è stata, e più che mai resta, portatrice delle istanze e delle soluzioni più avanzate per il progresso dell’integrazione e dell’unità europea. Lo è stata e lo sarà di concerto con i suoi partner egualmente motivati in seno alle istituzioni europee quali sono e quali si evolveranno. Di questo indefettibile impegno è espressione e presidio al livello più alto il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, come ha mostrato con il suo forte discorso a Strasburgo e con il quotidiano manifestarsi del suo e nostro europeismo.
E’ in questa luce che i nostri partner debbono vedere le riserve su decisioni non condivise e le sollecitazioni critiche che l’Italia esprime. Comunque, il nostro paese è chiamato a rivolgersi sempre di più, e con adeguata capacità propositiva, verso obbiettivi di carattere generale e non solo di specifico interesse nazionale. Quel che non si deve smarrire è il grande filo originario della ricerca e affermazione dell’interesse comune europeo, del consolidamento di una “solidarietà di fatto” e di una reciproca fiducia tra tutti gli Stati dell’Europa unita.
E nel momento attuale, di così inquietanti spinte centrifughe, è indispensabile tener fermo innanzitutto il legame storico tra i paesi fondatori, e specialmente tra i maggiori, Italia, Germania, Francia. Questo resta il perno decisivo per reggere ogni scossa, per spingere più avanti l’unità europea, e anche per far sì che gli stessi obbiettivi indicati dai cinque Presidenti, e gli impegni enunciati dalla Commissione, dal piano di investimenti in progetti comuni europei all’Energy Union, si realizzino, non restino a mezz’aria.
Si deve a questo fine perseguire una stretta intesa tra le leadership dei paesi maggiori e più consapevoli; ed essa deve innanzitutto corrispondere alla drammatica priorità del governo dei flussi migratori. Per rendere finalmente esecutive le linee di comportamento già definite, per combinare e non contrapporre accoglienza e sicurezza, specie sul fronte della vigilanza contro il terrorismo, non minando il fondamentale impianto della Convenzione di Schengen, non mettendo a repentaglio l’irrinunciabile conquista della libertà di circolazione delle persone in Europa.
E non esitiamo a guardare anche ai progressi più audaci verso un’Unione politica, un’Unione fiscale, un governo comune delle politiche di ripresa e sviluppo economico, fino a istituzionalizzare – attraverso chiarimenti anche all’interno dell’eurozona – l’area dei paesi che intendono procedere verso una sempre più stretta integrazione, regolando i loro rapporti con gli altri Stati membri dell’Unione europea. Tali progressi possono trovare consenso nei cittadini, tra i quali, nei maggiori tra i paesi fondatori, resiste nel profondo un sentire europeo; possono trovare consenso se rinascerà una forte volontà politica unitaria, basata su quel discorso che è finora mancato, un discorso di verità senza reticenze e dissimulazioni sui rischi estremi che corre l’Europa nel mondo di oggi e di domani.
E’ tempo di liberarci dai reciproci pregiudizi e dagli stereotipi, come quello di un Nord Europa virtuoso e di un Sud che ne è la palla al piede. Ed egualmente quelli di una Germania dominante e di un’Italia poco affidabile. Nel nostro paese stiamo, su diversi piani, sciogliendo contraddizioni e superando ritardi strutturali di antica data. E in quanto allo spettro di un’Europa tedesca (che solo Hitler poté concepire), nessuno Stato membro, per quanto possa esserne obbiettivo ed evidente il peso, potrà mai dominare o imporre la propria egemonia nell’Unione europea, pena la fine dell’Unione stessa. E tra Italia e Germania c’è una profonda convergenza di interessi di lungo periodo, e oggi una concordanza di visioni e di posizioni in campi – lo ha sottolineato il Ministro Gentiloni – come la politica estera e le migrazioni. E’ tra le nostre classi dirigenti e le nostre società in tutte le loro articolazioni che va sviluppata una reciproca conoscenza, e con essa un’atmosfera di costante scambio culturale e umano.
Concludo tornando a quello scritto del marzo 1986 di Altiero Spinelli da cui sono partito. Vi si trova lì il racconto vivissimo dell’incontro di fondazione del Movimento federalista europeo – incontro indetto a Milano da Spinelli con Rossi e Colorni il 27-28 agosto 1943, una settimana dopo che Altiero era tornato libero. E ne scaturisce splendida la sua personalità, nell’intreccio tra passione utopica e concretezza politica, realismo politico.
Il percorso di Spinelli e del movimento da lui ispirato è passato dunque attraverso sviluppi e consensi imprevedibili, come – lo abbiamo visto – attraverso alti e bassi, ostacoli pesanti, ricorrenti incertezze e prove cruciali. Raccogliendo il suo esempio, si deve – se all’Europa si crede – avere il senso dell’urgenza, la prontezza nell’agire volta a determinare scelte ormai mature e indilazionabili, e insieme il senso della portata storica dell’impresa da portare avanti: dall’Europa della sovranità assoluta degli Stati nazionali, dei veleni nazionalistici e delle guerre contro sé stessa, all’Europa unita, dotata di forti istituzioni sovranazionali, orientata in senso federale.
“Chiunque si accinge” – è l’ultimo messaggio di Altiero Spinelli – “ad una grande impresa lo fa per dare qualcosa ai suoi contemporanei e a sé, ma nessuno sa in realtà se egli lavora per loro e per sé, o per loro e per i suoi figli ... o per una più lontana, non ancora nata generazione che riscoprirà il suo lavoro incompiuto e lo farà proprio”.
Altiero Spinelli ha lavorato per noi e per generazioni molto più giovani, non solo della sua ma anche della mia generazione. Mostrandoci la strada del coraggio – con giudizio – in ogni momento critico, e, nel lungo periodo, dell’incrollabile tenacia. Lo ringraziamo ancora.