Anno III, 1961, Numero 6, Pagina 303
LA «PREDICA INUTILE» DI EINAUDI
l necrologi di Einaudi hanno dimostrato che ci sono scritti che, pur essendo pubblici, hanno davvero il carattere di «documenti», di verità da ricercare, da mettere in vista con procedimenti speciali perché, nel corso normale del dire, del conoscere e del fare giacciono nascoste ed inutili. Einaudi fece il primo saggio federalista nel 1897; previde nel 1918 che la Società delle Nazioni non avrebbe potuto impedire la guerra perché non aveva distrutto la sovranità assoluta degli Stati; si rese conto facendo il presidente della repubblica italiana del fatto che l’Italia, come nazione indipendente, sta morendo. Ma tale sua attività di pensiero è stata frettolosamente ricordata con frasi come «si occupò del problema dell’unità europea», quasi che l’aver «salvato la lira», o l’essere stato un epigono del liberismo, siano cose più importanti dell’aver capito le cause della guerra e della pace, dell’ordine e dell’anarchia, del nostro tempo. Il fatto è che queste ragioni vanno contro una «ragione» molto forte nella schiuma del tempo, contro la grande omertà della classe dirigente di governo e di opposizione. Tutti quelli che contano politicamente qualche cosa in Italia contano se l’Italia stessa conta, cioè se si tace il fatto che essa, agli occhi del senso comune come a quelli della sapienza appare, come Stato indipendente, finita. Ed ecco come Einaudi giudicò il fatto:
sul tempo di ratifica della c.e.d.
Nella vita delle nazioni di solito l’errore di non saper cogliere l’attimo fuggente è irreparabile. La necessità di unificare l’Europa è evidente. Gli Stati esistenti sono polvere senza sostanza. Nessuno di essi è in grado di sopportare il costo di una difesa autonoma. Solo l’unione può farli durare. Il problema non è fra l’indipendenza e l’unione; è fra l’essere uniti e lo scomparire. Le esitazioni e le discordie degli Stati italiani della fine del quattrocento costarono agli italiani la perdita della indipendenza lungo tre secoli; ed il tempo della decisione, allora, durò forse pochi mesi. Il tempo propizio per l’unione europea è ora soltanto quello durante il quale dureranno nell’Europa occidentale i medesimi ideali di libertà. Siamo sicuri che i fattori avversi agli ideali di libertà non acquistino inopinatamente forza sufficiente ad impedire l’unione; facendo cadere gli uni nell’orbita nord-americana e gli altri in quella russa? Esisterà ancora un territorio italiano; non più una nazione, destinata a vivere come unità spirituale e morale solo a patto di rinunziare ad una assurda indipendenza militare ed economica.[1]
[1] Luigi Einaudi, Lo scrittoio del presidente, Einaudi, Torino, 1956, p. 89. Gli scritti federalistici ed europeistici di L. Einaudi si possono leggere nel volume citato, in L.E., La guerra e l'unità europea, Edizioni di Comunità, Milano, 1950, nell'antologia curata da E. Rossi (Il Buongoverno, Laterza, Bari, 1954) oltre che, naturalmente, nell'edizione completa delle opere in corso di pubblicazione presso l'editore Einaudi.