Anno III, 1961, Numero 5, Pagina 216
A PROPOSITO DELLA MORTE
DI HAMMARSKJOELD
Hammarskjoeld è morto in guerra. Una piccola guerra che l’O.N.U. stava perdendo contro lo Stato, se così si può chiamarlo, più vile del mondo, il Katanga. Quando la Società delle Nazioni fallì, i politici «realistici», che si occupano ancora del disarmo generale, stabilirono che essa era fallita perché gli U.S.A. non l’avevano sostenuta e così via. In realtà la S.d.N. aveva lo stesso difetto dell’O.N.U.: pretendeva di dirigere il mondo lasciando tutto il potere agli Stati. Sin da allora chi usava la ragione sapeva che la S.d.N. non sarebbe riuscita ed era anche in grado di prevedere eventi come quelli che hanno cagionato la morte di Hammarskjoeld. In effetti una organizzazione per la pace di Stati sovrani se uno Stato si ribella ha una sola possibilità: fare la guerra, un’altra «guerra per la pace», come sempre.
Noi pensiamo che sia giusto commemorare il generoso, ma utopista, Hammarskjoeld con lo studio dei mezzi che si devono impiegare se si vuole davvero realizzare la pace fra gli uomini. A questo scopo, e a titolo di introduzione, pubblichiamo i capitoli VIII e IX. del volume Pacifism is not enough nor patriotism either di Lord Lothian, edito a Oxford nel 1935.
VIII
Torniamo ora a ciò che accadde dopo il 1918. Durante la guerra gruppi di intellettuali nelle nazioni alleate, e in particolar modo in Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia, ricercando le ragioni della catastrofe che si era abbattuta sulla civiltà ed il relativo rimedio, erano giunti alla conclusione che la causa principale era l’anarchia internazionale. Essi compresero che in un mondo senza governo — come quello prima del 1914 — la guerra è inevitabile e destinata a costituirne un dato cronico — specialmente in un’epoca in cui il progresso scientifico diminuiva di ora in ora le distanze spaziali e temporali — e che l’unico rimedio era quello di porre fine all’anarchia creando una ordinata società mondiale basata sul regno del diritto.
Il risultato di queste speculazioni, trasfuse dagli statisti e dai politici nel progetto considerato a quel tempo praticamente attuabile, fu l’accordo per la Società delle Nazioni. L’accordo creò una Assemblea che avrebbe dovuto accogliere rappresentanti di tutti gli Stati del mondo, e che avrebbe dovuto riunirsi a Ginevra una volta all’anno per discutere i problemi internazionali del momento, ed affiancò all’Assemblea, come organi, esecutivi, un Consiglio, che avrebbe dovuto riunirsi non meno di quattro volte all’anno, ed un Segretariato permanente. La funzione principale di questi organismi era quella di prendere in esame le dispute che minacciassero di condurre ad una guerra, e di promuovere una soluzione equa con mezzi pacifici. Tutti i membri si impegnarono a sottoporre qualsiasi controversia alla Corte Internazionale, ad arbitrati o a inchieste da parte del Consiglio o della Assemblea della Società (con relativo rapporto da rendersi entro sei mesi), e di astenersi dal ricorso alla guerra per i tre mesi successivi alla sentenza, decisione o rapporto. L’accordo disponeva inoltre che la Assemblea avrebbe avuto il diritto — a sensi dell’art. XIX — di raccomandare la revisione di trattati divenuti inapplicabili o che dessero luogo ad una situazione internazionale la cui permanenza potesse mettere in pericolo la pace nel mondo, e — a sensi dell’art. XVI — che i membri avevano il dovere di intervenire insieme — si tratta delle cosiddette sanzioni — contro ogni Stato, membro o no della Società, che avesse fatto ricorso alla guerra senza prima tentare le procedure pacifiche disposte dal trattato. Uno dei compiti fondamentali della Società, riconosciuto necessario alla sua efficacia, era quello di promuovere in una certa misura il disarmo generale.
E’ importante notare che il Trattato non vietò del tutto il ricorso alla guerra, ma lo vietò soltanto prima che fossero tentate le procedure pacifiche stabilite dal trattato stesso. La rinuncia totale alla guerra come strumento di politica, che è spesso erroneamente attribuita al Trattato, fu inserita solo nel patto Kellogg, del 1928.
Si può dire che questo nobile ideale sia riuscito a realizzare le speranze dei suoi promotori? La Società della Nazioni per la prima volta ha permesso a milioni di persone di rendersi conto che è possibile porre fine alla guerra e di sostituirvi la giustizia come principio direttivo, degli affari mondiali. Essa ha svolto un ammirevole lavoro nella composizione di controversie di importanza secondaria e nell’impulso dato a riforme di carattere non politico. Essa ha dato ai piccoli Stati un posto nel consesso dell’umanità. Essa ha costituito un utile punto focale per l’opinione pubblica mondiale. Ciò che forse è ancor più importante, la sua esistenza e la sua azione hanno rotto l’incantesimo dei nazionalismi isolati ed hanno incominciato a far pensare dovunque moltitudini di persone in termini mondiali e non puramente nazionali. La sua creazione indubbiamente è stata una pietra miliare nella storia del mondo. Ma non occorrono certo fini argomentazioni per dimostrare che essa ha mancato i suoi obiettivi principali. Non è riuscita ad assicurarsi l’adesione di tutti gli Stati. Non è riuscita a distruggere il nazionalismo economico ed a diminuire le tariffe e le restrizioni che hanno causato disoccupazione dovunque e distrutto la democrazia in molti paesi. Non è riuscita ad attuare il disarmo generale. Non è riuscita ad attuare la revisione dei trattati di pace se non in particolari di importanza secondaria e transitoria. Non è riuscita a mobilitare quel tipo di forza che l’avrebbe resa capace di costringere una grande potenza ad attenersi alla condotta desiderata dall’opinione pubblica mondiale. Oggi la politica internazionale viene discussa sempre meno nel merito, in termini di ragione o di torto, giustizia o ingiustizia, ma sempre più in termini di potere, prestigio e sicurezza in caso di guerra. Qual è il motivo di tutto ciò? Che cosa ha distrutto così inesorabilmente l’efficacia della Società delle Nazioni e sta conducendo spietatamente il mondo verso il riarmo, verso un protezionismo sempre crescente, verso la povertà e la disoccupazione, verso la politica di potenza e la guerra?
La risposta è semplicissima. Non si tratta della malvagità dell’una o dell’altra nazione. Non si tratta di una generale cattiva volontà internazionale. Questi fattori esistono. Ma ciò che li rende attivi, e che è più importante di tutto il resto, è il fatto che il Trattato, come il patto Kellogg, è costruito sulle fondamenta della sovranità degli Stati firmatari. La sovranità statale è la crepa profonda che mina l’edificio del Trattato. Perché il mantenimento della sovranità dello Stato in effetti perpetua l’anarchia e perciò, malgrado tutte le nostre speranze e le nostre professioni di fede, tende decisamente a distruggere gli effetti delle altre disposizioni del Trattato e a lasciare via libera ai mali ai quali l’anarchia inevitabilmente conduce. La sovranità dello Stato nazionale è stata la causa principale del fallimento della Società delle Nazioni e del movimento pacifista post-bellico, come fu la causa prima della Guerra Mondiale e sarà la causa che scatenerà la prossima guerra, se non la mitigheremo in tempo.
Voi potete rispondere giustamente che nient’altro era possibile, che l’idea che gli Stati, nel 1918 o oggi, fossero o siano pronti a rinunciare alla loro indipendenza sovrana è assurda, e che noi dobbiamo porci di fronte al mondo come esso è veramente. Non voglio affatto negare tutto ciò. Sono stato alla Conferenza della Pace e so che nient’altro era possibile. Ma questo non diminuisce minimamente la verità di ciò che sto tentando di dimostrarvi oggi — e cioè che la Società delle Nazioni non può salvarci dalla guerra e che noi non potremo mai sfuggire ad essa finché continueremo a costruire sulla sovranità dello Stato nazionale.
Fino a che il movimento per la pace non comprende questo fatto basilare e non basa su di esso la sua politica a lungo termine, esso militerà nelle file dei seguaci di Sisifo. Ogni qualvolta riuscirà, con un immenso, e sacrosanto sforzo, a spingere il macigno della sovranità nazionale vicino al culmine della collina della cooperazione internazionale, questo sfuggirà al suo controllo e precipiterà a valle schiacciando i suoi capi e, dietro a loro, i loro seguaci.
IX
Tentiamo ora di dare a queste affermazioni una giustificazione teorica. Vi sono quattro ragioni principali per cui la Società della Nazioni, o qualsiasi altro sistema basato su di un accordo di Stati sovrani, è condannato prima o dopo a fallire e ricondurre il mondo all’anarchia e alla guerra, come tutti i sistemi di questo tipo hanno fatto fin dal tempo della confederazione di Delo, colla Confederazione Americana dal 1781 al 1789, colla Società delle Nazioni oggi e forse domani col Commonwealth britannico.
La prima è costituita dal fatto che ogni Stato membro della Società tende inevitabilmente a considerare ogni problema dal proprio punto di vista e non da quello generale. Non esiste alcun organismo che si incarichi di prendere in considerazione gli interessi collettivi. Ogni rappresentante nel Consiglio o nell’Assemblea è, in ultima analisi, il delegato del suo Stato, da esso controllato e verso di esso responsabile. Quindi ogni problema importante tende ad essere considerato come un conflitto di punti di vista nazionali. Il Consiglio e l’Assemblea sono, nella loro essenza, delle conferenze diplomatiche. Così la Società delle Nazioni ha fatto ben poco per creare un patriottismo europeo o mondiale. Il patriottismo statale è più forte oggi che nel 1920.
La seconda ragione è che né il Consiglio né l’Assemblea possono esercitare alcun potere reale. A termini dell’atto costitutivo esso non può disporre di proprie risorse finanziarie né esigere l’obbedienza di un solo cittadino. Per i suoi mezzi finanziari e militari l’organizzazione deve dipendere dalle sovvenzioni e dai contingenti degli Stati sovrani. Se questi sono negati essa non ha alcun potere. Se vi è un conflitto di opinioni tra la Società ed uno qualsiasi degli Stati membri, l’obbedienza del cittadino è dovuta allo Stato e non alla Società. L’esperienza è univoca nel dimostrare che in tutte le Leghe e Confederazioni, le unità sovrane che le compongono non agiscono mai insieme. Ciò può accadere a causa di loro difficoltà interne, o perché essi non approvano la politica decisa dall’organismo internazionale, o perché i loro interessi nazionali sono estranei alla stessa. Non appena si manifesta la insubordinazione di un membro importante, gli altri seguono il suo esempio. Nessuna lega di Stati sovrani può prendere decisioni a maggioranza. Un accordo sui problemi più delicati è in genere impossibile da raggiungere, e non possono essere intraprese azioni decise per il timore di provocare una secessione. La Società delle Nazioni pertanto è un organismo incapace di prendere decisioni e non in grado di assumere responsabilità. Le sue riunioni possono avere un peso morale. Essa può dare un’espressione all’opinione pubblica mondiale. Ma non ha alcun attributo di potere, né esecutivo, né legislativo, né giudiziario.
La terza ragione è che né il Consiglio né l’Assemblea possono revisionare trattati, modificare tariffe o altri impedimenti al commercio o influire in qualsiasi senso sulla struttura politica del mondo se non col consenso liberamente prestato dallo o dagli Stati immediatamente interessati. Tale consenso, nelle questioni importanti, essa non è mai in grado di ottenere. E non è in grado di ottenerlo non solo perché gli Stati sovrani trovano difficile non comportarsi egoisticamente, ma perché in un mondo di sovranità nazionali, la loro politica è inevitabilmente condizionata dalle esigenze della sicurezza. Le considerazioni morali sono messe da parte dalle considerazioni strategiche. E’ questa la ragione per cui il disarmo è impossibile in un sistema di questo tipo. Il disarmo può essere possibile in un periodo in cui tutti gli Stati di una zona sono soddisfatti dello status quo: è impossibile dove vi sono nazioni insoddisfatte e non esistono prospettive di ottenere un rimedio con mezzi pacifici.
La quarta ed ultima ragione per cui lo strumento della Società delle Nazioni non può porre fine alla guerra è che la sola arma che essa può usare per produrre mutamenti o per impedire ad altre nazioni di tentare di farlo coll’aggressione, è la guerra o la minaccia della guerra. Quando la Società può mobilitare preponderanti mezzi finanziari e militari, le sanzioni possono essere efficaci senza il ricorso alla guerra. Ma se non si riesce a giungere ad una preponderanza schiacciante, le sanzioni rischiano di non far altro che trasformare un conflitto locale in una guerra mondiale. Mr. Baldwin, parlando alla Camera dei Comuni nel luglio 1934, disse: «Non esiste sanzione la quale si proponga di funzionare che non significhi guerra; o, in altre parole, se voi volete adottare una sanzione, preparatevi per la guerra». Fare uso di sanzioni significa coartare uno Stato contro la sua volontà, e ciò significa guerra, se il potere o i poteri in questione resistono. In altre parole, lo strumento della Società delle Nazioni è in ultima analisi la guerra. La Società delle Nazioni non è un sistema di pace. E’ solo un sistema che serve per rendere la guerra uno strumento di politica collettiva anziché nazionale.
Fu questo fatto fondamentale che costrinse la Convenzione di Filadelfia nel 1786 a giungere alla conclusione che la federazione rappresentava l’unica soluzione ai problemi che si presentavano alle tredici colonie americane, resesi indipendenti colla rivoluzione. Si capì che non solo il Governo Federale non poteva funzionare se doveva dipendere dall’appoggio volontario degli Stati, ma che, anche se esso avesse avuto la facoltà di impartir loro ordini, l’unico mezzo con il quale esso avrebbe potuto costringerli ad obbedire sarebbe stata la guerra. L’essenza del sistema federale, l’unico vero sistema pacifico, è la divisione del potere di governo tra due organismi, ognuno dei quali è responsabile verso il popolo per l’esercizio del potere nella sua sfera, e nessuno dei quali ha potere sull’altro o è responsabile verso di esso.
Tutto è esattamente uguale nel più vasto orizzonte mondiale. Non si può fondare un sistema per garantire la pace sulla base della coazione esercitata da alcuni Stati su altri, perché ciò significherebbe costruire un sistema per la garanzia della pace sulle fondamenta della guerra. La sola base per un sistema pacifico consiste nel mettere insieme le singole sovranità per fini supernazionali, cioè nella creazione di una comune nazionalità, al di sopra delle diverse nazionalità locali ma completamente separata da esse. Per porre termine alla guerra il principio dello Stato — lo strumento della pace — deve essere applicato su scala mondiale. Dobbiamo realizzare un’unione costituzionale di Stati nazionali con un governo in grado di considerare i problemi mondiali dal punto di vista del benessere generale, che abbia la facoltà di legiferare sulla questioni di comune interesse, che disponga del supremo potere dello Stato di imporre l’obbedienza alla legge, nella propria sfera supernazionale, non ai governi ma ai cittadini, e che in questa sfera possa reclamare l’obbedienza e il lealismo di ogni individuo.
Il pacifista può sacrificare la sua vita pur di non uccidere dei suoi fratelli. Egli avrà fatto ben poco per porre fine alla guerra. L’entusiasta della Società delle Nazioni può impegnarsi in nome della sicurezza collettiva ad imporre sanzioni e ad entrare in guerra contro gli aggressori in qualsiasi parte del mondo. Egli avrà fatto ben poco per porre fine alla guerra. Egli potrà forse combatter guerre migliori, più sagge, di quanto non abbiano fatto gli Stati nazionali, ma sempre guerre saranno: e in più egli correrà il rischio di trasformare ogni conflitto locale in una guerra mondiale. L’isolazionista può sperare di sfuggire alla guerra. Ma non vi riuscirà perché ogni guerra tende a divenire una guerra mondiale e a mettere così in pericolo la sicurezza del suo Stato costringendolo a schierarsi da una delle due parti. Non vi è nessuna possibilità di porre termine alla guerra e di stabilire un regime di pace e di libertà sulla terra, se non mediante la creazione di una vera Federazione (non una lega) di Nazioni. Questa è la verità fondamentale che vorrei capissero coloro che vogliono essere pacifisti e realisti ad un tempo. Soltanto allora cominceremo ad avanzare, per quanto lentamente, verso la nostra vera meta.