Anno LIV, 2012, Numero 1-2, Pagina 100
“Europeizzare” l’Europa*
L’Eurozona è al centro della crisi finanziaria globale perché è l’unico caso in cui, nonostante si parli della moneta mondiale più importante dopo il dollaro, la crisi colpisce una “struttura” debole e non uno Stato con poteri reali. Si tratta di una struttura che sta dissipando la fiducia dei cittadini e dei mercati nella sua capacità di risolvere i problemi — e che al tempo stesso spinge il sistema finanziario internazionale sull’orlo del disastro.
In altre parole, la crisi finanziaria, in questo momento, riflette una crisi politica dell’eurozona, che chiama in causa i fondamenti dell’esistenza stessa del progetto europeo. Se l’Unione monetaria fallisce, non rimarrà molto né del mercato comune, né delle istituzioni europee né dei trattati. Dovremo cancellare sei decenni di successi dell’integrazione europea, con conseguenze imprevedibili.
Questo fallimento verrebbe a coincidere con l’emergere di un nuovo ordine mondiale, nel momento in cui si stanno esaurendo due secoli di predominio occidentale. Il potere e la ricchezza stanno migrando verso l’Asia orientale e gli altri paesi emergenti, mentre l’America sarà occupata dai propri problemi, volgendosi dall’Atlantico al Pacifico. Se gli europei non si faranno carico dei loro problemi ora, nessuno lo farà al loro posto. Se l’Europa oggi non prenderà in mano il proprio destino, diventerà l’oggetto delle nuove potenze mondiali.
La causa della crisi europea non risiede in tre decenni di neo-liberismo. Né è il risultato dello scoppio della bolla speculativa finanziaria, o della violazione dei criteri di Maastricht, o del gonfiarsi dei debiti o dell’avidità delle banche. Per quanto possano essere importanti questi fattori, il problema dell’Europa non è quello che è successo, ma quello che non è successo: la creazione di un governo europeo comune.
All’inizio degli anni Novanta, quando la maggioranza degli Stati membri dell’Unione europea decise di dar vita ad un’unione monetaria con una moneta comune e una banca centrale, l’idea di un governo centrale non trovò sufficiente sostegno. Di conseguenza, questa fase della costruzione dell’unione monetaria venne rinviata, lasciando un imponente edificio privo di fondamenta solide che ne assicurassero la stabilità in caso di crisi. La sovranità monetaria venne messa in comune; ma il potere necessario per esercitarla rimase nelle capitali nazionali.
Allora si pensava che regole formalizzate — che imponessero limiti obbligatori ai deficit, ai debiti, all’inflazione — sarebbero state sufficienti. Ma questa idea di fondarsi su regole si è rivelata un’illusione: i principi devono sempre essere sostenuti dal potere, altrimenti non reggono alla verifica dei fatti.
L’eurozona, una confederazione di Stati sovrani con una moneta comune e con principi e meccanismi comuni, adesso sta fallendo questa verifica. Incapace di rispondere in modo efficace ad una crisi, essa sta perdendo la fiducia, che è il patrimonio più importante di ogni moneta. Se il potere politico europeo non sarà “europeizzato”, facendo evolvere l’attuale confederazione in una federazione, l’eurozona — e l’intera Unione europea — si disintegrerà. I costi politici, economici e finanziari della rinazionalizzazione sarebbero enormi; a giusta ragione, un collasso dell’UE è temuto nel mondo intero.
Al contrario, se verrà affrontato subito il deficit politico dell’Unione monetaria, creando innanzitutto un’unione fiscale (un bilancio comune e debiti comuni), una vera federazione politica diventerà possibile. E su questo punto bisogna essere chiari: solo gli Stati Uniti d’Europa, e nulla di meno, avranno sufficiente potere per prevenire il disastro incombente.
Che piaccia o no, l’eurozona dovrà agire come un’avanguardia all’interno dell’Unione europea, perché l’UE nel suo insieme, con i suoi ventisette paesi membri, non avrà mai la volontà, né la capacità, di accelerare l’unificazione politica. Purtroppo, il consenso unanime sulle modifiche necessarie del trattato UE è semplicemente impossibile da assicurare. E quindi, che fare?
Decisivi progressi nell’integrazione sono stati fatti dagli europei al di fuori dell’ambito dei trattati UE (ma pienamente entro lo spirito europeo), quando hanno concordato di aprire le loro frontiere con il cosiddetto accordo di Schengen (oggi parte dei trattati). Sulla base del successo di questa esperienza, l’eurozona dovrebbe evitare il peccato originale dell’UE di creare strutture sovranazionali prive di legittimazione democratica.
L’eurozona ha bisogno di un governo, che, stando oggi così le cose, può consistere solo dei rispettivi capi di Stato e di governo — sviluppo che è già cominciato. E, dal momento che non può esistere un’unione fiscale senza una politica di bilancio comune, non si può decidere nulla senza i parlamenti nazionali. Ciò significa che è indispensabile una “Camera europea”, nella quale siedano i leader dei parlamenti nazionali.
Inizialmente, questa camera potrebbe essere un organo consultivo, mentre i parlamenti nazionali conserverebbero le loro competenze; successivamente, sulla base di un trattato intergovernativo, dovrebbe diventare un organo dotato di reali poteri di controllo parlamentare, ed essere costituito da delegati dei parlamenti nazionali. Naturalmente, poiché un trattato di questo genere comporterebbe un ampio trasferimento di sovranità verso istituzioni intergovernative, esso richiederebbe di essere legittimato attraverso referendum in tutti gli Stati membri, compresa (e specialmente) la Germania.
Niente di tutto questo affronta importanti questioni, come le politiche comuni per assicurare la stabilità economica e promuovere la crescita. Ma, se abbiamo imparato qualcosa dalla crisi attuale, è che questi problemi non possono nemmeno essere inquadrati finché l’eurozona non ha una cornice istituzionale affidabile, con robuste fondamenta rappresentate da un vero governo, un controllo parlamentare effettivo ed una genuina legittimazione democratica.
Joschka Fischer
* Si tratta di un articolo apparso su diversi quotidiani europei nell’ottobre del 2011 e ripubblicato da Project Syndicate il 27 ottobre 2011. Qui è riprodotto con il permesso di questa testata.