IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LIV, 2012, Numero 1-2, Pagina 89

 

 

Per un Patto federale
tra i paesi fondatori*
 
 
L’impotenza dell’Europa e la necessità di una politica estera e di difesa.
 
L’Unione europea si trova oggi di fronte a molte impasse — politiche ed economiche. Ma l’occupazione dell’Iraq da parte delle truppe americane e britanniche, che ha fatto seguito alle vicende dei Balcani, ha messo in luce con drammatica evidenza che il problema dell’unità politica dell’Europa non mette in gioco soltanto il benessere degli europei e il loro ritardo tecnologico nei confronti degli Stati Uniti ma è, come l’ex-Cancelliere Kohl non si stancava di ripetere negli ultimi anni del suo mandato, una questione di pace o di guerra. L’Europa si è dimostrata totalmente incapace di giocare un qualsiasi ruolo nell’equilibrio internazionale. I suoi popoli volevano la pace, ma i suoi governi non hanno potuto far valere concretamente questa richiesta. Alcuni di essi hanno preferito sfidare la propria opinione pubblica pur di non correre il rischio di essere privati della benevolenza della potenza imperiale. Altri si sono opposti alle posizioni americane, ma la loro impotenza non ha consentito loro di far altro che impedire che l’attacco preventivo di Stati Uniti e Gran Bretagna ottenesse l’avallo del consiglio di Sicurezza, il che non ha potuto per nulla evitare gli eventi successivi.
L’egemonia americana sull’Europa non è certo un fatto recente. Essa data almeno dalla fine della Seconda guerra mondiale. Ma fino a che è durata la Guerra fredda essa è stata parzialmente mascherata dal comune impegno nel contenimento della potenza sovietica e dalla sostanziale coincidenza di interessi tra Stati Uniti ed Europa. Con la fine della Guerra fredda questa coincidenza ha cessato di esistere e il compito che gli Stati Uniti si sono trovati a dover svolgere è stato quello di garantire una qualche forma di ordine mondiale, per quanto precario, estendendo la propria egemonia all’intero pianeta. In questo quadro la condizione di vassalli degli Stati europei è diventata drammaticamente evidente, così come è diventata acuta, nella parte più sensibile dell’opinione pubblica, la consapevolezza del fatto che la causa dell’incapacità di agire dell’Europa sta nella sua divisione. È così che si è fatta più forte e si è diffusa la richiesta che l’Europa parli con una sola voce.
 
La Convenzione.
 
Molti hanno creduto che a questa aspirazione potesse dare una risposta la Convenzione che ha da poco terminato i suoi lavori. Essi si sono sbagliati. La Convenzione non ha prodotto che ciò che le era stato chiesto dal Consiglio europeo di Laeken: un modestissimo toilettage dei trattati precedenti. Tra le innovazioni istituzionali, peraltro tutte di scarsissimo rilievo, che essa ha proposto, quelle che hanno un apparente rapporto con la politica estera (anche se non con la difesa, alla quale si riferiscono le disposizioni assolutamente anodine dell’art. I-40) sono le norme relative al presidente del Consiglio europeo (che non dovrà essere un capo di governo in carica, dovrà dedicarsi al suo compito a tempo pieno e durerà in carica due anni e mezzo, rinnovabili per una volta) e alla creazione del cosiddetto ministro degli Esteri dell’Unione (che sarà nominato dai governi, ma sarà insieme vice-presidente della Commissione, e riunirà in sé le prerogative del cosiddetto Mr. PESC e del commissario incaricato dei rapporti esterni dell’Unione).
Non occorre una argomentazione elaborata per dimostrare che, in presenza di venticinque Stati membri che mantengono intatta la loro sovranità e quindi hanno una propria politica estera e conservano il controllo degli strumenti che servono per realizzarla, questi personaggi saranno dei puri figuranti. Essi saranno condannati all’inazione e all’impotenza dal fatto di dover interpretare gli orientamenti divergenti di venticinque Stati sovrani. Basti pensare a che cosa avrebbero potuto fare un presidente o un ministro degli Esteri dell’Unione di fronte agli opposti atteggiamenti di Gran Bretagna e Francia in occasione della guerra in Iraq.
 
La regola della maggioranza.
 
Molti pensano però che ben diverso sarebbe il giudizio da dare dei lavori della Convenzione se essa avesse proposto (e la Conferenza intergovernativa accettasse) la regola della maggioranza in materia di politica estera e di sicurezza (oltre che di fiscalità). Anche questa opinione è manifestamente erronea. In verità la capacità di agire dell’Europa in materia di politica estera e di difesa non è una questione di regole ma di potere. È ovvio che in materia di politica estera e di difesa le decisioni devono essere prese (anche se per lo più da un governo e non, tranne che in casi particolari, da un organo legislativo). Ma una volta prese esse devono essere eseguite. Si tratta di due aspetti che nell’azione del governo di uno Stato coincidono, perché in uno Stato chi ha la maggioranza dispone per ciò stesso degli strumenti di potere necessari per imporre l’esecuzione delle decisioni prese. Ma che non coincidono affatto in una confederazione di Stati sovrani, come l’attuale Unione europea. In questo caso il potere di eseguire le decisioni non appartiene alle istituzioni dell’Unione che le prendono, ma ai governi degli Stati che dell’Unione fanno parte e che, nelle materie importanti, si riservano di eseguirle o di non eseguirle a seconda della condotta che viene loro imposta dal perseguimento dei propri interessi. Del resto quando la regola della maggioranza fu effettivamente applicata nelle tredici ex-colonie inglesi dell’America settentrionale, sotto la vigenza, dal 1781 al 1787, degli Articles of Confederation (dal cui totale fallimento emerse l’esigenza di unire le tredici ex-colonie in una more perfect union), gli Stati che di volta in volta rimanevano in minoranza, soprattutto nelle decisioni che riguardavano la fornitura all’esercito della Confederazione di contingenti militari e il pagamento dei contributi finanziari ad essi spettanti, si rifiutavano sistematicamente di applicare le decisioni prese dal Congresso.
Non bisogna dimenticare che, in una confederazione, la mancata attuazione da parte di uno o più Stati di una decisione presa è un fatto fortemente disgregante, che mina l’esistenza stessa dell’Unione. Ne consegue che la coesione di questa, per debole che essa sia, dipende unicamente dal consenso degli Stati membri e quindi dall’osservanza, in diritto o in fatto, della regola dell’unanimità. Né bisogna dimenticare che i governi degli Stati membri di una confederazione sono democraticamente responsabili di fronte ai loro elettori e che, qualora gli organi della confederazione prendessero decisioni fortemente impopolari, sarebbero i governi degli Stati membri che subirebbero le conseguenze dell’insoddisfazione e delle proteste dei cittadini e dei gruppi di interesse in cui essi sono organizzati. In casi gravi potrebbe essere messo in pericolo lo stesso ordine pubblico che essi, e non certo la confederazione, devono garantire.
L’Unione europea è più solida e organizzata dell’Unione delle ex-colonie inglesi del 1781-1787. Ma ciò comporta semplicemente la conseguenza che in essa la regola della maggioranza, nelle materie importanti, non viene nemmeno adottata. E quando viene adottata per le decisioni non essenziali, essa non viene quasi mai di fatto applicata. Viene invece seguita la strada del mercanteggiamento e del compromesso in modo che ogni sacrificio di un governo in un settore venga compensato da un vantaggio per lo stesso governo in un altro settore. È così che praticamente tutte le decisioni vengono prese all’unanimità.
 
Necessità di uno Stato europeo.
 
È evidente quindi che le modalità dell’esecuzione delle decisioni condizionano quelle della loro assunzione e il loro stesso contenuto. Le decisioni di un’Unione di Stati sovrani sono compromessi tra gli interessi di tutti i governi. E il profilo di questi compromessi è tanto più basso quanto più numerosi ed eterogenei sono gli Stati che partecipano al processo decisionale. Nessuna confederazione può avere una politica estera efficace, ma è chiaro che una confederazione di venticinque Stati — con collocazioni geopolitiche talora diametralmente opposte — non ne potrà avere nemmeno la parvenza. Bisogna quindi prendere atto del fatto che perché l’Europa possa far sentire la sua voce nel mondo e dare espressione alla volontà di pace dei suoi cittadini non servono né un presidente del Consiglio che abbia una durata in carica più lunga, né un “ministro degli Esteri” europeo, né l’introduzione della regola della maggioranza nelle materie della politica estera e della difesa (nonché in quella, strumentale rispetto ad esse, della fiscalità). Il problema riguarda la sovranità, cioè la creazione di un vero e proprio Stato federale — certo decentrato in quanto federale, ma nel quale la capacità di prendere decisioni non sia disgiunta dal potere di dar loro esecuzione. E parlare di Stato significa parlare di monopolio della forza fisica, cioè di disarmo degli Stati membri e di controllo esclusivo da parte di un governo europeo di un unico esercito europeo: e non certo della creazione di una cosiddetta “forza di intervento rapido” di sessantamila uomini, il cui comandante sia responsabile di fronte a venticinque capi di Stato e di governo, dai quali riceva le direttive per la sua azione. Sia detto en passant che, se nascesse un vero e proprio Stato europeo, sarebbe futile discutere dell’opportunità o meno di mantenere un legame istituzionale tra di esso e gli Stati Uniti d’America. Uno Stato federale europeo sarebbe in grado di garantire da sé la propria difesa. Esso stipulerebbe certo accordi e alleanze, ma seguirebbe di volta in volta politiche in accordo o in contrasto con quelle degli USA a seconda della natura degli interessi in gioco.
 
Il nucleo federale.
 
Uno Stato europeo non potrà essere fondato nel quadro delle attuali istituzioni, anche se vi potrà essere reinserito dopo la sua fondazione. Del resto pensare alla sua creazione sulla base del consenso dei governi di venticinque paesi, nella maggior parte dei quali l’opinione pubblica è dichiaratamente contraria a ogni avanzamento verso qualsiasi forma di unione politica, e che comunque sono profondamente diversi per l’orientamento prevalente nella loro classe politica, per il loro grado di integrazione e per le loro tradizioni in materia di politica estera e di difesa, sarebbe pura follia. Perché uno Stato federale europeo possa essere fondato è necessario che un gruppo di paesi con un forte grado di omogeneità, una forte interdipendenza economica e sociale, un grado avanzato di maturità europea dell’opinione pubblica e tradizioni politiche simili prenda l’iniziativa. Questo gruppo non può essere costituito che dai paesi fondatori della prima Comunità europea. Esso, malgrado le note ambiguità del governo italiano, si è già manifestato, anche se embrionalmente, in più di una occasione. Ma deve essere chiaro che l’iniziativa che questo gruppo deve prendere non si deve limitare a un generico impulso o alla proposta di un progetto da negoziare con gli altri membri dell’Unione. Essa deve invece consistere nella creazione di un nucleo federale da proporre senza ulteriori negoziati, dopo che la sua Costituzione sia stata definitivamente approvata, all’adesione degli altri membri dell’Unione che siano disposti ad entrarvi.
Va ribadito che questo passo deve essere compiuto al di fuori delle istituzioni dell’Unione. Pensare che un nucleo federale possa essere realizzato all’interno di esse, mediante lo strumento delle cooperazioni rafforzate (ora “strutturate”), significa tentare ipocritamente di neutralizzare l’iniziativa deviandola su di un binario morto. Le cooperazioni rafforzate non sono che la manifestazione attualizzata della vecchia idea dell’Europe à la carte. Il loro meccanismo prevede che gruppi di paesi di composizione di volta in volta diversa si formino per realizzare diversi obiettivi; ed esse devono essere autorizzate da tutti i paesi facenti parte dell’Unione europea. L’ipotetica nascita di un nucleo federale secondo questa procedura dovrebbe quindi ottenere il consenso anche dei paesi contrari e dare luogo ad un’entità compatibile con la struttura istituzionale e le leggi dell’Unione. Tutto questo è chiaramente impossibile. La nascita del nucleo federale può essere soltanto l’espressione di una forte e unanime volontà politica dei paesi che vogliono farne parte e dar luogo ad un vero e proprio atto di rottura, così come di fatto è stata un atto di rottura l’unificazione tedesca, della quale i governi degli altri Stati membri della Comunità hanno dovuto soltanto prendere atto adattando, a cose fatte, le regole della Comunità alla nuova realtà.
 
Le obiezioni.
 
Al progetto del nucleo federale si rivolgono abitualmente due obiezioni. La prima è che esso divide invece di unire, escludendo in una prima fase dal nucleo la maggioranza dei paesi dell’Unione. Niente potrebbe essere più falso. L’idea del nucleo federale è nata proprio dalla constatazione che un’Unione politica è impossibile in presenza di una compagine formata da venticinque Stati. Chiedere che il governo inglese o quelli dell’Europa dell’Est prendano insieme ai paesi fondatori l’iniziativa di unirsi in un vincolo federale è semplicemente cervellotico. Ma molti di essi e, a medio termine, tutti non potrebbero non unirsi ad uno Stato federale che esistesse già. Ci si deve quindi rendere conto che il nucleo federale avrebbe la funzione di motore dell’unione e che esso sarebbe il solo strumento in grado di dare un contenuto e uno sbocco politico all’allargamento, impedendo che esso abbia come proprio esito la completa ingovernabilità dell’Unione, l’inapplicabilità della sue regole e il suo conclusivo disfacimento dopo la sua trasformazione in un’area di libero scambio. Il nucleo sarebbe quindi un fattore decisivo di promozione di quell’unità dell’Europa nel suo complesso che l’Unione attuale è totalmente incapace di garantire.
La seconda è che in nessuno dei paesi fondatori esiste attualmente la forte volontà politica necessaria per costituire un nucleo federale. Questo è indubbio. Ma se la volontà di creare il nucleo non esiste oggi nella sua espressione definitiva, è realistico pensare che essa si formerà se se ne creeranno le condizioni. E la creazione di queste a sua volta dipenderà dal quadro nel quale verrà posto il problema della riforma delle istituzioni comunitarie, perché è soltanto nel quadro di un gruppo di paesi ristretto e coeso che le crisi che si stanno abbattendo sull’Europa con sempre maggior forza e frequenza tenderanno — come già oggi in parte fanno — a suscitare le stesse reazioni e a trovare una rispondenza più aperta e più pronta da parte dell’opinione pubblica. È per questo che il gruppo dei paesi fondatori è il solo nel quale è oggi sensato e possibile battersi per la fondazione di uno Stato federale europeo.
 
La difficoltà della scelta e l’alternativa.
 
Rimane il fatto che si tratta di una battaglia di grande difficoltà. La sovranità nazionale si è radicata in Europa nel corso dei secoli. Essa condiziona il comportamento dei governi, della classe politica, dei media e dell’opinione pubblica. Ma il problema è ormai drammaticamente maturo. E non si deve dimenticare qual è l’alternativa alla sua mancata soluzione: si tratta della trasformazione dell’Europa in un insieme di Stati vassalli della potenza egemone, condannati all’impotenza e all’impoverimento, e in ultima analisi all’uscita dall’intreccio principale delle vicende della storia. Ciò è accaduto in passato in tutte le regioni del mondo che non hanno saputo adeguare per tempo le dimensioni dello Stato alle esigenze poste dall’evoluzione degli eventi, come la Grecia all’epoca della conquista macedone e poi romana e l’Italia del Rinascimento. L’Europa, a meno di una drastica inversione di tendenza, sta avviandosi verso la propria sudamericanizzazione: essa deve decidere se rassegnarsi alla propria decadenza seguendo la strada facile dell’inerzia e della subordinazione o opporvisi seguendo quella ardua dell’unificazione politica.
 
Il Patto federale.
 
La storia dell’unificazione europea è stata una storia di corruzione delle parole. Soprattutto negli ultimi tempi, per dare all’opinione pubblica l’illusione che un processo che sta rischiando di esaurirsi stia al contrario avanzando verso esiti progressivi, è stato stravolto e banalizzato il significato di termini come “Federazione” e “costituzione”. È quindi importante sottolineare che la Federazione è uno Stato, dotato della prerogativa della sovranità, e quindi del monopolio della forza fisica, e che non vi è costituzione che non sia la costituzione di uno Stato. Ma è altrettanto importante sottrarre alla stessa corruzione anche la parola “Stato”, che perderebbe le sue connotazioni essenziali se si lasciasse circolare la menzogna secondo la quale lo Stato si identificherebbe con l’estensione alla politica estera e alla difesa (nonché alla fiscalità) del principio di maggioranza.
Allo stesso modo è importante mettere in chiaro che l’unione di più Stati nazionali in un unico Stato federale europeo, al di là dei problemi legati alle dimensioni del quadro, non potrà mai nascere dalle deliberazioni di un’assemblea. I protagonisti della creazione di uno Stato federale non potranno che essere coloro nei quali si manifesta il massimo livello di responsabilità politica, cioè gli uomini di governo. Essi esercitano il potere reale, e quindi possono trasferirlo ad una nuova entità, anche se la loro iniziativa non potrà manifestarsi che in una situazione eccezionale, sulla base di una forte spinta del popolo, cioè del detentore ultimo del potere costituente, e in un clima di dibattito che coinvolgerà l’intera classe politica. Altro è l’elaborazione della sua costituzione, cioè la formulazione delle regole che disciplineranno la vita di questa nuova entità, un volta che essa sarà stata creata: in ogni caso il pactum unionis non coincide con il pactum constitutionis. È del resto quello che, in un contesto non federale, è accaduto in occasione della ricostituzione dello Stato repubblicano dopo la seconda guerra mondiale in Francia e in Italia, dove prima è stato costituito il governo repubblicano, e dopo gli è stata data una costituzione.
Il primo nucleo di uno Stato europeo non può quindi nascere che da un Patto federale, stipulato dai governi dei paesi fondatori, con il quale si realizzi il trasferimento della sovranità. Esso creerà un governo provvisorio, che controllerà l’esercito europeo e provvederà successivamente alla convocazione di un’Assemblea costituente.
 
Il contenuto del Patto federale.
 
Non si può evidentemente in questa sede andare al di là di una indicazione sommaria del contenuto del Patto federale, che dovrà essere completata, perfezionata e corretta da chi possegga le conoscenze tecniche necessarie. Una prima formulazione è comunque necessaria per mettere in vista la natura dei problemi da affrontare, cioè per far apparire chiaramente che cosa significhi creare uno Stato federale europeo e per impedire che si giochi sull’ambiguità di espressioni come quella di “Federazione di Stati nazionali”. In questo modo si metterà in cruda evidenza anche la difficoltà dell’obiettivo da raggiungere. Il progetto sarà quindi accolto dai più come un sogno o come una pura esercitazione teorica. Resta il fatto che, se gli europei vogliono realizzare l’obiettivo dell’unità politica dell’Europa — quello che ha guidato tutto il cammino dell’integrazione — essi devono affrontare e risolvere questi problemi e non altri, perché non vi è altra via per rilanciare il processo e per impedire il suo inesorabile e rapido declino. Ritenere invece che il progetto del nucleo federale sia una pura utopia, e che l’opinione pubblica dei paesi fondatori e la classe politica che la rappresenta non siano comunque, né saranno in un futuro relativamente prossimo, in grado di esprimere le energie e la volontà necessarie per realizzarlo, significa rassegnarsi fin d’ora all’ingloriosa conclusione del cammino dell’unificazione europea e conseguentemente alla crisi delle istituzioni democratiche e all’imbarbarimento della convivenza nei paesi del continente. L’Europa si sta avvicinando ad una crisi radicale: e situazioni radicali richiedono risposte radicali. Del resto la storia alterna a fasi di evoluzione lenta fasi di rapida e profonda trasformazione. In queste ultime diventa realistico ciò che nei periodi normali sembrava utopistico. Ci troviamo quindi di fronte ad una battaglia difficile, ma che è la sola per cui oggi valga la pena di combattere.
Ecco quindi, nei suoi punti fondamentali, il contenuto che dovrebbe avere il Patto federale:
1. I governi dei paesi fondatori convengono di unire i loro Stati in un Patto federale creando uno Stato federale denominato “Stati Uniti d’Europa”.
2. Gli Stati Uniti d’Europa saranno retti da un governo provvisorio composto dai capi di Stato e di governo firmatari del Patto.
3. Il governo provvisorio degli Stati Uniti d’Europa sarà composto dal presidente, da un vice-presidente e da quattro ministri, che avranno rispettivamente come competenza gli affari esteri, la difesa, l’economia e le finanze, i rapporti con l’Unione europea e con gli Stati membri.
4. Gli affari esteri e la difesa saranno competenze esclusive del governo provvisorio degli Stati Uniti d’Europa e nel loro ambito esso avrà pieni poteri; l’economia e le finanze saranno gestite in via concorrente e in collaborazione con le istituzioni nazionali ed europee; i rapporti con l’Unione europea e con gli Stati membri saranno gestiti secondo le modalità rese necessarie dalla natura dei problemi da risolvere.
5. Nel Patto viene designato il presidente del governo provvisorio degli Stati Uniti d’Europa e vengono attribuiti la vice-presidenza e i ministeri agli altri suoi membri.
6. Il governo provvisorio degli Stati Uniti d’Europa, procedendo per cooptazione, porterà nel più breve tempo possibile la propria composizione a dodici membri, affiancando ad ognuno dei ministri (oltre che al presidente e al vice-presidente) un sottosegretario scelto in ognuno degli Stati contraenti, di preferenza nell’ambito degli schieramenti di opposizione. Ciascuno di essi eserciterà le proprie funzioni in un ministero diverso da quello gestito dal capo del rispettivo governo nazionale.
7. La successione ai membri del governo provvisorio degli Stati Uniti d’Europa alla guida dei rispettivi governi nazionali sarà disciplinata dalle regole in vigore in ciascuno di essi.
8. L’esercito, la marina, l’aviazione, nonché la gendarmeria attualmente dipendenti dai ministeri della Difesa nazionali vengono unificati in un unico esercito europeo il cui capo supremo sarà il presidente del governo provvisorio degli Stati Uniti d’Europa. L’esercito europeo passerà sotto il comando di uno stato maggiore europeo di cui faranno parte i capi di stato maggiore e altri alti ufficiali di ciascuno dei paesi che avranno sottoscritto il Patto. Il capo di stato maggiore generale risponderà al ministro della Difesa del governo provvisorio. Nel Patto sarà nominato il capo di stato maggiore generale.
9. Vengono automaticamente soppressi i ministeri degli Esteri e della Difesa degli Stati i cui governi hanno sottoscritto il Patto. I rispettivi bilanci confluiranno nel bilancio del governo provvisorio degli Stati Uniti d’Europa.
10. Le rappresentanze diplomatiche e consolari degli Stati che avranno sottoscritto il Patto saranno unificate nel più breve tempo possibile. Prima che ciò avvenga ognuna di esse rappresenterà non più un singolo Stato membro, ma gli Stati Uniti d’Europa.
11. Il ministro dell’Economia e delle finanze viene autorizzato a emettere un prestito pubblico secondo le modalità definite dal governo provvisorio su proposta dello stesso ministro dell’Economia e delle finanze.
12. Fino alla prima elezione generale, che sarà indetta dopo il termine dei lavori dell’Assemblea costituente menzionata al punto successivo, il controllo parlamentare sull’attività del governo provvisorio degli Stati Uniti d’Europa sarà esercitato in via consultiva dai deputati al Parlamento europeo appartenenti agli Stati che hanno sottoscritto il Patto federale.
13. Entro due mesi dal completamento del processo delle ratifiche del Patto federale, il governo provvisorio degli Stati Uniti d’Europa indirà l’elezione, con un sistema elettorale uniforme, di un’Assemblea costituente il cui mandato sarà quello di redigere la Costituzione degli Stati Uniti d’Europa. Questi dovranno avere la forma di uno Stato federale, fondato sul principio di sussidiarietà, nel quale le istituzioni europee disporranno almeno dei poteri della politica estera e della difesa, delle grandi linee della politica economica e delle infrastrutture nonché della politica della ricerca scientifica e dello sviluppo tecnologico; il capo dell’esecutivo dovrà essere democraticamente responsabile di fronte all’elettorato o di fronte al Parlamento (o ad un suo ramo) e corrispondentemente dovrà essere eletto dai cittadini o dal Parlamento; il potere legislativo sarà affidato ad un Parlamento bicamerale del quale un ramo rappresenterà proporzionalmente i cittadini e l’altro rappresenterà gli Stati; il potere giudiziario avrà la sua massima espressione in una Corte di Giustizia il cui compito sarà quello di interpretare la Costituzione dichiarando la nullità delle norme di legge che confliggeranno con essa; la Costituzione dovrà essere emendabile attraverso una procedura che non implichi l’unanimità dei consensi degli Stati membri; il diritto di secessione sarà escluso; le istituzioni europee saranno dotate di un potere di imposizione autonomo o esercitato in collaborazione con quello degli Stati membri, delle regioni e dei poteri locali; la Costituzione conterrà una norma transitoria che consenta a tutti gli Stati dell’Unione europea che non avranno sottoscritto il Patto di diventare Stati membri degli Stati Uniti d’Europa accettandone la Costituzione e gli obblighi che ne deriveranno. La Costituzione elaborata dall’Assemblea costituente sarà sottoposta a referendum popolare.
14. Gli Stati Uniti d’Europa continueranno a far parte dell’Unione europea e dell’Unione monetaria europea, sempre che le rispettive istituzioni non vi si oppongano. Il ministro degli Stati Uniti d’Europa deputato ai rapporti con l’Unione europea darà avvio senza indugio con le autorità dell’Unione europea alle trattative necessarie per concordare le condizioni alle quali tale partecipazione potrà continuare.
15. Il Patto verrà sottoposto alla ratifica degli Stati i cui rappresentanti lo avranno sottoscritto, secondo le modalità previste dalla costituzione di ciascuno di essi, ed entrerà in vigore tra gli Stati che lo avranno ratificato, a condizione che questi rappresentino almeno i quattro quinti degli Stati che lo hanno sottoscritto e la stessa proporzione della popolazione complessiva di questi ultimi.
 
Francesco Rossolillo


* Editoriale de Il Federalista, 45, n. 2 (2003), pp. 71-81.

 

 

 

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