Anno LIV, 2012, Numero 1-2, Pagina 65
RIFLESSIONI SULLA POLITICA EUROPEA*
I. Situazione
Lo sviluppo del processo di unificazione europea è entrato in una fase critica. Se entro due-quattro anni non si trova una soluzione alle cause di tale inquietante evoluzione, anziché indirizzarsi verso la maggiore convergenza prevista dal Trattato di Maastricht, l’Unione rischia di imboccare inesorabilmente la via di una formazione più debole, limitata essenzialmente ad alcuni aspetti economici e composta da diversi sottogruppi. Tale zona di libero scambio “migliorata” non potrebbe consentire alla società europea di superare i problemi esistenziali e le sfide esterne che si trova ad affrontare.
Le cause principali sono:
— sovra-estensione delle istituzioni, create per sei Stati, ma chiamate a funzionare con dodici e presto (presumibilmente) con 16 membri;
— crescente divergenza degli interessi basati su un diverso grado di sviluppo socio-economico e capace di occultare la fondamentale comunanza di interessi;
— diversa percezione delle priorità interne e soprattutto esterne (ad esempio, Maghreb, Europa dell’Est) in seno all’Unione europea che si estende da Capo Nord a Gibilterra;
— profondo mutamento economico-strutturale, caratterizzato da una massiccia disoccupazione — impossibile da superare a breve termine — e che minaccia i sistemi sociali, già duramente provati, e la stabilità della società. Tale crisi non è che un aspetto della crisi generale che ha colpito la civiltà occidentale;
— rafforzamento del nazionalismo “regressivo” in (quasi) tutti gli Stati membri, a causa dei problemi interni dello sviluppo delle società moderne e delle minacce esterne, quali la migrazione. I gravi timori inducono a ricercare, se non le soluzioni, almeno un rifugio, nel ritorno al nazionalismo e nello Stato-nazione;
— massiccio intervento ed evidenti debolezze di alcuni governi e parlamenti nazionali di fronte ai problemi menzionati;
— questione aperta — se non altro per quanto concerne la data e le modalità — dell’integrazione nell’Unione europea degli Stati dell’Europa centrale (e orientale), sfida lanciata agli attuali Stati membri e banco di prova non solo per quanto riguarda il contributo che essi desiderano e possono apportare, ma anche per quanto concerne la loro auto-definizione, morale e spirituale. La risposta dell’Unione confermerà o meno la sua capacità e determinazione a diventare l’asse portante dell’ordine continentale, a fianco di una Russia democratica, dalla rinnovata stabilità, mantenendo tuttavia l’alleanza con gli Stati Uniti.
II. L’interesse della Germania
Considerata la sua posizione geografica, la sua estensione e la sua storia, la Germania è particolarmente interessata a fare in modo che l’Europa non subisca l’effetto di forze centrifughe che la releghino di nuovo in una scomoda posizione intermedia.
Questa posizione tra l’Est e l’Ovest le ha impedito in passato di dare al suo ordine interno un orientamento inequivocabile e di trovare un equilibrio stabile e duraturo nelle relazioni con l’esterno. I tentativi della Germania di superare, con la conquista egemonica, questa situazione che la poneva al centro di tutti i conflitti europei, si sono risolti in un fallimento. La catastrofe militare, politica e morale del 1945 conseguente all’ultimo di tali tentativi, non solo ha reso la Germania consapevole dell’insufficienza delle sue forze, ma ha fatto nascere la convinzione che la sicurezza può essere realizzata solo a costo di una profonda modifica del sistema statuale in Europa, che renda inconcepibili le aspirazioni egemoniche, spogliandole di qualsiasi attrattiva. Tale convinzione è ormai divenuta la massima ispiratrice della politica tedesca. Perciò il problema della “sicurezza nei confronti della Germania” è stato risolto tramite la “sicurezza con la Germania”. Questo nuovo sistema, in grado di coniugare il controllo della Germania da parte dei suoi interlocutori con il controllo di questi ultimi da parte della Germania, è stato possibile solo perché la parte occidentale della Germania è divenuta indispensabile alla salvaguardia della sicurezza dell’Occidente nei confronti dell’Unione Sovietica e perché, in campo militare, la NATO, sotto la direzione degli Stati Uniti, si è dichiarata pronta ad assumere questo duplice compito dell’integrazione della Germania. Sul piano economico e sempre più sul piano politico, si è pervenuti ad una soluzione con l’integrazione della Germania nella Comunità/Unione europea. Da ciò deriva la necessità di creare istituzioni comuni per la gestione delle sempre più intricate relazioni europee (occidentali). All’interno di tale sistema, la relativa superiorità economica della Germania, anziché tradursi in un predominio di tale paese, si rivelava benefica per tutti. Così, per la prima volta nella sua storia, la Germania — per lo meno la maggior parte di essa — diventa parte integrante dell’Occidente, sia per quanto concerne il suo ordine interno, sia per il suo orientamento verso l’esterno. Per la Germania, l’unica alternativa è questo sistema postbellico straordinariamente stabile e sperimentato, dato che, a seguito del confronto Est-Ovest e della sconfitta totale della Germania nel 1945, non si poteva parlare di una politica tedesca autonoma nei confronti dell’Est, né tantomeno di un suo orientamento verso l’Est.
Ora che è stato superato il conflitto Est-Ovest, bisogna trovare un ordine stabile anche per la parte orientale del continente, ricerca di particolare interesse per la Germania: considerata la sua situazione, sarebbe infatti la prima a subire gli effetti diretti dell’instabilità dei paesi dell’Est. L’unica soluzione in grado di impedire il ritorno all’instabile sistema prebellico che relegava la Germania in una scomoda posizione tra Est e Ovest, consiste nell’integrare i paesi vicini del Centro e dell’Est nel sistema europeo (occidentale) postbellico, mantenendo al tempo stesso un’ampia intesa con la Russia. Bisogna assolutamente impedire che si crei di nuovo quel vuoto nel cuore dell’Europa che ne minaccerebbe la stabilità. Se l’integrazione europea (occidentale) non si evolvesse in tal senso, la Germania potrebbe, per effetto della necessità di sicurezza, essere condotta o costretta a definire per proprio conto, e facendo ricorso a mezzi tradizionali, la stabilità nell’Est europeo. Tale compito sarebbe ben al di sopra delle sue forze e comporterebbe lo sgretolamento della coesione in seno all’Unione europea, tanto più che è ancora presente ovunque il ricordo di un passato in cui la politica verso l’Est consisteva essenzialmente, per la Germania, in una cooperazione con la Russia a scapito degli Stati situati tra questi due paesi. Di conseguenza, è di fondamentale interesse per la Germania che l’Unione si allarghi ad Est, ma anche che si approfondisca, in quanto l’approfondimento costituisce il presupposto stesso dell’allargamento. Senza un consolidamento interno, l’Unione non sarebbe in grado di far fronte agli immensi compiti che scaturiscono dall’estensione verso Est e rischierebbe di crollare, per tornare ad essere un debole raggruppamento di Stati incapace di soddisfare il bisogno di stabilità della Germania. Tale interesse alla stabilizzazione, proprio della Germania, è, in linea di principio, identico a quello dell’Europa nel suo complesso.
Per la sua posizione, la sua estensione ed i suoi stretti rapporti con la Francia, la Germania ha una particolare responsabilità nei confronti dell’integrazione della parte orientale dell’Europa e l’opportunità di svolgere un ruolo determinante nella promozione di uno sviluppo foriero di benefici sia per la Germania che per l’Europa.
L’avvento della Germania alla presidenza dell’Unione, il primo luglio 1994, segna per questo paese l’avvio degli immensi sforzi necessari, a lungo termine, per raggiungere tale obiettivo.
III. Che cosa fare? Proposte
L’obiettivo sopra indicato può essere raggiunto solo tramite una combinazione di diversi provvedimenti, sia in ambito istituzionale, sia in diversi ambiti politici. Si propongono, di seguito, cinque provvedimenti interdipendenti e che costituiscono un complesso unitario:
— sviluppo istituzionale dell’Unione, realizzazione del principio di sussidiarietà, che comprende anche un nuovo trasferimento di competenze ai livelli inferiori;
— rafforzamento del nucleo duro dell’UE;
— miglioramento qualitativo dei rapporti franco-tedeschi;
— rafforzamento della capacità d’azione dell’Unione in materia di politica estera e della sicurezza;
— allargamento dell’Unione all’Est.
Ovviamente, la lotta contro la criminalità organizzata, la realizzazione di una politica comune per le migrazioni, la lotta alla disoccupazione, una politica sociale comune, la competitività dell’Europa e la protezione dell’ambiente, sono di importanza decisiva soprattutto per la percezione dell’Unione da parte dei cittadini europei.
1. Sviluppo istituzionale.
Lo sviluppo istituzionale dell’UE da parte della Conferenza intergovernativa del 1996, deve basarsi sui seguenti principi:
— l’obiettivo deve essere il rafforzamento della capacità d’azione dell’UE e il rafforzamento delle sue basi democratiche e federali;
— a tal fine, bisogna trovare una risposta al problema costituzionale, vale a dire alla questione di sapere chi deve fare che cosa. Questa risposta deve essere oggetto di un documento quasi-costituzionale che delimiti chiaramente le competenze dell’Unione europea, dei suoi Stati membri e delle regioni, definendo le idee fondamentali su cui si basa l’Unione;
— questo documento deve ispirarsi al modello dello Stato federale e al principio di sussidiarietà, per quanto concerne non solo la delimitazione delle competenze, ma anche il problema di sapere se certi compiti debbano essere assunti dai pubblici poteri, inclusa l’Unione, o se, invece, debbano essere riservati ad associazioni. La Germania, che ha chiesto l’inserimento del principio di sussidiarietà nel Trattato di Maastricht ed ha una certa esperienza in merito, è chiamata ad avanzare proposte concrete non solo in merito all’applicazione del principio di sussidiarietà ai futuri provvedimenti dell’UE, ma anche in merito all’adattamento degli attuali regolamenti a questo principio;
— tutte le attuali istituzioni, Consiglio, Commissione, presidenza e Parlamento europeo, devono essere riformate. Sono già state avanzate numerose proposte al riguardo, tra le quali quella del gruppo parlamentare CDU/CSU. Le riforme devono tendere ad un nuovo concetto di equilibrio istituzionale, che conferisca progressivamente al Parlamento il carattere di organo legislativo, con pari diritti rispetto al Consiglio. Quest’ultimo è chiamato ad assumere, oltre ad altri compiti di natura essenzialmente intergovernativa, il ruolo di seconda Camera, vale a dire di Camera degli Stati, mentre la Commissione agirà in qualità di governo europeo.
Oltre ad incrementare l’efficacia, la democratizzazione dell’Unione deve costituire il principio centrale, applicabile anche e soprattutto al Parlamento europeo, che del resto dovrebbe essere invitato sin d’ora ad agire in stretta collaborazione e con piena fiducia per preparare la Conferenza intergovernativa del 1996. Parallelamente, e non prioritariamente, è bene attribuire un ruolo importante alla partecipazione dei parlamenti nazionali alla formazione della volontà politica in Europa. Trattandosi del Consiglio, il termine democratizzazione è sinonimo di migliore equilibrio tra il principio di uguaglianza di tutti gli Stati membri, da un lato, e la ripartizione dei voti in rapporto al numero di abitanti, dall’altro.
Lo sviluppo futuro delle istituzioni dell’UE deve coniugare coerenza e consistenza, elasticità e flessibilità.
Le istituzioni dell’Unione devono essere sviluppate in modo da presentare un’elasticità capace di compensare le tensioni, inevitabili in una Comunità che si estende da Capo Nord a Gibilterra, e raggiungere una differenziazione adeguata alle diverse capacità (e volontà) di integrazione degli Stati. D’altra parte, devono essere sufficientemente stabili per consentire un rafforzamento della capacità d’azione dell’Unione di fronte a sfide particolarmente importanti.
Nonostante le notevoli difficoltà giuridiche e pratiche, l’idea di “geometria variabile” e di un’Europa “a più velocità” dovrebbe essere fatta propria ed istituzionalizzata, per quanto possibile, nel Trattato sull’Unione o nel documento quasi-costituzionale sopra citato. Altrimenti, l’Unione si limiterà ad una cooperazione intergovernativa favorevole ad una “Europa alla carta”. In tale contesto si colloca anche il problema di sapere se, in caso di emendamento del Trattato di Maastricht, il principio dell’unanimità enunciato dall’articolo N debba essere sostituito da un quorum da specificare. E’ fondamentale che nessun paese possa opporre il proprio veto, bloccando così gli sforzi di altri paesi, più idonei e determinati ad aumentare la propria cooperazione e integrazione.
Lo sviluppo di un approccio flessibile all’integrazione prevista dal Trattato di Maastricht per l’Unione monetaria e già attuata al di fuori del Trattato nell’ambito dell’Accordo di Schengen, appare ancor più necessario in quanto le difficoltà dello sviluppo istituzionale sopra citato, già immense nell’attuale situazione, non sono destinate a diminuire in futuro, come hanno indicato i negoziati sull’adesione all’Unione degli Stati dell’EFTA. Sarebbe già un ottimo risultato riuscire ad evitare il ristagno e quindi il regresso del processo di integrazione.
2. Rafforzamento del nucleo duro dell’UE.
Oltre al miglioramento dell’efficacia decisionale in seno all’Unione europea e alla democratizzazione della formazione della volontà politica, il nucleo duro già costituito dai paesi impegnati sul fronte dell’integrazione e pronti a cooperare, necessita di un ulteriore rafforzamento. Attualmente, questo nucleo duro comprende cinque o sei paesi, ma non deve essere chiuso, deve anzi essere aperto ai paesi membri desiderosi e capaci di soddisfarne le esigenze.
Il compito del nucleo duro è di opporre un centro consolidato alle forze centrifughe determinate dal costante allargamento, al fine di impedire uno sviluppo divergente tra un gruppo Sud-Ovest, più incline al protezionismo e diretto in un certo senso dalla Francia e un gruppo Nord-Est, favorevole al libero scambio a livello mondiale e diretto in un certo senso dalla Germania.
A tal fine, i paesi del nucleo duro non devono solo partecipare a tutti i campi della politica, ma devono anche orientare di comune accordo e più risolutamente, la loro azione in senso comunitario e lanciare più iniziative comuni, volte alla promozione dello sviluppo dell’Unione. Di conseguenza, il Belgio, il Lussemburgo e i Paesi Bassi devono consolidare la loro associazione alla cooperazione franco-tedesca, tanto più che i Paesi Bassi hanno rivisto il loro scetticismo sulla funzione di questi due paesi in quanto forza motrice dell’integrazione europea. La cooperazione tra i paesi del nucleo duro deve concentrarsi in particolare nei settori aggiunti ai Trattati di Roma dal Trattato di Maastricht.
Anche in ambito monetario si nota l’emergere di un nucleo duro, costituito da questi cinque paesi. Con la Danimarca e l’Irlanda, questi paesi sono i più vicini ai criteri di convergenza stabiliti dal Trattato di Maastricht. Ciò assume un’importanza particolare, in quanto l’Unione monetaria costituisce il nucleo duro dell’Unione politica (e non un elemento supplementare dell’integrazione, come è opinione diffusa in Germania). Se l’Unione monetaria dovrà essere effettuata nel rispetto del calendario previsto, all’inizio sarà applicata solo ad un gruppo ristretto di paesi — conformemente all’alternativa prevista dal Trattato di Maastricht. Anche in questo caso, quindi, sarà realizzata solo se il nucleo duro dei Cinque vi si dedicherà sistematicamente e con determinazione. A tal fine, essi dovrebbero provvedere a stabilire, nei seguenti campi:
— politica monetaria,
— politica fiscale e di bilancio,
— politica economica e sociale,
un maggiore coordinamento, volto alla creazione di una politica comune e di conseguenza — indipendentemente dalle decisioni formali del 1997 e del 1999 — porre le basi, in questo lasso di tempo, di un’unione monetaria in seno al gruppo.
Il gruppo del nucleo duro in Europa deve convincere tutti i membri dell’UE — in particolare l’Italia, membro fondatore, oltre alla Spagna e naturalmente alla Gran Bretagna — della sua volontà di integrarli non appena avranno risolto alcuni dei loro attuali problemi e nella misura in cui essi stessi intendono assumere gli impegni citati. La formazione di un nucleo duro non è un obiettivo in sé, bensì un mezzo per conciliare obiettivi contraddittori: approfondimento ed allargamento dell’Unione europea.
3. Nuovo stadio qualitativo dei rapporti franco-tedeschi.
I rapporti franco-tedeschi devono entrare in un nuovo stadio qualitativo affinché il processo storico dell’unificazione europea raggiunga il suo obiettivo politico e non si limiti a segnare il passo. Per questo motivo, nessuna azione significativa deve essere intrapresa nei campi della politica estera ed europea senza una previa concertazione franco-tedesca. Lasciato alle spalle il conflitto Est-Ovest, l’importanza della cooperazione franco-tedesca, lungi dall’essere diminuita, assume oggi maggiore rilievo che in passato.
La Francia e la Germania costituiscono il centro del nucleo duro. Fin dall’inizio, questi due paesi sono stati il motore del processo di unificazione europea. Il loro rapporto privilegiato viene ora messo alla prova: infatti, esso lascia anche trasparire i segni della divergenza di interessi e di percezione di cui si è detto e, quindi, il pericolo di uno sviluppo divergente. In Francia si teme che il processo di allargamento verso Nord, soprattutto l’adesione dell’Austria e, più tardi, il processo di allargamento verso Est, possano portare ad un debole raggruppamento di Stati nel quale la Germania vedrebbe notevolmente rafforzato il proprio potere, venendo così ad assumere una posizione centrale. Per quanto riguarda la Francia, è quindi di vitale importanza un approfondimento dell’Unione, prima ancora di un suo allargamento. Ormai, di fronte ad una Germania unificata e — cosa ancora più importante in tale contesto — di fronte ad una Germania che può di nuovo intraprendere una politica attiva ad Est e godere della stessa libertà di azione dei suoi interlocutori occidentali, la vecchia questione posta all’inizio del processo di unificazione europea — inizialmente limitata all’Europa occidentale — di sapere come integrare una Germania forte nelle strutture europee, si ripropone sotto una nuova veste, che poi è quella reale.
Soprattutto per quanto riguarda i rapporti franco-tedeschi, è importante che tale questione venga posta in modo chiaro, al fine di evitare malintesi e diffidenza.
Innanzitutto va sottolineato, cosa altrettanto importante per la Germania, che la volontà dei suoi vicini dell’Est (quanto quella degli Stati dell’EFTA) di aderire all’UE trae ispirazione, in misura non trascurabile, dal loro desiderio di affrancarsi da un’eccessiva dipendenza dalla Germania, desiderio che può realizzarsi solo nell’ambito di una Comunità che rappresenti qualcosa di più di una zona di libero scambio.
Naturalmente, il fattore decisivo è rappresentato dal fatto che la Germania dimostri, con la sua politica, di aderire strenuamente all’obiettivo di un’Europa forte, capace di agire e integrata. (La Germania ritiene di averne dato la prova da lungo tempo, ma, come mostrano le critiche rivolte al suo comportamento in occasione dell’adesione dei paesi scandinavi e dell’Austria, non tutti condividono tale opinione). La Germania deve fornire questa prova nell’ambito delle sue proposte per sviluppare l’Unione sul piano istituzionale e politico, ancor prima dell’allargamento, ma anche in questa prospettiva.
Se la Germania deve presentare la sua posizione chiaramente e senza equivoci, la Francia, a sua volta, è chiamata a fare altrettanto. Essa deve correggere l’impressione data: benché, in effetti, non vi siano dubbi sul suo desiderio di fondo di perseguire l’integrazione europea, essa si mostra sovente indecisa quando si tratta di prendere misure concrete a tale scopo, poiché persiste l’idea che sia impossibile rinunciare alla sovranità dello Stato nazionale, quando essa non rappresenta ormai da tempo che un vuoto involucro.
Data l’importanza dell’Unione monetaria, soprattutto per le relazioni franco-tedesche, è necessario — accanto ai lavori preparatori per il nucleo duro — superare le divergenze d’opinione tra la Francia e la Germania sulle questioni economico-politiche essenziali, come quelle relative alla “politica industriale” ed alla legislazione in materia di concorrenza. In questo contesto, sarebbe altamente desiderabile pervenire ad un accordo sulla creazione di un ufficio dei cartelli dell’Unione. Inoltre, si impone un chiarimento sugli obiettivi a lungo termine della PAC e sulle caratteristiche fondamentali della futura organizzazione finanziaria dell’Unione.
Lo stesso dicasi a proposito delle frequenti divergenze tra la Francia e la Germania sul problema centrale della difesa europea e del suo rapporto con la NATO (come sta accadendo nell’ambito della discussione sulle modalità per realizzare la decisione relativa al Gruppo di forze inter-armate multinazionali, presa al Vertice della NATO nel gennaio 1994).
Poiché si tratta di due problemi cruciali, i Consigli franco-tedeschi corrispondenti (Consiglio economico e sociale e Consiglio della difesa) dovrebbero proporsi come un forum per una discussione sui principi, obiettiva e svincolata da ogni dottrina definita.
Più che mai, il rapporto con la Francia costituisce per la Germania un indicatore della propria profonda appartenenza alla cultura politica dell’Occidente, contrapposta alla tendenza, che sta riguadagnando terreno soprattutto negli ambienti intellettuali, favorevole ad una Sonderweg, una specifica via tedesca. Ciò è ancor più vero in quanto gli USA non possono svolgere il loro ruolo tradizionale, ora che il conflitto Est-Ovest è un ricordo del passato. Un dialogo serio e aperto sui concetti che favoriscono tali tendenze e sui sentimenti e i risentimenti reciproci nei rapporti franco-tedeschi, è necessario tanto quanto il rafforzamento della cooperazione politica tra i due paesi.
4. Rendere l’Unione capace d’agire nel campo della politica estera e della sicurezza.
Un considerevole aumento della capacità d’azione dell’Unione nel campo della politica estera e della sicurezza è di importanza capitale per il futuro.
Gli Stati nazionali europei non sono più in grado di garantire da soli la propria sicurezza, soprattutto da quando si è assistito al risorgere in Europa dei problemi relativi alla sicurezza che si credevano risolti da molto tempo, considerato che dalla fine del confronto Est-Ovest, gli Stati Uniti non assicurano la propria assistenza per tutti i tipi di conflitto. La capacità di garantire la propria sicurezza, la capacità di difendersi, costituisce la condizione e l’essenza stessa della sovranità degli Stati.
Ciò è altrettanto vero per l’Unione europea, in quanto comunità di Stati, poiché questi possono garantire la loro sovranità soltanto all’interno della Comunità. Ora, poiché la coscienza della propria sovranità è il fattore determinante del rapporto che i popoli stabiliscono al loro interno e nei confronti degli altri, la capacità di difesa comune di questa comunità europea di Stati costituisce un fattore inalienabile per la stabilizzazione di una identità propria dell’UE, che sappia nel contempo lasciare ad ogni Stato membro lo spazio per la salvaguardia della sua identità.
Nei pochi anni trascorsi dalla fine del conflitto Est-Ovest, la definizione di una politica estera e della sicurezza comune dell’Unione si è rivelata molto più importante ed urgente di quanto previsto nel Trattato di Maastricht. Persino i paesi membri più grandi non sono in grado di far fronte alle sfide esterne. Tutti i sondaggi mostrano che la grande maggioranza dei cittadini vuole una politica estera e della sicurezza comune. Tuttavia, la loro adesione al processo di integrazione europea si è nettamente indebolita a causa della reazione insufficiente dell’Unione agli sviluppi drammatici che si sono avuti nella parte orientale dell’Europa. Il problema dello statuto dei futuri membri in materia di politica della sicurezza è determinante per il carattere politico e per l’organizzazione politica generale del continente.
L’azione dell’Unione europea in materia di politica estera e della sicurezza deve essere fondata su un principio strategico che definisca con la massima chiarezza gli interessi e gli obiettivi comuni, fissando le condizioni e le procedure, oltre agli strumenti politici, economici e finanziari. I campi prioritari della politica estera e della sicurezza comune sono i seguenti:
— politica comune volta a stabilizzare l’Europa centrale e orientale;
— sviluppo di rapporti con la Russia miranti a stabilire un’ampia intesa;
— politica comune nell’area mediterranea, la cui stabilità rappresenta un interesse fondamentale non solo per i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, ma anche per la Germania;
— messa a punto di un’intesa strategica con la Turchia;
— nuovo orientamento dei rapporti transatlantici.
I rapporti transatlantici rivestono particolare importanza, dato che comprendono l’insieme delle questioni relative alla politica estera e della sicurezza comune e richiedono perciò una politica comune dell’Unione europea e degli Stati Uniti. E’ altresì necessario intraprendere un’azione transatlantica concertata di fronte alle future sfide globali.
La messa a punto di una difesa europea comune è nettamente più urgente di quanto è previsto dal Trattato di Maastricht. Si tratta di una definizione “a termine”; ebbene, il momento opportuno è oggi. Le difficoltà interne tra paesi europei, oltre alle difficoltà emerse tra Europa e Stati Uniti in occasione della guerra nella ex-Jugoslavia, mettono in rilievo tutta l’urgenza di tale postulato. Bisogna inoltre raddoppiare gli sforzi per realizzare la difesa comune europea, dato che gli europei sono chiamati ad assumere una responsabilità molto più ampia per la loro sicurezza, per quanto riguarda le misure atte a mantenere o stabilire la pace e ancor più per quanto attiene allo statuto dei futuri membri dell’Unione in materia di sicurezza. In una comunità di Stati concepita in termini di unione, tutti i membri devono beneficiare di uno stesso statuto per quanto riguarda la sicurezza esterna. E’ una condizione preliminare alla qualità di membro. Di conseguenza, se ci si aspetta dagli Stati Uniti non solo che continuino ad onorare i loro obblighi sull’attuale terreno dell’Alleanza, ma che li estendano (per lo meno) ai paesi aderenti all’Unione, l’Europa stessa dovrebbe fornire il contributo più importante nel campo non nucleare.
In una prospettiva più a lungo termine, la NATO deve quindi essere trasformata in un’alleanza in seno alla quale abbiano lo stesso peso gli Stati Uniti e il Canada, da un lato, e l’Europa quale entità in grado di agire, dall’altro. E’ in questo senso che la Conferenza di revisione del 1996 deve riesaminare i rapporti UEO-UE, conformemente all’articolo J. 4, comma 6.
Rispetto all’attuale problema del riassetto delle relazioni fra l’UEO e la NATO per quanto riguarda i compiti non compresi nell’articolo 5 del Trattato di Washington (Gruppo di forze inter-armate multinazionale), bisogna trovare una soluzione che autorizzi gli europei, sulla base di una decisione ad hoc del Consiglio della NATO (presa dunque con la partecipazione degli USA), ad intraprendere azioni indipendenti, pur ricorrendo ai mezzi della NATO ed a componenti dei suoi stati maggiori. Come ha mostrato, ancora una volta, il recente discorso del presidente Clinton a Parigi, gli USA sono favorevoli ad una identità europea in materia di difesa, anzi, la pretendono.
Per essere attiva e fruttuosa, la politica estera e di sicurezza comune non può fare a meno di un vertice e di un coordinamento più agili ed efficaci. A tale scopo, bisognerà soprattutto istituire un nucleo di pianificazione della PESC altamente qualificato, incaricato esclusivamente di un’azione prospettica e che possa entrare in contatto diretto con gli organi decisionali nazionali.
NOTA — Le proposte tendenti alla creazione di un nucleo dell’Europa e ad un’ulteriore intensificazione della cooperazione franco-tedesca non significano abbandonare la speranza di vedere la Gran Bretagna assumere il suo ruolo “nel cuore dell’Europa” a integrazione di tale nucleo. Al contrario, si basano sulla certezza che uno sviluppo risoluto dell’Europa sia il mezzo migliore per influire favorevolmente sulla chiarificazione della posizione della Gran Bretagna nei confronti dell’Europa e sulla sua volontà di partecipare ad ulteriori progressi sulla via dell’integrazione.
5. Allargamento all’Est.
L’ammissione all’UE della Polonia, delle Repubbliche Ceca e Slovacca, dell’Ungheria (e della Slovenia) è prevista intorno al 2000 ed è legata ai quattro provvedimenti proposti in precedenza: pur dipendendo dalla loro realizzazione, ne è anche il fine ultimo.
La semplice certezza dell’ammissione in qualità di membro dell’UE e, a maggior ragione, l’adesione stessa sono di natura tale da permettere una migliore promozione dello sviluppo politico ed economico di tali paesi rispetto agli aiuti esterni. Accanto a tale palese vantaggio politico-psicologico, l’adesione a tale scadenza comporta per i nuovi, come per i vecchi membri, impegni tali sul piano economico da rendere possibile il conseguimento dell’obiettivo solo con la combinazione di diversi provvedimenti. Si tratta non soltanto di avvicinare le legislazioni degli Stati aderenti, già prevista dai trattati europei, ma anche di realizzare delle riforme in diversi ambiti politici dell’Unione, soprattutto in agricoltura. Bisognerà, inoltre, prevedere periodi di transizione molto lunghi per l’adattamento economico, probabilmente differenti da paese a paese e basati sul concetto di “geometria variabile”. In definitiva, non dovranno risultare da ambo le parti costi maggiori rispetto a quelli che deriverebbero da un’adesione più tardiva, poiché non bisogna dimenticare che più tardiva è l’adesione, maggiori sono i costi.
L’ammissione di questi paesi dovrà realizzarsi per tappe e con una cooperazione ancora più stretta. Ecco le proposte a tale riguardo:
— realizzazione sistematica dell’apertura del mercato stabilita dai trattati europei,
— armonizzazione delle politiche commerciali,
— promozione del libero scambio e della cooperazione fra i paesi riformatori,
— più ampia partecipazione degli Stati dell’Europa centrale ed orientale ad alcuni aspetti della PESC, per esempio, una cooperazione maggiormente multilaterale,
— trasposizione della cooperazione nel campo della politica della sicurezza, come convenuto nella dichiarazione del Kirchberg relativa alla “partnership associata” con l’UEO,
— partecipazione alla cooperazione in materia di politica interna e di disposizioni giuridiche rispetto alla politica degli stranieri, della migrazione, del diritto d’asilo, dei visti e dell’EUROPOL.
La partecipazione degli Stati dell’Europa centrale ed orientale all’Unione europea deve accompagnarsi ad una politica di partnership globale fra l’Unione e la Russia. Bisogna che la Russia acquisti la certezza — nella misura in cui sia possibile dall’esterno — di costituire il secondo pilastro politico del continente, a fianco dell’Unione europea. L’accordo di partnership e la cooperazione con la Russia rappresentano un primo passo importante in questo senso, che deve essere seguito da altri accordi in materia di politica della sicurezza, in rapporto all’adesione dei paesi dell’Europa centrale ed orientale all’UE/UEO e alla NATO.
La realizzazione del programma proposto nelle pagine precedenti è il modo migliore per superare le incertezze dei cittadini sul processo di unificazione. Contrariamente alle dichiarazioni irrealistiche e pericolose, sia sul piano della teoria giuridica che sul piano politico, cui si abbandonano certi intellettuali — a volte anche certi politici dalla parola facile e male informati —, la grande maggioranza dei cittadini è perfettamente consapevole della necessità di un’Europa unita. I cittadini, però, pretendono, a giusto titolo, più democrazia, una più ampia pubblicità e trasparenza e soprattutto vogliono che l’Europa registri dei successi nei campi sopra menzionati. In fondo, i cittadini sanno molto bene che gli interessi della Germania possono essere realizzati solo nel quadro, nello spazio e per il tramite dell’Europa. In tal modo, la nazione non soltanto non si espone ad alcun danno, ma garantisce le sue fondamenta, nel momento stesso in cui garantisce il suo avvenire.
Wolfgang Schäuble e Karl Lamers
*Documento presentato al Bundestag il 1° settembre 1994 da W. Schäuble e K. Lamers a nome del gruppo CDU/CSU.