IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXIII, 1981, Numero 2, Pagina 67

 

 

È iniziata l’azione per creare
la federazione europea
 
 
Per la seconda volta nel corso ormai lungo della sua lotta Spinelli è riuscito a cogliere il momento adatto e ad avviare un’azione che presenta questa caratteristica precisa: se non verrà fermata o deviata, ci porterà sino alla federazione europea o al suo nucleo essenziale, il che, strategicamente, è lo stesso (per il primo tentativo vedi, sul fascicolo di marzo del 1977 di questa rivista: M. Albertini, La fondazione dello Stato europeo). Avere ricostruito questa possibilità — in concreto la possibilità per tutti di schierarsi a favore di una azione per creare la federazione europea — è in ogni caso un grande fatto storico con il quale l’Europa, grazie alla iniziativa del suo uomo politico più dotato di volontà storica, dimostra la sua volontà di rinnovarsi e di sopravvivere. Per sottolineare questo fatto storico pubblichiamo come editoriale il discorso con il quale Spinelli ha invitato il Parlamento europeo a votare i principi essenziali della sua azione.
(m.a.)
 
 
Signora Presidente, a nome di 180 colleghi, diversi per orientamento politico e per origine nazionale, chiedo a questa Assemblea di approvare la risoluzione che porta il titolo «Creazione di una Commissione ad hoc incaricata di fare proposte sullo stato e l’evoluzione della Comunità».
La richiesta non nasce da un moto impulsivo di irritazione per le difficoltà fra le quali si dibatte la Comunità. Non è stata improvvisata, perché dal momento in cui i deputati del Club Coccodrillo hanno cominciato a studiarne i termini fino ad oggi, è passato un anno intero nel corso del quale la discussione su di essa è andata ben oltre i confini del Club, suscitando adesioni, esitazioni, meditazioni, approfondimenti.
Né vi giunge prematura, perché due anni esatti sono oggi passati dall’inizio dei lavori del Parlamento eletto, e ciascuno di noi ha avuto agio di sondare fino in fondo le possibilità offerte dalle strutture europee quali sono oggi, i loro limiti, la contraddizione profonda e crescente fra quel che la Comunità dovrebbe essere e quel che essa è.
Né infine vi giunge troppo tardi, perché quasi tre anni ancora ci separano dalle prossime elezioni europee; il tempo giusto per ripresentarci al giudizio degli elettori, senza essere costretti a confessar loro che abbiamo solo espresso, diciamo, 789 opinioni sui più svariati argomenti e che assai scarso conto si è tenuto di esse. Cosa meriteremmo in tal caso se non l’indifferenza?
Nel momento in cui ci accingiamo a votare questa risoluzione, voci varie si levano da tempo insistenti e autorevoli per proclamare la necessità di compiti nuovi per la Comunità: un assai maggiore impegno sociale comune, una vigorosa e attiva politica comune contro la disoccupazione e l’inflazione, un impegno forte contro la fame e per lo sviluppo nel mondo, una politica monetaria comune più unita di quella fatta finora nella prima fase dello SME, la ripresa del grande disegno della costruzione di una Unione politica, la quale ci renda capaci di contribuire alla difficile costruzione della pace nel mondo e di condurre la politica estera comune che deve essere alla base della nostra sicurezza; e la lista dei compiti non è finita.
Non è la consapevolezza dei compiti nuovi della Comunità che manca. Quel che manca è la possibilità di affrontarli in modo efficace e tempestivo — spesso la possibilità pura e semplice di affrontarli — usando le istituzioni della Comunità e le loro competenze così come sono ora.
In questo momento, veramente cruciale per l’Europa e per la nostra Assemblea, questa risoluzione ci chiama a dire se noi, Parlamento europeo, a nome dei popoli della Comunità che ci hanno eletti, osiamo o no assumere il compito di discutere, redigere, votare e presentare alla ratifica da parte degli organi costituzionali competenti in ogni singolo paese membro un progetto di trattato che contenga il quadro dei nuovi compiti della Comunità e conseguentemente le riforme istituzionali che ne derivano.
Se il Parlamento non osasse assumere questa responsabilità politica — adesso, senza perdere troppo tempo, senza equivoci — il tema della riforma dei vari trattati e convenzioni concernenti l’unificazione europea — tema che non può più essere eluso a lungo — sarebbe necessariamente assunto da altri, e precisamente dalle diplomazie dei nostri Stati membri — le quali… oh, possiamo sin d’ora profetizzare che scoprirebbero ancora una o più varianti della cooperazione intergovernativa precaria e quasi del tutto sterile. Al Parlamento non resterebbe che un ruolo futile: esprimere opinioni e poi lamentarsi perché le diplomazie non si sono curate di esse.
Ma se, come spero, assumeremo questo compito, dobbiamo farlo sapendo che non stiamo decidendo semplicemente di dare il via ad una iniziativa che si aggiunge a tutte le altre, che sarà portata avanti come tutte le altre, condividendone la malinconica sorte.
Approvando questa risoluzione, dobbiamo sapere che diamo inizio ad un nuovo e diverso capitolo nella vita della nostra Assemblea, che diamo inizio ad una azione politica audace, complessa, lunga e difficile, la quale non ci esime dal proseguire con impegno tutta l’attività che stiamo svolgendo, ma va ben al di là di essa.
Affinché questo nuovo capitolo abbia successo dovremo in primo luogo impegnare sempre più e sempre più fortemente il Parlamento tutt’intero. È per questo che chiediamo la costituzione di una nuova commissione parlamentare che, comunque essa si chiami, si occupi solo di questo tema, e che man mano presenti rapporti interinali al Parlamento per chiamarlo a decidere fra le varie opzioni che si presenteranno, ed a formare attraverso larghi dibattiti i consensi più ampi possibile, fino a giungere al voto finale del progetto di riforma nella piena consapevolezza da parte di tutti di quel che ciò significa ed implica.
In secondo luogo, affinché questa iniziativa abbia successo, occorre che essa dilaghi oltre quest’aula. I frequenti incontri fra la commissione ad hoc — o comunque si chiamerà — e l’assemblea sono la condizione necessaria, da una parte perché l’opinione pubblica sia messa all’erta su quel che stiamo preparando, e dall’altra parte perché ciascun gruppo politico e ciascuno di noi individualmente, sapendo che alla fine presenteremo una formale richiesta ai nostri Stati, si senta prima interessato e poi sempre più politicamente obbligato ad esercitare una adeguata pressione sui nostri partiti e Parlamenti nazionali, per impegnarli sulla nostra proposta.
Io sono sicuro che in questo Parlamento c’è una assai larga maggioranza favorevole al rafforzamento istituzionale della Comunità, maggioranza che corre attraverso tutti i paesi e tutti i gruppi politici e che deve prendere coscienza di sé, attraverso questo lavoro. Ma ci sono anche gli avversari, ed anche loro avranno, con la nostra procedura, la possibilità di far valere le loro opzioni e la loro opposizione.
Per la prima volta il dibattito sull’Europa cesserà di essere limitato a piccole minoranze e diverrà un tema centrale della vita politica europea. I nostri popoli potranno infine decidere con i metodi della partecipazione democratica, e non più per iniziativa o ostruzionismo di questo o quel governo, se vorranno o no far progredire l’unificazione europea.
Vogliate riflettere con precisione sul calendario della nostra azione. Se cominciamo a lavorare nei prossimi mesi con il minore indugio possibile, il progetto finale di riforma sarà pronto fra un anno e mezzo o due. Nel corso dell’ultimo anno del nostro mandato parlamentare presenteremo il progetto per la ratifica agli Stati membri. Non è in alcun modo verosimile che essi lo ratifichino entro quell’anno. Le seconde elezioni europee consisteranno quindi soprattutto nel chiedere agli elettori un voto che non solo elegga deputati al Parlamento europeo, ma indichi anche, con le sue scelte, ai Parlamenti nazionali se la volontà popolare è per o contro la ratifica del trattato posto dinanzi a loro dalla nostra Assemblea.
Questa è, onorevoli colleghi, nella sua vera dimensione, la battaglia democratica per la costruzione europea, cui la nostra risoluzione vi invita.
Sono stati presentati alcuni emendamenti. Quello n. 3 — Israel a nome dei DEP — e il n. 10 — Price — non sono accettabili perché cambiano l’oggetto stesso della risoluzione. Israel rinvia infatti ogni cosa a dopo le prossime elezioni. Price sostituisce ad una riforma di cui si chiede la ratifica, un suggerimento da dare agli Stati membri nella loro politica a breve e a lungo termine. Salvo questi due emendamenti, tutti gli altri mi sembrano accettabili. In particolare mi sembrano accettabili l’emendamento del gruppo PPE e quelli minori, del gruppo socialista.
Nel votare emendamenti e risoluzione vi prego, onorevoli colleghi, di ricordare che un progetto come questo esige la partecipazione di tutte le grandi famiglie politiche dei nostri paesi, e che ognuna deve apportarci ed immettere nell’accordo finale le sue legittime esigenze. Ma non scambiamo il punto d’arrivo, la grande sintesi finale che dovrà coronare il nostro lavoro con la fase iniziale attuale nella quale dobbiamo impostare una procedura che non chiuda le porte a nessuno e permetta di agire con vigore.
Siamo quindi saggi e abbiamo il senso della misura, perché solo in tal modo saremo forti. Grazie.

 

 

 

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