Anno XLII, 2000, Numero 2, Pag. 81
Per la creazione di un nucleo federale
In un discorso tenuto il 12 maggio all’Università Humboldt di Berlino il Ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer, aver espresso il suo allarme per la situazione di stallo nella quale si trova la costruzione europea e per le prospettive di ingovernabilità dell’Unione che si aprono con l’allargamento, ha prospettato l’ipotesi di un rilancio del processo di unificazione mediante la creazione di un nucleo di natura federale, formato da un numero ristretto di paesi «fortemente ispirati all’ideale europeo», che costituirebbero il «centro di gravità» attorno al quale andrebbero ad aggregarsi successivamente altri Stati dell’Unione, compresi gli attuali candidati all’allargamento. La visione di Fischer presenta alcuni aspetti ambigui o indeterminati. La sua proposta istituzionale non è sempre condivisibile. La prospettiva temporale nella quale l’idea viene presentata è di lungo termine (un decennio). Ma dal testo complessivo del discorso si vede con chiarezza che le sue parti deboli servono per far passare quelle forti. Per questo esso è stato un evento di grande importanza.
Fischer ha gettato un sasso nello stagno. Ha detto che il metodo gradualistico di Monnet non può portare all’unificazione politica e che l’Europa deve compiere un vero e proprio salto federale, infrangendo, con l’uso di questa parola, un tabù del linguaggio politico europeo che costituiva l’alibi di tutte le timidezze e di tutte le ipocrisie. E, ponendo il problema dell’avanguardia, ha toccato il nervo del processo mettendo molti dei suoi interlocutori politici nella delicata situazione di doversi esprimere su di un argomento sul quale avrebbero preferito tacere.
I temi del discorso di Fischer erano già stati toccati da anche se in modo meno chiaro, nelle settimane precedenti. Ma le stesse cose, dette da un uomo politico che ricopre, dal punto di vista operativo, il ruolo politico più importante — dopo quello del Cancelliere — nel paese più importante dell’Unione, hanno avuto il potere di muovere le acque stagnanti della politica europea e hanno dato l’avvio a un ampio dibattito. In questo dibattito, se si prescinde da un deplorevole intervento del Ministro dell’interno francese Jean-Pierre Chévènement, quasi tutti coloro che si sono espressi sulla proposta di Fischer hanno esordito dichiarando il loro apprezzamento per il suo contenuto. Ma dopo questo doveroso preludio quasi tutti hanno dedicato i loro interventi all’elencazione di una serie di riserve, di cautele e di distinguo il cui scopo era quello di rendere innocuo il ballon d’essai lanciato dal Ministro degli esteri tedesco e di svuotarlo della sua carica innovativa.
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1. Molti hanno detto che quella del nucleo federale è comunque una prospettiva a lunghissimo termine, che è sacrosanto auspicare, ma della quale non ci si deve occupare perché la politica si deve occupare dell’immediato. L’immediato sono i problemi in discussione nella Conferenza intergovernativa in corso, cioè i cosiddetti leftovers di Amsterdam (composizione della Commissione, estensione del voto a maggioranza, nuova ponderazione dei voti in seno al Consiglio dei Ministri) più un eventuale miglioramento dei meccanismi della cosiddetta cooperazione rafforzata (quella che consente ad alcuni Stati membri di stipulare specifici accordi di collaborazione in alcuni settori, nel rispetto del quadro istituzionale unico dell’Unione). Questa è la politica, gli altri sono sogni.
Si deve notare a questo proposito che una soluzione soddisfacente dei leftovers di Amsterdam — per quanto si tratti di problemi obiettivamente di scarso rilievo — è estremamente improbabile nel quadro politico attuale, e che i negoziati relativi si trovano in una completa situazione di stallo a causa dei veti incrociati che li paralizzano su ogni singolo punto. La verità è che il gradualismo nella politica europea, come Fischer ha detto con chiarezza, ha ormai fatto il suo tempo. Il cammino dell’unificazione europea continua da cinquant’anni, nel corso dei quali il suo punto d’arrivo è andato sempre spostandosi in avanti di pari passo con l’avanzare del processo. L’obiettivo dell’unità politica viene sempre collocato da coloro che dovrebbero realizzarlo in un dopodomani che di fatto non arriva mai. Ma la realtà dei fatti dovrebbe ormai indurre ogni politico responsabile a riconoscere che ciò che è veramente impossibile è che l’Unione possa sopravvivere ancora a lungo nella sua situazione attuale di quasi completa paralisi decisionale e di crescente deficit di democrazia e a rendersi conto del fatto che la sola riforma possibile consiste in un cambiamento radicale dei suoi meccanismi di presa delle decisioni, anche se nel quadro territoriale ristretto nel quale vi sono una classe politica e un’opinione pubblica mature per il salto. Ciò non significa evidentemente che la creazione del nucleo federale possa avvenire nel giro di poche settimane. Ma che i tempi sono maturi perché sulla base delle indicazioni di Joschka Fischer venga elaborato un progetto operativo che preveda un calendario preciso (senza dimenticare che il lancio di un simile progetto favorirebbe il raggiungimento di un accordo anche sulle piccole, ma spinose riforme all’ordine del giorno della Conferenza intergovernativa in corso).
2. Non pochi sono coloro che tentano di confondere le acque identificando addirittura la nascita di un nucleo federale con il miglioramento degli attuali meccanismi della cosiddetta cooperazione rafforzata. Ma in verità il problema da risolvere per consentire all’Unione di uscire dalla grave situazione di impasse in cui si trova — e che sarà ulteriormente aggravata dall’allargamento — è quello del superamento del metodo della cooperazione intergovernativa in quanto tale (rafforzata o no) e della sua sostituzione, nel quadro iniziale di un nucleo federale, con il metodo della formazione democratica della volontà politica, cioè con la creazione di un potere che, nei settori di sua competenza, venga controllato dai cittadini ed agisca direttamente sudi essi, senza lo schermo degli Stati membri. In vista del raggiungimento di questo obiettivo la cooperazione rafforzata (che corrisponde in ultima analisi a quella che in altri contesti viene chiamata Europa à la carte o Europa a geometria variabile) è non soltanto inutile, ma dannosa perché, dando luogo ad aggregazioni diverse a seconda dei problemi affrontati, fornisce a chi intendo inserirsi nel meccanismo per sabotare la nascita di un nucleo federale un efficace strumento per raggiungere il suo scopo.
3. Qualcuno caratterizza la forma istituzionale che il nucleo federale dovrebbe assumere con la denominazione coniata da Jacques Delors di «Federazione di Stati nazionali». Si tratta di una formula alla quale lo stesso Fischer deve rendere omaggio, en passant, nel suo discorso, ma che resta comunque un escamotage verbale attraverso il quale si vuole trasmettere l’idea che sia possibile fare una federazione senza farla, svuotando così di contenuto l’idea del nucleo federale. Il termine di Stato nazionale infatti ha un senso (e di questo sono pienamente consapevoli i sostenitori della formula della Federazione di Stati nazionali) soltanto in quanto con esso si voglia denotare uno Stato nazionale sovrano. Questo del resto è il significato con il quale il termine è stato storicamente coniato e viene comunemente usato: mentre di uno Stato federale multinazionale, che in quanto tale non la più la propria legittimità sulla propria identificazione con la nazione, svincola anche gli Stati membri dal loro legame con quest’ultima, alla quale restituisce il suo carattere spontaneo liberandola dalle mistificazioni e dalle forzature generate dal suo asservimento ad un potere sovrano. E’ importante quindi sottolineare che qualunque federazione che sia veramente tale è uno Stato sovrano (dove la sovranità appartiene alla federazione come sistema istituzionale complesso, che comprende un livello centrale e più livelli periferici, o regionali) mentre un’unione di Stati che mantengono la propria sovranità (nel caso dell’Europa, gli Stati nazionali) è una confederazione, come una confederazione è l’Unione europea attuale.
4. Una preoccupazione che ritorna spesso nelle risposte degli uomini politici a Fischer è quella che il progetto del nucleo federale distinguerebbe gli Stati dell’Unione in due gruppi aventi diversa dignità, e quindi introdurrebbe in Europa un fattore di divisione che potrebbe portare alla disintegrazione dell’Unione, rafforzando i sentimenti antieuropei e gli atteggiamenti euroscettici nei paesi esclusi. Si tratta di un’obiezione maligna, che dissimula la volontà di impedire che il processo di integrazione europea imbocchi comunque la strada dell’unificazione federale. La verità è che la proposta del nucleo federale nasce proprio dalla constatazione che il metodo intergovernativo ha definitivamente esaurito la sua spinta unitaria e sta portando l’Unione alla soglia della sua dissoluzione in una semplice area di libero scambio; e dalla preoccupazione che il fallimento del progetto europeo porti al ritorno del nazionalismo e alla crisi della democrazia in Europa. Ciò significa che è proprio il perdurare della situazione attuale che diffonde progressivamente in Europa il germe della divisione. Per invertire il cammino è necessario sostituire all’attuale struttura istituzionale intergovernativa una struttura istituzionale federale. Ma, poiché è impensabile che la volontà politica di compiere questo salto si manifesti contemporaneamente in tutti gli Stati dell’Unione attuale, per non parlare dell’Unione dopo l’allargamento, la sola strada — per quanto difficile — che si può seguire è quella della fondazione della federazione in un quadro ristretto (anche se aperto, e destinato ad allargarsi rapidamente a tutti gli Stati che vorranno aderirvi). A ciò si aggiunga che il nucleo federale non si porrebbe in alternativa all’Unione attuale, ma vi parteciperebbe su di un piano di parità con gli altri Stati membri. La sua nascita sarebbe non solo perfettamente compatibile con il mantenimento dell’Unione, ma le darebbe quella coesione senza la quale essa è destinata a disgregarsi (per questo Fischer parla di «centro di gravità»). La proposta del nucleo federale ha quindi come scopo il rilancio della dinamica dell’unità. E la sua realizzazione non risponderebbe certo ad un interesse esclusivo dei soli Stati che ne faranno parte dall’inizio, ma a quello di tutti i dell’Unione e dei paesi candidati. Essa dovrebbe quindi costituire un obiettivo prioritario di tutti i veri europei attivi in questi paesi, quali che possano essere le reazioni dei loro governi.
5. Un’ultima obiezione ricorrente riguarda proprio la compatibilità del nucleo federale con le istituzioni dell’Unione. E’ un dato che la realizzazione di questa compatibilità comporterebbe una serie di adattamenti come la duplicazione di alcune istituzioni e il funzionamento di altre in una doppia capacità, con composizione, e competenze parzialmente diverse. Si fa osservare da molti che ciò condurrebbe all’elaborazione di una costruzione tanto complessa da risultare irrealizzabile. Questa obiezione è infondata. Il problema veramente complesso, per quanto riguarda il nucleo federale, è quello della formazione della volontà politica di costituirlo. Una volta che si fosse formata la volontà politica di creare — tra alcuni Stati — un potere democratico, nessuna difficoltà tecnica potrebbe vanificarla. I giuristi esistono per trovare le soluzioni tecniche appropriate ai problemi che vengono loro posti dai politici, e non si è mai visto un progetto politico sostenuto da una volontà sufficientemente forte fallire a causa della difficoltà de problemi giuridici che poneva. Si guardi del resto, se si vuole avere un esempio dell’abilità degli esperti nell’affrontare difficoltà tecniche quando si tratta di salvaguardare la sovranità degli Stati membri, a molte delle costruzioni contenute negli attuali Trattati e nelle altre disposizioni che disciplinano il funzionamento dell’Unione, come, tanto per fare qualche esempio, la divisione di questa in tre pilastri, o le procedure decisionali in vigore in ciascuno di essi, o il regolamento dei rapporti tra l’Unione e i paesi dell’euro o del Trattato di Schengen. E non è neppure il caso di evocare le presunte conseguenze negative che un intreccio istituzionale complesso avrebbe sulla trasparenza nei rapporti tra Unione e cittadini. Oggi nell’Unione non c’è trasparenza perché non c’è democrazia, cioè possibilità di imputare chiaramente a qualcuno la responsabilità delle decisioni. E il nucleo federale nascerebbe proprio per introdurre la democrazia nel processo. Il suo funzionamento sarebbe quindi perfettamente trasparente, indipendentemente dalla o minore complessità delle sue istituzioni.
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Il solo vero problema è quindi quello della formazione della volontà politica, e tutte le obiezioni e gli intenzionali fraintendimenti elencati in precedenza sono soltanto alibi per mascherare la sua mancanza. Ciò non significa che il compito non sia di estrema difficoltà. Esso è anzi il più difficile che vi sia: quello del trasferimento della sovranità da un gruppo di Stati ad un unico Stato federale, e quindi della perdita, da parte di più governi e di più apparati burocratici, di quella parte rilevante del loro potere che alla prerogativa della sovranità è strettamente legata. L’ostacolo al conseguimento dell’obiettivo non va quindi cercato nelle società dei paesi coinvolti, ma all’interno della loro stessa struttura di potere.
E’ evidente che la volontà politica di fondare il nucleo federale deve essere accompagnata dalla chiara consapevolezza della natura della posta in gioco, e delle sue implicazioni istituzionali. Esse sono la trasformazione della Commissione in un governo democratico responsabile di fronte al Parlamento, quella del Consiglio dei Ministri in una Camera Alta dell’Unione, senza più poteri di natura esecutiva, ma dotata della pienezza del potere legislativo su di un piano di uguaglianza con il Parlamento, l’attribuzione al Consiglio Europeo del ruolo di Capo dello Stato collettivo della Federazione, la trasformazione della Corte di Giustizia in una vera e propria Corte Costituzionale. Il governo e i due rami del legislativo dovranno disporre, in collaborazione con i livelli di governo nazionali, regionali e locali, del potere di fissare il tetto del bilancio federale e di mobilitare, attraverso l’imposizione di tributi, le risorse necessarie alla realizzazione delle loro politiche. Le istituzioni della Federazione dovranno essere investite — eventualmente alla scadenza di un periodo transitorio, purché di una durata predeterminata — delle competenze della politica estera e della difesa.
Si pone a questo punto il problema dell’individuazione dei soggetti nei quali può nascere la volontà politica di costituire un nucleo federale che abbia queste caratteristiche. La premessa indispensabile alla formulazione di ogni ipotesi a questo riguardo è che la volontà politica di costituire un nucleo federale non potrà comunque nascere nel vuoto, ma soltanto in un contesto politico maturo e pronto ad accogliere un messaggio radicalmente innovatore. Il compito di coloro che vorranno favorire la formazione di un nucleo federale sarà quindi comunque quello di agire su tutte le forze politiche presenti nel Parlamento europeo e nei Parlamenti nazionali sia dei paesi che saranno presumibilmente compresi in esso fin dall’inizio sia di quelli che presumibilmente ne rimarranno esclusi. Ma, ciò detto, resta il fatto che un’iniziativa che, nell’attuale situazione dell’Europa, si proponga di cambiare i dati fondamentali della situazione di potere, di costringere le forze a schierarsi e di orientare le aspettative dell’opinione pubblica non potrà venire che da un accordo tra i più alti responsabili politici della Francia e della Germania, cioè dai capi di Stato o di governo dei due paesi i cui sanguinosi conflitti hanno messo all’ordine del giorno della storia il problema dell’unificazione europea e che, a partire dalla dichiarazione Schuman, hanno costituito l’asse portante del processo di integrazione del continente. Da essi deve partire la proposta, e da essi la proposta deve essere indirizzata ai governi degli altri paesi fondatori delle Comunità — nei quali la classe politica e l’opinione pubblica sono più consapevoli, aperti e favorevoli — e a quelli tra gli altri Stati membri dell’Unione economica e monetaria che fossero disposti ad accettarne le linee fondamentali.
La proposta dovrebbe presentarsi come aperta — subordinatamente all’appartenenza all’Unione economica e monetaria dei che intendessero farne parte e all’accettazione da parte di essi delle linee fondamentali della struttura istituzionale di cui si è parlato precedentemente — e prevedere esplicitamente la compatibilità del nucleo federale con la permanenza dell’Unione, della quale il nucleo dovrebbe essere uno dei membri. A questo scopo il progetto di costituzione del nucleo federale dovrebbe essere accompagnato da una serie di norme di raccordo che permettano di rendere visibili le modalità attraverso le quali il nucleo potrà funzionare all’interno dell’Unione senza pregiudicare i diritti degli altri Stati membri di quest’ultima né compromettere comunque l’acquis communautaire, cioè il livello di integrazione da essi raggiunto e i benefici che essi ne traggono.
Ma l’apertura e l’esigenza di togliere a priori qualsiasi fondamento al timore che la creazione del nucleo federale possa rispondere all’intento di dividere l’Unione non dovranno andare a scapito della fermezza dei promotori dell’iniziativa, né servire ai contrari ad una soluzione federale per inserirsi nei negoziati allo scopo di farli fallire svuotando il progetto del suo contenuto innovativo. Per questo la possibilità che un disegno di questa natura, se mai prenderà realmente forma, vada a buon fine, dipenderà dalla rigorosa determinazione dei suoi iniziatori a considerare non negoziabili tutte quelle caratteristiche della proposta senza le quali il nucleo perderebbe la sua natura federale e dalla loro volontà, pubblicamente dichiarata, di procedere anche da soli qualora nessun altro le accettasse. Senza questa fermezza il nucleo non nascerà, perché il suo annuncio provocherà comunque innumerevoli e durissime reazioni e tenaci resistenze, sia tra i destinati a rimanerne fuori che in molti settori dello spettro politico dei paesi chiamati ad entrarvi, comprendendo tra questi anche quelli che prenderanno l’iniziativa. E’ quindi facile prevedere che la tentazione di fare compromessi sui punti fondamentali, e quindi di snaturare il progetto, sarà assai forte. Ma se gli iniziatori sapranno essere fermi, e resistere alle pressioni e ai ricatti, non solo il nucleo federale nascerà, ma nascerà in un’area più vasta di quella dei Sei, e si espanderà rapidamente a quella dell’intera Unione attuale e a quella dei paesi candidati.
E’ naturale a questo punto porsi la domanda se sia realistico pensare che ai livelli di massima responsabilità dei governi di Francia e Germania (e poi degli altri paesi fondatori delle Comunità) possa nascere in tempi normali una volontà politica così consapevole, determinata e rigorosa. La risposta a questa domanda, nel brevissimo termine, è sicuramente negativa. Ma insieme a questa prima domanda se ne deve porre una seconda: fino a quando l’Unione europea potrà sopravvivere senza che vengano modificati profondamente i suoi meccanismi decisionali mediante la formazione nel suo seno di un germe di natura federale. E la risposta a questa seconda domanda è che le sue prospettive di sopravvivenza sono assai brevi. I tempi normali stanno per finire. Stanno per maturare tempi nei quali la scelta sarà tra federarsi e perire. Oggi quindi il rifiuto di guardare in faccia i pericoli che nasconde il futuro — anche prossimo — e di trarne le conseguenze in termini di progetto e di azione non è segno di realismo, ma soltanto di miopia, di viltà e di ipocrisia. Joschka Fischer ha fatto la sua parte, con coraggio e lucidità. Tocca ora ad altri fare la loro.
Il Federalista