Anno LXIV, 2022, Numero 2-3, Pagina 67
Ad un anno dal ritorno della guerra in Europa
E’ trascorso oltre un anno dall’inizio dell’aggressione da parte della Russia all’Ucraina, e mentre la guerra continua ad infuriare con estrema violenza e brutalità, e non si vede ancora all’orizzonte nessuna possibilità di tregua, quanto abbiamo pubblicato un anno fa su questa rivista a proposito dei pericoli che questa guerra comporta per l’Unione europea (nel testo pubblicato nella rubrica Documenti del n. 2-3 2021 — che accompagnava uno studio in cui venivano illustrate le riforme dei trattati necessarie per rendere l’UE un’unione politica efficace, su base federale) continua ad essere valido e a costituire un monito che non possiamo permetterci di ignorare.
“L’aggressione della Russia all’Ucraina apre un nuovo capitolo nella storia europea. Questa guerra brutale è destinata a durare. È difficile vedere la possibilità di una tregua e in ogni caso la resistenza ucraina non cesserà, e noi europei avremo il dovere morale e politico di sostenerla. La guerra è mossa dalla volontà di impedire che i valori occidentali avanzino, diventando patrimonio comune di Stati fino a pochi anni fa lontani da questo modello politico e culturale e parte integrante, invece, del blocco sovietico, che la Russia mira a ricostituire sul piano geopolitico”, scrivevamo un anno fa, sottolineando che “La resistenza ucraina ha costretto Europa e USA, e con loro un bel pezzo di mondo, a reagire; non era scontata, e ha fatto la differenza. Ora però inizia una lunga guerra e bisogna attrezzarsi, sotto tutti i punti di vista: economico, militare, ma soprattutto politico. Il terreno ultimo su cui si combatte è quello della forza del consenso e della tenuta dell’opinione pubblica”.
“[…] l’Europa deve guidare il mondo libero, e deve farlo non solo perché in questo momento il nemico e la guerra sono sul suo territorio, ma soprattutto perché ha un contributo superiore da offrire in termini di modello politico e sociale. Non sono però le nostre democrazie nazionali che possono fare la differenza, ma la forza del nostro processo di unificazione. Questo processo è il vero nemico delle autocrazie, che si fondano sul nazionalismo aggressivo, sulla tirannia, sul disprezzo della vita umana e della libertà; ed è un processo che ormai deve completarsi, tornando alle radici del Manifesto di Ventotene. La minaccia è analoga, e allo stesso livello deve essere la risposta, realizzando finalmente le riforme che diano vita all’Europa federale. Noi dobbiamo non solo completare la nostra unità, creando meccanismi istituzionali adeguati, per rafforzare la convergenza dei nostri interessi economici e geopolitici; ma dobbiamo prima di tutto sconfiggere politicamente il nazionalismo, che è tornato a portare la guerra sul nostro continente, creando istituzioni che non siano intaccabili da questa malattia e, viceversa, rappresentino un modello alternativo, anche per il resto del mondo.”
La ragione per cui abbiamo voluto richiamare queste righe è perché ci forniscono dei criteri utili per fare un bilancio di quanto l’Europa ha saputo fare finora; e ci permette così di valutare le luci (importanti), insieme alle tante (troppe) ombre del quadro di fronte al quale ci troviamo.
Le luci sono date dal fatto che l’Unione europea è riuscita a rimanere unita nel supporto all’Ucraina ed è stata capace di passaggi importanti come quello di liberarsi dalla dipendenza energetica da Mosca; ma, al tempo stesso, non è stata capace di quello scatto in avanti nei settori strategici, incluso in materia di politica estera, di sicurezza e difesa, analogamente a quanto invece aveva saputo fare con la pandemia mettendo in campo il Next Generation EU. Nonostante l’Europa sia in prima linea per quanto riguarda la minaccia ai suoi valori e al suo modello, alla sua sicurezza, e si ritrovi anche a dover fronteggiare la sfida ulteriore dell’allargamento, l’UE continua a rimanere impantanata a metà del guado; non si decide a creare quelle capacità politiche di governo a livello europeo che sono la condizione necessaria per farsi carico delle nuove problematiche di sicurezza tout court diventate ineludibili.
Per tutte queste ragioni, il fatto che, mentre i blindati di Putin un anno fa lanciavano l’attacco e cercavano di dirigersi verso Kiev, gli europei stessero portando a termine i lavori della Conferenza sul futuro dell’Europa rimane una circostanza cruciale. Nella CoFoE si è discusso esattamente di come costruire il nostro futuro di europei. Il fatto che il momento storico suggellato dal ritorno della guerra vedesse in contemporanea l’esercizio di partecipazione democratica della Conferenza — che si è man mano addirittura animato dall’ambizione di farsi processo costituente — ha creato una situazione che ha permesso di incanalare le aspettative diffuse e ha suscitato nuove energie, dando anche notevole slancio al Parlamento europeo. Proprio il PE, infatti, si sta muovendo per dare seguito concreto alle richieste emerse dalla CoFoE, sia con la domanda di avviare una Convenzione per la riforma dei Trattati, sia lavorando ad un rapporto su proposte di riforma che rispondono alle conclusioni della Conferenza e hanno l’ambizione di cambiare la natura giuridica e politica e dell’UE.
Senza questo passaggio — di natura federale — l’UE resta un’unione di 27 Stati sovrani con 27 Capi di Stato e di Governo, retta da un equilibrio tra le sue diverse istituzioni che la rende incapace di farsi carico della sicurezza del continente europeo e anche di rappresentare un modello istituzionale che supera lo Stato-nazione.
Pochi giorni fa (il 7 marzo), sul Financial Times, Martin Wolf spiegava molto chiaramente le ragioni per cui è così necessario che l’Unione europea si rafforzi dotandosi di istituzioni federali. In un mondo caratterizzato da disordine, nazionalismo e conflitti tra grandi potenze, se gli Europei “vogliono preservare il loro grande esperimento di pace, devono rafforzarlo perché regga alle tempeste”. Le opzioni di fronte all’Unione europea sono tre: “A livello globale, deve decidere se vuole essere un alleato, un ponte o una potenza”. Finché gli Stati Uniti rimarranno una democrazia liberale impegnata nell'alleanza occidentale, l'UE continuerà magari a fare l’alleato sottomesso; ma questo rende difficile esercitare un ruolo di “ponte” — che sarebbe naturale per un'entità impegnata nell'ideale di un ordine mondiale governato da regole — perché è difficile esercitare un simile ruolo in un mondo profondamente diviso in cui l'UE è molto più vicina a una parte che all'altra. La terza alternativa è cercare di diventare una potenza classica a sé stante, con risorse dedicate alla politica estera e di sicurezza commisurate alle sue dimensioni. Ma per questo l'UE avrebbe bisogno di un'unione politica e fiscale molto più profonda. La conclusione di Wolf resta che per l’Europa, “quanto più attiva e indipendente vorrà essere, tanto più cruciale sarà approfondire il suo federalismo”.
Questo è esattamente il bivio di fronte a cui ci troviamo: per difendere il nostro modello e restare capaci di esercitare una funzione pacificatrice e stabilizzatrice nel mondo, dobbiamo renderci indipendenti e farci a nostra volta “potenza”, anche se a fini positivi; ma per farlo serve diventare un’unione federale, sul piano politico e fiscale. La posta in gioco in questo processo di riforma dell’UE, messo in campo dalla Conferenza sul futuro dell’Europa, è davvero il nostro destino e quello del mondo. Questa consapevolezza ci sia di stimolo per combattere ogni passaggio di questa fase complessa ma cruciale.
(marzo 2023)
Il Federalista