Anno LXIV, 2022, Numero 1, Pagina 3
La corsa dell’Unione europea contro il tempo.
Le responsabilità dell’Italia
Il 20 luglio, giorno della caduta del governo Draghi in Italia, rischia di essere ricordato come una di quelle date cruciali che cambiano drasticamente la direzione dei processi politici. La crisi del governo italiano ha infatti una valenza non solo nazionale, ma investe anche l’Unione europea e tutto il fronte delle democrazie occidentali.
L’Italia è un paese determinante nel quadro europeo, e di conseguenza lo è anche sul piano internazionale. L’esperienza appena conclusa del governo guidato da Mario Draghi lo ha dimostrato. Grazie al sussulto di responsabilità di tutte le forze politiche italiane che hanno accettato — con l’eccezione della estrema sinistra e di Fratelli di Italia — il patto di unità nazionale proposto dal Presidente della Repubblica e grazie all’autorevolezza e alla competenza di Mario Draghi, l’Italia non ha solo raggiunto risultati importantissimi sul fronte interno (campagna di vaccinazione e lotta alla pandemia, ripresa economica con una delle crescite più alte in Europa e a livello internazionale, politiche di sostegno sociale, avvio della diversificazione energetica, solo per citarne alcuni esempi che si aggiungono al lavoro per il PNRR), ma ha anche giocato un ruolo di leadership sul piano europeo e internazionale. Draghi è stato l’interlocutore privilegiato degli USA in Europa per fissare la linea a sostegno dell’Ucraina, come reso evidente anche dal ruolo determinante che ha avuto nella decisione sulla candidatura dell’Ucraina all’Unione europea; e nell’UE, insieme a Macron, ha guidato il fronte dei Paesi impegnati a costruire un’Europa forte e coesa, dotata di una sua indipendenza strategica. In questa ottica ha lavorato su una serie di proposte cruciali (dall’energia alla difesa e alla riforma della finanza pubblica europea) e sostenuto il processo di riforma dei Trattati, dalla Conferenza sul futuro dell’Europa alla richiesta da parte del Parlamento europeo di aprire una Convenzione ex art. 48 TUE, con l’obiettivo più volte dichiarato di modificare in senso federale il sistema politico-istituzionale europeo.
Aver provocato la caduta del governo Draghi ha quindi non solo portato l’Italia in acque incerte e agitate, ma ha ancor di più privato di una guida decisiva l’Europa, fermando quel processo di rafforzamento così cruciale per il successo nel confronto (accelerato e reso drammaticamente inevitabile da Putin con l’aggressione all’Ucraina) tra democrazie liberali e autocrazie.
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La guerra lanciata dalla Russia contro l’Ucraina, proprio per aver portato la frattura tra Occidente e potenze autocratiche a livelli non più sanabili facendo ricorso a politiche di dialogo, ha aperto molte incognite sul futuro di un’Europa che è stata costretta a prendere atto della propria vulnerabilità e della mancanza di strumenti di difesa adeguati. Se oggi questa aggressione non fosse contrastata con coraggio e determinazione dagli ucraini stessi con il supporto esterno della NATO e l’impegno innanzitutto americano, la minaccia diretta di Mosca avrebbe sicuramente investito in tempi brevi anche alcuni dei paesi membri dell’UE.
In questo quadro, ancora una volta, gli europei si ritrovano dipendenti per la loro sicurezza da un paese esterno (gli USA), che a sua volta è condizionato da una situazione politica interna dagli sviluppi imprevedibili; ma la differenza, rispetto al passato dopo il crollo dell’URSS, è che questa volta la guerra è in Europa, e il fatto che il ritardo europeo (sul piano politico, oltre che militare) sia così profondo da non potere essere colmato in tempi politicamente utili rispetto alla guerra in corso, mette a nudo chiaramente quella realtà dell’Europa “ventre molle” del fronte occidentale tante volte richiamato da analisti e politici americani.
Si aggiunga, a conferma di tutto ciò, che gli europei si ritrovano a dipendere dal nemico in un settore vitale come quello dell’energia e, attraverso questa dipendenza, finanziano il proprio aggressore profumatamente. In più, hanno al proprio interno porzioni importanti di opinione pubblica e di classe dirigente che parteggia per il nemico e lo sostiene attivamente (mentre l’opposizione democratica in Russia o in Cina è ridotta facilmente al silenzio). A questo va aggiunto che, di fronte alle conseguenze economiche della guerra — che ricadono su economie già gravemente colpite dalla pandemia e che avevano appena iniziato la ripresa — gli europei hanno una moneta unica forte e autorevole, che però, in assenza dei necessari strumenti concomitanti fiscali ed economici, è minacciata dalla fragilità di una parte degli Stati che vi partecipano, dal loro debito eccessivo e dalle loro carenze rispetto alle quali mancano strumenti strutturali di supporto; mentre l’inflazione rende complesso anche l’utilizzo della leva della politica monetaria della Banca centrale, in passato determinante per salvare l’euro. Infine, quando devono agire uniti, gli europei, nel quadro dell’UE, hanno una struttura decisionale che riflette la loro frammentazione e l’assenza di una sovranità comune democratica e legittima, per cui si trovano a ragionare troppo spesso in base non ad una visione forte di grande potenza continentale, ma alla somma di tante visioni nazionali deboli; in più per agire sono anche privi di vere risorse e strumenti adeguati.
Questo quadro, senza togliere nulla al valore di quanto costruito in oltre settanta anni di integrazione, dimostra come l’UE si sia crogiolata troppo a lungo nell’illusione che il Mercato unico fosse la risposta politica adeguata alle sfide del nostro tempo e che fosse in grado, unito ad una gestione sana e scrupolosa delle finanze nazionali e a buone pratiche nazionali di governo, di garantire la pace, il successo dei nostri sistemi economici e sociali e delle nostre democrazie. La realtà, invece ha visto crescere le minacce attorno a noi a dismisura, lasciandoci del tutto inadeguati a fronteggiarle. Basta confrontare le indicazioni contenute nello Strategic Concept della NATO e nello Strategic Compass dell’UE. Di fronte ad un’analisi molto simile delle minacce che dobbiamo fronteggiare e degli attacchi che rischiamo (altamente) di dover subire, l’uno propone le soluzioni che derivano dalla forza della potenza tecnologica e militare (grazie al ruolo degli USA); l’altro un cantiere tutto da costruire, e rispetto al quale non ci sono ancora neanche gli strumenti per avviare i lavori. Parole da una parte, quindi, rispetto al potere reale dall’altra.
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La descrizione dello stato in cui si trova l’Unione europea spiega bene perché rischia di essere fatale il fatto di aver fermato chi in Europa era alla guida del cambiamento. La riforma per costruire l’unione politica federale dell’UE è fondamentale per rafforzare la presenza internazionale dell’UE, la sua capacità di agire con autorevolezza internamente ed esternamente e anche per offrire ai cittadini e alle opinioni pubbliche (spesso sfiduciate e deluse dalle debolezze delle istituzioni e delle politiche nazionali) un progetto lungimirante e profondo di rifondazione della politica e del modello democratici. In un confronto tra sistemi alternativi, in cui l’autocrazia sfida con la sua apparente efficacia la complessità e la inclusività dei meccanismi decisionali democratici, il rafforzamento del sistema democratico diventa il fattore dirimente; e, vista la debolezza strutturale a livello nazionale, è evidente che la democrazia può rilanciarsi solo se si realizza pienamente a livello europeo. L’evoluzione del sistema istituzionale europeo necessario a tal fine si scontra però con molti ostacoli, dall’inerzia di un paese chiave come la Germania (a lungo sostenitore del sistema di un’UE grande Mercato unico e ora in difficoltà a modificare il suo modello economico e politico), alla freddezza dei paesi “frugali” e di quelli del Nord Europa, fino all’aperta difesa dell’indebolimento politico dell’UE, a favore del ritorno ad un regime di piena sovranità degli Stati membri, da parte dei pasi dell’Europa orientale. Il tandem franco-italiano era il motore indispensabile per costruire la nuova Europa, ed è stato fermato. Tenendo conto di come la guerra contro l’Ucraina abbia alzato il livello della sfida contro i nostri sistemi democratici, e di come il fattore tempo si sia fatto determinante, questa brusca frenata è particolarmente pericolosa.
A questo si deve aggiungere l’incognita se l’Italia potrà mai recuperare il ruolo svolto sotto la presidenza del Consiglio di Mario Draghi. Perché ciò accada, il 25 settembre dovrà vincere la continuità politica e istituzionale, fondata su un grande patto che si apra nuovamente in ottica nazionale, rispetto all’esperienza del governo uscente. Tutto in teoria è possibile, benché difficile, e potrebbe anche prevalere — chiunque vinca — il senso di responsabilità verso l’interesse nazionale e la coerenza verso i valori democratici e di libertà, che sono perduti al di fuori del quadro europeo.
A sostegno di un possibile miracoloso rientro in campo dell’Italia vi è il fatto ormai riconosciuto che l’Italia non si governa “contro” l’Europa, ma solo lavorando in sinergia con i nostri partner europei e con l’UE e rispettando gli impegni comuni; così come è un fatto riconosciuto che se prevarranno a livello nazionale delle scelte e dei comportamenti irresponsabili che priveranno l’Italia delle protezioni europee, il nostro Paese ha davanti a sé un unico destino: la crisi irreversibile e fallimento. Anche solo se il prossimo governo vorrà schierarsi a favore di un indebolimento dell’Unione europea, cambiando così il quadro delle nostre alleanze europee, non solo si metterà in grave pericolo la coesione e la stessa tenuta dell’UE, ma si rafforzeranno parallelamente le tentazioni all’immobilismo e le regole rigide di controllo che sono così dannose per la nostra tenuta a livello di sistema paese. L’Italia quindi ha in mano una parte importante del destino europeo e ha, al tempo stesso, un disperato bisogno di un’Europa forte e coesa. Chiunque vada al governo dopo il 25 settembre non può prescindere dal misurarsi con questo fatto.
D’altro canto, il comportamento delle forze che hanno fatto cadere Draghi in Senato il 20 luglio sembra testimoniare che non c’è limite all’irresponsabilità, quando una classe politica ha in gran parte perso il senso del dovere e del proprio compito. Le forze che hanno mantenuto la fiducia a Draghi, e che hanno mostrato di essere coscienti delle esigenze vere del Paese e della necessità di porle al di sopra degli interessi di parte, sono al momento in minoranza e non sembrano riuscire ad esprimere una strategia elettorale all’altezza del grave momento storico, complice anche le incongruenze di una pessima legge elettorale. Gli altri, nuovi o vecchi oppositori del governo di unità nazionale, si suddividono tra un partito come il Movimento 5 Stelle che cerca di recuperare la sua anima populista per non scomparire dal panorama politico, dopo aver cercato per mesi di portare l’Italia su posizioni anti-NATO per quanto riguarda il sostegno italiano all’Ucraina; la Lega di Salvini, che ha, come il M5S, contestato Draghi sull’Ucraina e su alcune riforme essenziali del PNRR; Forza Italia che predica il suo ancoraggio alla famiglia europea del PPE e al tempo stesso, sotto la guida di Berlusconi, mantiene l’ambiguità verso Putin e rievoca vecchi cavalli di battaglia populisti; infine Fratelli di Italia — cresciuto nell’opposizione al governo, alle sue riforme e alle sue scelte europee, con posizioni tradizionalmente e coerentemente anti-europee e sovraniste, aperto sostenitore dei movimenti illiberali in Europa — che in vista di una probabile vittoria elettorale e di una conseguente responsabilità di governo recupera in pochi giorni l’europeismo, la fedeltà al sistema costituzionale (salvo mantenere le posizioni presidenzialiste), la continuità con l’agenda del governo precedente e si accredita presso l’Amministrazione americana come garante della posizione atlantista del suo futuro governo.
Sarà, questa svolta improvvisa del partito favorito alle urne e alla guida del prossimo governo, una mossa tattica per evitare una tempesta perfetta nel momento in cui sale al potere? Oppure è già in nuce la presa d’atto che Draghi aveva ragione su tutto, e che pertanto fargli l’opposizione è stato politicamente sbagliato, anche se elettoralmente redditizio? Potrà l’eventuale prossimo esecutivo a trazione Fratelli di Italia superare le contraddizioni che ne hanno reso probabile la nascita? O in alternativa potrà vincere in Italia uno schieramento di forze che nel suo DNA apertamente si richiama alla continuità con il governo uscente, con numeri sufficienti per poter far riguadagnare immediatamente la credibilità all’Italia?
La risposta è nelle mani degli elettori italiani e delle forze politiche. In una campagna esposta agli attacchi ibridi della disinformazione e dell’ambiguità delle posizioni di molti contendenti l’Italia gioca una partita cruciale per il futuro delle democrazie occidentali. Un’Italia europea per un’Europa federale, sovrana e democratica è appena stata messa al tappeto dal populismo e dagli interessi di parte. Riusciranno comunque a prevalere responsabilità, buon senso e coerenza rispetto al modello liberal-democratico, insieme alla coscienza del valore dirimente dell’Europa per il nostro futuro? Sarebbe bello che questo dibattito avvenisse realmente per permettere ai cittadini italiani di prendere coscienza della vera posta in gioco il 25 settembre.
Pavia, 7 agosto 2022
Il Federalista