IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XLVIII, 2006, Numero 2, Pagina 83

 

 

L’eredità di Altiero Spinelli
 
 
A vent’anni dalla sua scomparsa, il pensiero e l’azione di Altiero Spinelli conservano intatta la loro attualità. Si potrebbe addirittura affermare che La crisi in cui è precipitata negli ultimi anni l’Unione europea conferisce alla sua battaglia per gli Stati Uniti d’Europa un risalto ancora maggiore.
L’eredità che Altiero Spinelli ci ha trasmesso è molto complessa: nei suoi scritti spiccano la penetrante diagnosi sulla crisi dello Stato nazionale che è stata alla base della sua conversione al federalismo, la critica impietosa delle vecchie ideologie, il significato storico del processo di unificazione europea, i principi che devono ispirare la vita e l’azione di un Movimento rivoluzionario come il Movimento federalista europeo. Nella sua azione alla guida del MFE e nella sua attività dentro le istituzioni europee spicca la straordinaria tenacia con la quale ha combattuto tutte le battaglie, senza mai perdersi d’animo di fronte agli insuccessi perché la battaglia per una buona causa è sempre un successo in quanto lascia nella storia una traccia indelebile che consente, a chi verrà dopo, di non ricominciare ogni volta da capo.
La prima eredità che Spinelli ha trasmesso ai federalisti è il Manifesto di Ventotene, scritto insieme ad Ernesto Rossi (autore della parte iniziale del terzo capitolo) nel 1941 mentre si trovavano al confino nella piccola isola tirrenica. Il Manifesto è unanimemente considerato il più importante testo europeistico della Resistenza, il solo che a tanta distanza di tempo conserva intatta la sua vitalità e che costituisce (o dovrebbe costituire) la pietra di paragone dell’azione europea dei governi, dei parlamenti, delle forze politiche, delle organizzazioni europeistiche e dei militanti federalisti.
Se le pagine di Ventotene hanno superato la prova del tempo, lo si deve al fatto che Spinelli non si è limitato ad indicare l’alternativa europea alla crisi dello Stato nazionale — lo aveva già fatto, con la stessa lucidità, Luigi Einaudi, senza tuttavia avanzare proposte concrete per realizzare questo disegno — ma è andato al cuore del problema formulando un progetto politico da perseguire con una organizzazione specifica indipendente dai partiti. Come tutti gli autentici rivoluzionari, Spinelli ha saputo cogliere, in mezzo alle rovine seminate dalla guerra, il germe che poteva schiudere una nuova era caratterizzata dall’unione degli uomini al di sopra delle frontiere nazionali. Secondo Mario Albertini, l’originalità del Manifesto di Ventotene consiste nel fatto che il suo principale autore ha colto in modo particolarmente lucido la «relazione che esiste tra l’elaborazione di nuovi principi d’azione e il riconoscimento del carattere iniziale dei nuovi processi storici. Questa relazione deve essere considerata non solo come un fatto pratico, ma anche come un fatto teorico. E per stabilirla bene sul piano teorico bisogna tener presente in primo luogo che chi si occupa del futuro cerca di isolare nella realtà storico-sociale in atto quei dati di fatto che, se vengono sviluppati con un’azione adeguata, possono determinare una situazione storica nuova. Bisogna inoltre tener presente, in secondo luogo, che questi dati di fatto, siccome hanno la natura di possibilità da sfruttare, sono riconoscibili solo attraverso la messa in evidenza di queste possibilità, cioè con l’elaborazione di nuovi principi d’azione. In ogni altro caso la loro peculiarità non entra nel campo visuale. Ne segue che il metodo di conoscenza della politica militante è il solo con il quale si può tentare di acquisire la conoscenza di una precisa singolarità storica: quella dei processi storici alloro inizio».
Il rivoluzionario è proiettato verso il futuro, ma non è un profeta, e può accadere, come è accaduto anche a Spinelli, di sbagliare le previsioni. Egli pensava che la situazione che si sarebbe creata in Europa dopo la sconfitta della Germania e l’indebolimento degli Stati nazionali avrebbe consentito di dar vita alla Federazione europea prevenendo così la ricostruzione dei vecchi poteri. Le cose sono andate altrimenti perché nel cuore degli europei gli Stati nazionali e la loro ideologia (la nazione) erano le uniche realtà esistenti e quindi soltanto essi sarebbero stati in grado di suscitare le energie necessarie per la ricostruzione. Ma proprio perché Spinelli aveva saputo cogliere la natura profonda dei mutamenti in atto e aveva saputo tradurli in nuovi principi d’azione, la delusione seguita alla rinascita degli Stati nazionali (una rinascita di facciata alla quale non corrispondeva nessun potere effettivo sulla scena mondiale) non influì, se non in maniera passeggera, sul suo impegno europeo che riprese con maggiore intensità quando il piano Marshall creò di nuovo una situazione favorevole al rilancio dell’unità europea.
Se per agire è necessario prevedere, quando le previsioni non si avverano occorre chiedersi dove si annida l’errore, e se esso mette in discussione i principi fondamentali del proprio giudizio e della propria azione. La pagina più famosa del Manifesto di Ventotene costituisce, al riguardo, il criterio ultimo al quale la battaglia federalista deve ispirarsi in ogni circostanza, soprattutto quando si registrano sconfitte che sembrano cancellare dall’orizzonte politico persino la possibilità di battersi. «La linea di divisione fra partiti progressisti e reazionari, si legge in quella pagina, cade… ormai non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere nazionale — e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie lasciando solidificare la lava incandescente delle passioni popolari nel vecchio stampo — e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido Stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale».
Nel processo di unificazione europea la sconfitta più cocente è stata la bocciatura della CED, affossata il 30 agosto 1954 dall’Assemblea nazionale francese dopo che, per qualche tempo, il successo era sembrato a portata di mano. La caduta della CED raffreddò l’impegno dei governi, anche di quelli più europeisti, e provocò un diffuso smarrimento che non lasciò indenne neppure il MFE. Il Movimento che negli anni della CED aveva visto ingrossarsi le proprie file e aumentare la propria influenza, si ridusse a poche centinaia di militanti raccolti intorno a Spinelli che nell’ottobre del 1954 lanciò il «nuovo corso». Tramontata l’epoca dei governi europeisti, le forze del nazionalismo erano tornate alla ribalta ricacciando nel limbo il progetto degli Stati Uniti d’Europa. Che fare?
Per il MFE il problema più urgente era quello di individuare una nuova strategia in modo da non disperdere le poche forze rimaste sul campo, ma, nel contempo, si doveva opporre un secco no alla falsa Europa, quella che i governi avevano disegnato con le conferenze di Londra e di Parigi. «La conseguenza prima da trarre per i federalisti, scriveva Spinelli, è che i metodi d’azione adoperati sinora non hanno più significato. Essere gli ispiratori, i suggeritori, aveva un senso finché c’erano governi disposti a lasciarsi ispirare e suggerire, finché c’erano ministri convinti essi stessi che bisognava andare verso le istituzioni sopranazionali o anche proporre un compromesso, puntare su un successo parziale per averne uno completo, aveva allora un significato politico preciso e concreto». Il successo parziale al quale alludeva Spinelli era l’esercito europeo; il successo completo, la Federazione europea.
Per non commettere errori fatali era inoltre necessario comprendere chiaramente la logica che aveva ispirato l’azione del MFE nella battaglia per la CED. Rivolgendosi alle organizzazioni federaliste, scriveva: «Noi non abbiamo chiesto mai che si facesse la CED; poiché i governi erano arrivati a pensare di fare la CED, noi abbiamo chiesto, poggiando sulla logica interna di natura sovranazionale della CED, che si facesse un governo e un Parlamento europeo. Se oggi, poggiando sull’Unione europea occidentale, la cui logica interna è il mantenimento delle sovranità nazionali, chiedessimo un assurdo pool di armamenti, cioè praticamente un cartello di produzioni militari franco-tedesco, che si sfascerebbe al primo contrasto fra i due Stati, applicheremmo stupidamente una tattica che valeva per circostanze del tutto diverse, non faremmo nessun passo verso il sovranazionale, e ne faremmo invece verso il riassorbimento degli stessi ideali federalisti da parte del modo di pensare nazionale. Disgregheremmo il Movimento federalista senza ottenere nulla di positivo». Al termine della sua analisi concludeva: «I federalisti devono chiedere che un’Assemblea costituente europea sia eletta direttamente dai liberi popoli europei, e che la Costituzione che questa voterà sia ratificata da referendum popolari. Sanno benissimo che nel momento attuale nessun governo è disposto ad accettare questa procedura. Essi la formulano per sottolineare il loro totale rifiuto di fiducia agli Stati nazionali, per far comprendere che la Costituzione europea deve avere un fondamento di legittimità democratica europea al suo inizio, che cioè l’organo che elabora la Costituzione non può essere costituito da diplomatici né da delegazioni di parlamenti nazionali, ma da rappresentanti del popolo europeo, scelti per compiere un’opera europea; e deve avere una sanzione di legittimità democratica europea alla sua conclusione perché il sì o il no deve essere detto dai popoli e non dai loro parlamenti nazionali, che sono capaci solo di legiferare in materie di ordine nazionale. Tutto quel che dobbiamo ottenere dai governi e dai parlamenti nazionali è che abdichino dalla loro illegittima sovranità nei campi in cui non sanno più esercitarla, accettando di convocare la Costituente europea». Andando al cuore del problema, Spinelli illustrava la nuova logica che doveva ispirare l’azione dei federalisti: essi dovevano costringere i governi e i parlamenti nazionali a rinunciare, con un atto che doveva essere ben visibile, alla loro sovranità e ad avviare il processo costituente europeo.
Secondo il fondatore del MFE, il «nuovo corso» avrebbe avuto successo soltanto se fosse sorta «una ribelle coscienza federalista, la quale sia cento volte più forte, più diffusa e più sicura di sé di quanto è oggi». E per contribuire a spargere sul difficile terreno europeo i germi della rinascita federalista, concluse questo periodo di «rifondazione» pubblicando il Manifesto dei federalisti, scritto nell’estate del 1956, nel quale riassume con la consueta efficacia le condizioni storiche che avevano reso possibile la lotta per la Federazione europea, la sorda resistenza opposta dai suoi nemici, il ruolo insostituibile dei federalisti e la nuova strategia incentrata sul Congresso del popolo europeo. Era un ritorno a Ventotene ma era anche, nello stesso tempo, un passo decisivo verso la nuova strategia che avrebbe caratterizzato l’azione dei federalisti negli anni successivi.
L’elezione diretta del Parlamento europeo, che si è tenuta per la prima volta nel 1979, è stata anche il risultato di quella strategia, e la battaglia condotta da Altiero Spinelli nel suo seno è stata la prosecuzione della scelta costituente che ha le proprie radici a Ventotene. Dopo l’irripetibile occasione della CED, l’Europa ha sfiorato di nuovo il successo (un successo parziale, ma, per dirla con Spinelli, preludio del successo completo) all’inizio degli anni Ottanta, quando egli riuscì ad ottenere, con la sola forza della sua indomabile volontà e con la limpidezza della sua ragione, l’approvazione da parte dell’Assemblea di Strasburgo del «Progetto di Trattato che istituisce l’Unione europea» (più noto come Trattato Spinelli). Se i capi di Stato e di governo che avevano promesso il loro appoggio al Trattato lo avessero sostenuto fino in fondo, la bilancia del potere si sarebbe spostata dalla parte dell’Europa dando vita ad una federazione nel settore dell’economia e della moneta, che, col tempo, si sarebbe estesa anche ai settori più controversi della difesa e della politica estera, portando a compimento l’opera iniziata a Ventotene. La storia — o, meglio, la mancanza di coraggio di una classe politica ormai priva di grandi visioni — ha deciso altrimenti. Resta però il fatto che la battaglia di Spinelli ha aperto la via prima all’Atto unico, poi al Trattato di Maastricht e quindi alla moneta europea.
Spinelli aveva piena consapevolezza della difficoltà che avrebbe incontrato il suo progetto, e sapeva bene che l’accusa di «estremismo», che spesso non gli avevano risparmiato neppure gli europeisti, poteva essere rispolverata per l’occasione. Prevenendo le critiche che i cosiddetti «realisti» avrebbero riversato sul progetto del Parlamento europeo, colse l’occasione della «Jean Monnet Lecture», tenuta il 13 maggio 1983 all’Istituto Universitario Europeo di Firenze, per rivolgersi ai suoi ascoltatori in questi termini: «Non ci si venga… a dire che tutto ciò è troppo avventuroso, che bisogna stare con i piedi sulla terra ed avanzare a piccoli passi. Voi vedete tutti a qual disastroso punto ci ha condotti la politica detta dei piedi sulla terra e dei piccoli passi, la politica detta erroneamente del pragmatismo, che è in realtà la politica fondata sull’assenza di idee e di visioni o, per essere più sinceri, fondata sulla schiavitù intellettuale verso idee vecchie e divenute del tutto inadeguate».
Si trattava di una condanna senza appello non del realismo, bensì dell’assenza di idee mascherata con il richiamo alla prudenza. Nella sua azione Altiero Spinelli si è sempre attenuto a principi rigorosi, senza i quali si rischia di smarrire la direzione di marcia, ma anche ad un lucido pragmatismo, senza il quale nessun progetto politico può essere realizzato. La necessità di far convivere in una continua dialettica principi ideali e concretezza, soprattutto in un’opera rivoluzionaria come la creazione di un nuovo Stato, ma senza indulgere ad alcuna debolezza anche nei momenti in cui si deve scendere a patti con la realtà, è ben illustrata in una lettera a Mario Albertini del 4 maggio del 1983. Consapevole che la sua non poteva essere una battaglia solitaria, ma richiedeva l’intervento del MFE, l’unica forza politica sul campo in grado di cogliere fino in fondo la portata e le potenzialità del suo progetto, egli scriveva: «Il ruolo del MFE è a mio avviso quello di difensore delle proposte che risolvono i problemi, cioè di rappresentante della logica politica europea. Responsabili di eventuali compromessi potrebbero essere solo quei federalisti cui è toccato di condurre quest’azione nel Parlamento europeo. Se chi la conduce dovesse constatare che l’eventuale compromesso accettato dal Parlamento europeo castra il progetto, egli dovrebbe sentire il dovere di dissociarsene», senza peraltro rinunciare alla battaglia.
Tale determinazione e, più in generale, il suo stile di vita, mostrano che Spinelli ha incarnato in maniera esemplare la figura dell’eroe politico tratteggiata da Max Weber: «La politica consiste in un lento e tenace superamento di dure difficoltà, da compiersi con passione e discernimento al tempo stesso. È perfettamente esatto, e confermato da tutta l’esperienza storica, che il possibile non verrebbe raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile. Ma colui il quale può accingersi a quest’impresa deve essere un capo, non solo, ma anche — in un senso molto sobrio della parola — un eroe. E anche chi non sia né l’uno né l’altro deve foggiarsi quella tempra d’animo tale da poter reggere anche al crollo di tutte le speranze, e fin da ora, altrimenti non sarà nemmeno in grado di portare a compimento quel poco che oggi è possibile. Solo chi è sicuro di non venir meno anche se il mondo, considerato dal suo punto di vista, è troppo stupido o volgare per ciò che egli vuole offrirgli, e di poter ancora dire di fronte a tutto ciò: ‘non importa, continuiamo!’, solo un uomo siffatto ha la vocazione per la politica».
 
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L’eredità di Spinelli è straordinariamente ricca e di essa darà pienamente conto l’opera omnia che è in preparazione. Ripubblicando, a vent’anni dalla sua scomparsa, alcuni scritti che hanno segnato in maniera indelebile il processo di unificazione europea e la vita del MFE, Il Federalista intende mettere l’accento su tre momenti cruciali della sua lotta per l’Europa: il momento della fondazione che si identifica con il Manifesto di Ventotene; il momento della «rifondazione» che si incarna nel «nuovo corso», e il momento finale della sua battaglia senza la quale la traballante Unione europea non disporrebbe neppure dell’unico solido punto di riferimento costituito dalla moneta.
 
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