Anno LX, 2018, Numero 2-3, Pagina 83
Verso le elezioni europee 2019:
una sfida sul futuro dell’Unione europea
Le elezioni di maggio per il rinnovo del Parlamento si stanno caratterizzando sempre più come uno scontro sul futuro dell’Europa. Le crescenti divisioni politiche tra gli Stati membri (e la paralisi che ne deriva in molti campi cruciali), l’ampiezza e la profondità delle sfide che minacciano la sicurezza e la tenuta politica e sociale del nostro continente mostrano tutta la precarietà dell’attuale sistema europeo.
Le forze nazionaliste, per prime, si stanno posizionando per portare il terreno del confronto elettorale sul futuro dell’Europa. Dopo aver accantonato — anche sull’onda del caos in cui è precipitato il Regno Unito nel tentativo di perseguire la Brexit — l’idea di promuovere l’uscita del proprio paese dal quadro europeo, mirano ora a raggiungere all’interno del prossimo Parlamento numeri e consensi sufficienti per condizionare pesantemente gli equilibri nelle prossime istituzioni comunitarie. Il loro progetto punta a rafforzare ulteriormente la centralità e il potere degli Stati membri, a svuotare e smantellare la dinamica comunitaria e a contrapporre al modello di liberal-democrazia e di economia sociale di mercato incarnato dall’UE un sistema autoritario e anti-democratico, sostenuto da una coalizione di regimi e forze illiberali.
Non basta — anche se è utile e importante farlo — che le forze e i cittadini che credono nei valori della civiltà e del modello europeo, e che capiscono che solo uniti gli europei possono garantirsi un futuro di progresso, difendano i meriti di quanto finora realizzato con il processo di integrazione; e non basta neppure sottolineare l’incongruenza delle posizioni dei governi nazionalisti che li porta a scontrarsi e danneggiarsi a vicenda sui temi specifici. Il rischio mortale rappresentato dal loro disegno di coalizzarsi per svuotare l’UE è reale. Per questo tutti i sinceri democratici devono saper opporre al progetto nazionalista proposte concrete per rafforzare l’Europa e portare a compimento il progetto originario dell’unità politica su basi federali.
Si tratta di portare al centro dell’attenzione politica il problema della creazione del potere necessario per agire in Europa e il conseguente salto istituzionale indispensabile per superare le debolezze del quadro europeo. Questo vale di fronte al problema della sicurezza, a quello dello sviluppo sostenibile, della rivoluzione scientifica e tecnologica, del lavoro, della disoccupazione giovanile, ma ancor di più di fronte allo spettacolo vergognoso offerto dagli Stati nel quadro dell’Unione europea intergovernativa rispetto alla sofferenza di chi cerca rifugio in Europa.
L’assenza di un governo federale europeo e l’impotenza degli Stati europei che pretendono di rimanere i “signori dei Trattati” e i padroni della politica in Europa sta portando alla deriva la nostra società e causando tragedie di proporzioni immani ai nostri confini.
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Non è certo questo il modo migliore per festeggiare il 20° anniversario dell’entrata in vigore della moneta unica. L’euro è un grande successo, di cui gli Europei devono essere giustamente fieri. E’ stato innanzitutto un progetto politico rivoluzionario, che ha messo in sicurezza l’edificio europeo nel momento in cui la fine dell’equilibrio bipolare erodeva tutti i pilastri su cui era fondata la Comunità europea: la profonda coincidenza di interessi con gli USA, il legame ideologico comune creato dalla guerra fredda, il quadro geopolitico stabile e perfettamente delineato, la condizione di sovranità mutilata della Germania e la supremazia politica della Francia — entrambi elementi determinanti nel rapporto tra i due paesi motore del processo. Venute meno queste fondamenta, senza il traguardo della moneta unica da perseguire, a partire dalla fine degli anni Ottanta, e senza l’euro dalla fine degli anni Novanta, l’edificio europeo difficilmente avrebbe potuto sopravvivere nel nuovo mondo globale.
Anche se i suoi “padri fondatori”, da Kohl a Delors, erano per primi convinti che fosse una costruzione incompleta e che dovesse essere al più presto rafforzata e portata a compimento, attraverso l’unione di bilancio e l’unione economica e sociale - e per Kohl anche l’unione politica —, l’euro ha mantenuto una parte importante delle sue promesse in questi anni: non solo è diventata la seconda valuta mondiale e ha reso possibile lo sviluppo del più grande mercato unico nel mondo, ma ha eliminato il problema dell’inflazione in Europa e ha costretto i governi, abituati a giocare slealmente con la debolezza della moneta nazionale, a correggere i propri comportamenti, anche se non è bastato a spingerli a confrontarsi con la sfida della competitività. In questo modo ha accresciuto enormemente l’interdipendenza tra i paesi europei e rafforzato la resilienza del sistema stesso e il legame da parte dei suoi membri.
Oggi, però, a quasi dieci anni di distanza dall’inizio della crisi finanziaria ed economica che ha costretto gli europei a confrontarsi con i limiti dell’Unione monetaria costruita a Maastricht, anche in questo campo è più che mai necessario per gli europei fare un bilancio, e prepararsi alle nuove sfide. Se la crisi infatti ha dimostrato che l’euro è più solido e più resistente di quanto i suoi critici credessero, è vero anche che ha rivelato il fatto che l’euro è stato meno efficace nel promuovere la convergenza e la competitività dei suoi membri di quanto i suoi sostenitori non avessero ipotizzato. Il risultato è che oggi gli europei sono più divisi politicamente, e quindi più deboli sotto questo aspetto, di quanto non lo fossero nel momento in cui hanno dato vita alla moneta unica; e devono capire perché questo accade e come ovviare.
Il problema è tutto politico, ed è nel sistema zoppo che caratterizza l’unione monetaria. Se fosse stata creata un’unione politica federale (che tutti vedevano come necessaria al momento dell’avvio della moneta unica), le competenze e i poteri delle istituzioni europee sarebbero ben delimitati ma reali, e i cittadini sperimenterebbero il legame diretto con queste ultime, sia nel senso di essere direttamente sottoposti alle loro decisioni, sia di poterle controllare attraverso il voto e la dinamica piena parlamentare (e il tutto sarebbe coordinato con i livelli inferiori di governo, che a loro volta continuerebbero ad esercitare le loro prerogative di fronte ai propri cittadini); la democrazia e l’efficacia del governo sarebbero pertanto garantiti. Il sistema europeo, invece, è tale per cui gli Stati condividono la sovranità monetaria ma non quella economica e politica, e ciò crea una serie di cortocircuiti (che poi alimentano la nascita e la diffusione delle forze populiste e nazionaliste): i) il livello sovra-nazionale resta zoppo e in balia, politicamente, del volere dei governi nazionali, che hanno interessi spesso divergenti e indeboliscono l’azione delle istituzioni comunitarie; ii) i governi nazionali sono costretti ad agire all’interno di un quadro molto vincolante, indispensabile per il funzionamento del sistema europeo così concepito e fatto di regole necessarie, ma che spesso costringono a compiere scelte politiche impopolari nel breve periodo; iii) i cittadini vivono l’esperienza di due livelli di governo (quello nazionale e quello europeo intergovernativo) che si indeboliscono a vicenda, invece di fare sinergia, e che perseguono pertanto politiche spesso deboli e inadeguate; iv) infine la democrazia si esercita in senso pieno solo a livello nazionale, ed è in gran parte svuotata dalla dinamica appena descritta.
La soluzione non può dunque che essere, a sua volta, politica; a maggior ragione per il fatto che, di fronte a questa debolezza dell’Europa, cresce nel mondo la brama delle vecchie e nuove potenze di spartirsi la ricchezza del nostro continente. Oggi, il nostro modello di economia sociale di mercato fondato sulla liberal-democrazia, e i nostri valori di civiltà e di libertà, sono minacciati.
Anche l’euro ci ricorda pertanto che non è più tempo per gli europei di rimandare il completamento dell’edificio avviato 20 anni fa: con i paesi disposti a costruire l’unione politica, è venuto il momento di creare attorno all’euro le basi per una potenza economica e politica globale che si faccia portatrice di un modello di unità, di pace, di libertà, di solidarietà e di difesa dei valori universali della nostra civiltà.
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L’idea di fare dell’eurozona il cuore più unito e integrato dell’Unione europea e di costruire, a partire dallo sviluppo di una potenza economica globale, la nuova sovranità europea è al centro delle proposte della Francia e di Macron per il rilancio del progetto europeo in questo ultimo anno e mezzo. Le trattative per trovare una posizione comune con la Germania hanno però portato a conseguire solo una proposta di compromesso ancora molto contraddittoria e inadeguata. La distanza che separa i due paesi sul futuro dell’Unione europea ha rivelato essere ancora molta: la Francia ha la visione di un’Europa che diventa potenza politica attrezzandosi con i poteri e le dinamiche democratiche di una comunità statuale federale; la Germania, teme di abbandonare l’assetto attuale, ibrido, in cui la politica e il potere restano agli Stati e l’integrazione si decide ancora tra i governi nazionali, limitando al minimo il ruolo effettivo della Commissione.
In questa ottica va anche inquadrato il trattato di Aquisgrana sottoscritto il 22 gennaio 2019 da Parigi e Berlino (in continuità con quanto già fatto nel 1963 con il trattato dell’Eliseo): si tratta di un gesto che vuole essere parte di un percorso volto anche a colmare questa distanza e a rinsaldare la fiducia reciproca dopo anni difficili di trasformazioni profonde, anche nei rapporti di forza tra i due paesi. Tuttavia, il trattato di Aquisgrana non è solo questo. Incarna, al tempo stesso, la volontà di Francia e Germania, in questa Europa in preda a crescenti deliri nazionalisti, di ergersi a baluardo del progetto europeo di unità e solidarietà tra i popoli, tra i cittadini, tra le generazioni: un progetto di pace, di libertà, di democrazia. Anche se indeboliti, anche se attaccati, dall’interno e ancora di più dall’esterno, dalle potenze ostili che mirano a distruggere loro per distruggere l’Europa, i due governi hanno la consapevolezza di rappresentare il punto di riferimento della resistenza e della volontà di rilancio di questo progetto europeo, e dicono, con forza, la loro determinazione a non arrendersi e il loro impegno per costruire un’Europa più forte.
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Ecco allora che si ritorna alla nuova fase che si sta aprendo con le imminenti elezioni politiche europee, che le forze pro-europee sono chiamate ad affrontare con il coraggio e la visione necessari per essere all’altezza della sfida. Proprio perché l’Europa non ha alleati e può contare solo sulla sua capacità di rafforzarsi, se si vuole invertire la deriva in atto, il terreno su cui portare il confronto dovrà però essere quello del progetto per costruire l’unione politica federale. L’Europa può rinascere solo dandosi un nuovo assetto, coinvolgendo i cittadini e avendo il coraggio di aprirsi la via con un’avanguardia di forze politiche e sociali e di paesi determinati ad andare avanti. La battaglia all’interno del prossimo Parlamento europeo dovrà essere proprio quella volta a creare uno schieramento unitario di queste forze, che, collegato con la parte di società che vuole l’Europa e in alleanza con i governi nazionali che credono nell’unità, spinga a ridiscutere i trattati e a dar vita, con i paesi disponibili, ad una costituzione federale europea, nucleo di un’Unione europea più ampia in cui si collochino gli Stati che non vogliono l’unità politica, ma solo il mercato unico. Come italiani, non dobbiamo fermarci per il fatto che, con questo governo, il nostro paese si troverà all’opposizione di un simile progetto. Noi chiediamo agli altri di andare avanti anche in nome nostro, nel nome dei cittadini che credono nell’Europa e che vogliono vivere in Europa. Noi siamo qui, e da qui non ci spostiamo, per affermare che l’Italia, per avere un futuro, ha più che mai bisogno della Federazione europea.
Gennaio 2019.
Il Federalista