IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XL, 1998, Numero 2, Pagina 105

 

 

Moneta europea e sovranità
 
 
Con la determinazione, da parte del Consiglio europeo di Bruxelles, dei paesi che parteciperanno fin dall’inizio all’Unione monetaria, la moneta unica e la Banca centrale europea si possono considerare acquisite, a meno di imprevedibili catastrofi. Una tappa importantissima nel cammino dell’unificazione europea é stata superata. Un equilibrio più avanzato è stato raggiunto e le condizioni della lotta per il completamento politico del processo sono oggi più favorevoli di quanto non lo siano mai state.
    Giunti a questo punto ai federalisti si impone una riflessione radicale. La moneta é (con l’esercito) uno degli attributi essenziali della statualità. Possiamo quindi dire che un pezzo di Stato europeo stato creato? C’é stato un passaggio di sovranità dalle nazioni all’Europa? Possiamo ritenere che la marcia verso la fondazione della Federazione europea sia ormai irreversibile?
 
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    Per i federalisti é essenziale dare una risposta a queste domande perché il loro ruolo nella fase del processo che sta per aprirsi dipenderà dal tenore di questa risposta.
    Il nodo della questione sta nel concetto di sovranità. Si tratta di un concetto che ha un senso, e si distingue dall’idea di potere, soltanto se viene definito come potere di decidere in ultima istanza. In quanto tale la sovranità é il fondamento del diritto, perché un ordinamento acquisisce gli attributi della certezza e della validità soltanto in quanto sia individuato il soggetto che ha il potere di decidere in ultima istanza. Questo soggetto non può essere che uno in ogni punto del territorio, perché una molteplicità di soggetti significherebbe la contemporanea validità di due o più diversi sistemi normativi. Ne conseguirebbe che l’applicabilità dell’uno o dell’altro nel caso specifico, in caso di conflitto, potrebbe essere decisa in ultima istanza soltanto con la violenza. La sovranità é quindi il presupposto della pace sociale, e quindi dello sviluppo della civiltà.
    Se il soggetto della sovranità non può essere che uno, ne consegue che l’individuazione della specificità del federalismo nella divisione della sovranità tra due o più livelli di governo è fondata su di un equivoco, e deriva dalla confusione tra il concetto di sovranità e quello di potere. Ciò che realizza lo Stato federale è l’istituzionalizzazione di una divisione equilibrata del potere tra diversi livelli territoriali di governo. Ma la sovranità resta indivisibile perché il cittadino dello Stato federale deve sempre essere tenuto, in ogni specifica fattispecie, al rispetto di una e di una sola norma. E vi deve sempre essere un’autorità che, in caso di incertezza, è investita del potere di dirimere in ultima istanza le controversie tra i cittadini o tra le istituzioni dello Stato.
    Si noti che, anche se, nella vita quotidiana, questa funzione è svolta da particolari istituzioni, il vero soggetto della sovranità non può essere un’istituzione perché le istituzioni ricevono la loro forma e la loro legittimità dall’ordinamento giuridico, e in particolare dall’ordinamento costituzionale, mentre il titolare della sovranità fonda la legittimità stessa dell’ordinamento, tanto che esso è l’ultimo ricorso in caso di crisi delle istituzioni.
    Il titolare della sovranità non può quindi essere che il popolo e ogni trasferimento di sovranità significa la sostituzione di un popolo ad un altro. Nel caso dell’Europa il passaggio della sovranità dalle nazioni all’Europa significa l’uscita di scena dei popoli nazionali e l’affermazione del popolo europeo come fondamento della legittimità delle istituzioni di una futura Federazione europea.
    Se si accettano queste proposizioni, ne derivano alcune conseguenze rilevanti per la battaglia federalista.
 
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    La nascita della Federazione europea, che coinciderà con il passaggio della sovranità dalle nazioni all’Europa, non sarà soltanto un fatto istituzionale, ma anche, e soprattutto, un fatto di consenso: si tratterà della presa di coscienza da parte del popolo europeo della propria esistenza. E’ questa presa di coscienza che darà al nuovo assetto istituzionale quel carattere di relativa irreversibilità senza il quale non avrebbe senso parlare della nascita di un nuovo Stato. Ciò significa che il passaggio di sovranità dalle nazioni all’Europa non può che avvenire attraverso un processo costituente, nel corso del quale si producono avvenimenti di forte significato simbolico, ma che comunque ha una durata. Esso é già iniziato, e si concluderà dopo l’atto di fondazione della Federazione. Sembra sensato ritenere che esso abbia avuto inizio con l’elezione diretta del Parlamento europeo e che la creazione della moneta europea ne costituisca un momento cruciale. Ma entrambi questi fatti sono rilevanti in quanto contribuiscono a dare ad una parte crescente dei cittadini europei la coscienza di essere un popolo. Peraltro, con la creazione della moneta europea non sarà concluso, né si concluderà nel momento in cui la nascita della Federazione europea fosse solennemente proclamata. La frase di Massimo D’Azeglio: «fatta l’Italia bisogna fare gli Italiani» significava, applicata all’Italia, che il processo di passaggio della Sovranità dai popoli regionali al popolo italiano sarebbe continuato anche dopo l’unificazione formale del paese (e sarebbe stato tortuoso e difficile, come la storia del brigantaggio nel Sud sta a dimostrare). Essa sarà applicabile anche al passaggio della sovranità dai popoli nazionali al popolo europeo.
    A questo proposito opportuno ricordare il carattere dialettico del rapporto che esiste in ogni processo di trasferimento della sovranità tra mutamento delle istituzioni e maturazione della coscienza civile (cioè formazione di un nuovo popolo). La maturazione della coscienza civile é condizionata dai mutamenti dell’assetto costituzionale, che modificano la logica della lotta politica e incidono sugli orientamenti dei mezzi di comunicazione di massa e del sistema educativo; ma a sua volta, l’assetto istituzionale non può essere modificato che dalla volontà degli uomini, le cui opinioni e i cui comportamenti non sono un puro riflesso passivo dell’assetto istituzionale esistente, ma hanno un grado di libertà e sono motivati dalle contraddizioni che si vengono a creare tra le istituzioni esistenti e i bisogni che si manifestano nella società. Il processo costituente è quindi una successione di avvenimenti attraverso i quali la volontà politica degli uomini modifica le istituzioni, le quali a loro volta accelerano la maturazione della coscienza civile e quindi creano le condizioni per l’espressione di una volontà politica più consapevole che porta ad ulteriori modifiche istituzionali, fino a che il processo non raggiunge un punto di equilibrio, che segna il momento nel quale il passaggio della sovranità (cioè il processo del nuovo popolo) è completato.
 
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    La conclusione precedente sembra contrastare con l’idea dell’indivisibilità della sovranità. Ma si tratta di una contraddizione soltanto apparente. Dire che la sovranità è indivisibile significa che nelle fasi di equilibrio la sede della sovranità deve essere chiaramente individuata, senza di che la convivenza civile sarebbe destinata a degenerare nell’insicurezza e nella confusione tra ordinamenti contraddittori, la cui legittimità si annullerebbe reciprocamente. Ma ciò non toglie che le fasi di equilibrio siano separate tra di loro da fasi di transizione, nelle quali la sede della sovranità è ancora incerta. Queste possono essere anche relativamente lunghe e relativamente ordinate quando, come é accaduto finora nel caso dell’Europa, la transizione avviene in un contesto esterno relativamente stabile. Ma la transizione deve finire, e dar luogo ad un nuovo equilibrio, oppure interrompersi e ripristinare l’equilibrio precedente, o degenerare nel caos. Ciò significa che in particolari fasi della storia la sovranità può essere latente o, il che è lo stesso, che il suo titolare può essere indeterminato, ma non che essa sia divisibile. Nel caso dell’ Unione monetaria europea è quindi errato parlare di una sovranità monetaria (della quale sarebbe titolare la Banca centrale europea) come qualcosa di distinto dalla sovranità politica (della quale sarebbero titolari i governi nazionali), mentre è corretto parlare della creazione della moneta europea come di un episodio cruciale del processo di transizione nel corso del quale la sovranità si trasferisce dalle nazioni all’Europa.
 
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    Molti sostengono peraltro che il mondo è avviato, a causa del processo di informatizzazione della società, verso un assetto che renderebbe definitivamente obsoleta l’idea stessa di sovranità. Questa sarebbe superata da una sovrapposizione di ordinamenti non gerarchizzati e di rapporti contrattuali di natura privatistica, che peraltro lascerebbero ampio spazio a forme endemiche di violenza, a metà strada tra la guerra e l’anarchia interna, e che autorizzerebbero a parlare dell’avvento di un secondo Medioevo. Costoro considerano l’assetto attuale dell’Unione europea come la prima e la più chiara delle manifestazioni di questa nuova tendenza. L’Unione europea sarebbe una nuova forma stabile di organizzazione della convivenza, né confederale né federale, che testimonierebbe della progressiva evaporazione dell’idea stessa di Stato o, come viene da alcuni insidiosamente sostenuto, della comparsa di una nuova forma statuale che prescinderebbe dall’idea di sovranità.
    Questa tesi deve essere respinta sia per la sua inadeguatezza come strumento di analisi che per la filosofia alla quale si ispira. Essa è inadeguata come strumento di analisi perché la società mondiale dell’informazione, che del resto non si sarebbe mai sviluppata senza l’impulso datole del governo degli Stati Uniti, impone, per funzionare, l’adozione di standards e di una disciplina giuridica comuni che la sola concorrenza tra operatori privati non consente di stabilire e che possono essere imposti soltanto dal potere politico. Una lunga latitanza dello Stato porterebbe quindi al collasso di quello stesso processo nel quale si vorrebbe vedere proprio il vettore del suo superamento. Ed è insidiosa per la filosofia alla quale si ispira, che è quella egoistica della promozione degli interessi privati che traggono un beneficio immediato dal travolgente sviluppo tecnologico di questi anni e che possono garantire da soli la propria sicurezza (o, meglio, illudersi di poterlo fare), e per il disinteresse per il quarto mondo esterno e interno, in preda alla violenza, alla miseria, al crimine, alle malattie e all’emarginazione. Certo non si può escludere che il mondo si stia avviando verso una drammatica crisi di civiltà. Ma allora bisogna denunciare la prospettiva dell’avvento di un secondo Medioevo come un’eventualità catastrofica contro la battersi con tutte le proprie forze e non come una prospettiva neutrale di fronte alla quale porsi in atteggiamento di semplice attesa.
 
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    Se il processo di trasferimento della sovranità è essenzialmente un processo di maturazione della coscienza civile, è essenziale che nel suo corso si manifestino uno o più atti fondanti, che abbiano carica simbolica tale da imprimerli nell’immaginario collettivo e da dare un forte impulso alla maturazione della consapevolezza del popolo che sta nascendo. E’ stato questo il caso del Giuramento della Pallacorda e della Convenzione di Filadelfia. Nel caso del processo di unificazione europea non sembra quindi pensabile che il trasferimento della sovranità avvenga soltanto attraverso un accordo tra governi motivato dalla constatazione razionale di una necessità obiettiva. La nascita di un nuovo popolo comporta la morte delle istituzioni nelle quali si radica il potere di coloro che rappresentano il vecchio. Il processo di trasferimento della sovranità è quindi destinato a incontrare resistenze tanto più forti quanto più esso si avvicina alla sua conclusione. Come ogni grande trasformazione rivoluzionaria della storia, la fondazione della Federazione europea dovrà quindi passare attraverso uno o più momenti di effervescenza che coinvolgeranno profondamente i cittadini, susciteranno emozioni, accenderanno speranze, faranno nascere angosce e timori e provocheranno conflitti. In queste fasi il popolo europeo in formazione assumerà, nell’una o nell’altra forma, un ruolo di protagonista attivo della vicenda, rendendo visibile, attraverso una esplicita manifestazione di volontà, la sua qualità di titolare, con i popoli nazionali in via di dissoluzione, del potere costituente europeo. E perché questo accada sarà inevitabile che l’inadeguatezza delle istituzioni europee esistenti rispetto ai problemi, interni ed esterni, da affrontare diventi causa di paralisi, di crisi e di insicurezza così acute da investire la vita quotidiana di ciascuno.
 
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    Sembra difficile a questo punto affermare che il processo, che è attualmente in corso, di trasferimento della sovranità dalle nazioni all’Europa abbia raggiunto, con l’Unione monetaria, la soglia dell’irreversibilità. Il tema della irreversibilità del processo di unificazione europea è sempre stato al centro del dibattito federalista. Si tratta di un tema che va affrontato con il massimo possibile equilibrio, perché esso comporta rilevanti conseguenze sul piano dell’azione. Infatti, sia nel caso in cui il processo venga visto come una successione di avvenimenti rigidamente determinata, sia in quello in cui si ritenga che ognuna delle sue fasi dipenda esclusivamente dalla libera volontà di coloro che ne sono gli attori, la capacità del Movimento federalista di mobilitare energie viene gravemente compromessa. La motivazione dell’azione politica rivoluzionaria ha una duplice radice: la consapevolezza che il proprio impegno può fare la differenza, cioè contribuire a cambiare le cose, e insieme quella che esso si colloca nel corso della storia, e che quindi la lotta che si conduce non è velleitaria, perché il messaggio di cui si è portatori si rivolge a uomini e donne che l’evolversi degli avvenimenti ha preparato a ricevere. Nel caso concreto del processo di unificazione europea si deve constatare che, dal momento in cui questo, con l’elezione diretta del Parlamento europeo, è entrato nella sua fase costituente, il fronte delle forze favorevoli all’Europa si è progressivamente rafforzato. E questa constatazione è avvalorata dal fatto che il discorso federalista si è semplificato perché i termini di molti problemi, come quello della moneta europea, che prima dovevano essere faticosamente spiegati, sono stati resi evidenti dall’evolversi delle circostanze. Ma insieme non si deve dimenticare che la parte del cammino ancora da compiere è, se non più lunga, certo più difficile, di quella che è già stata compiuta, e che le forze contrarie all’Europa sono decise e agguerrite, e difenderanno il loro potere con tanto più accanimento quanto più esplicitamente e direttamente questo sarà minacciato.
    Il motore delle trasformazioni storiche la contraddizione. Il processo di unificazione europea è spinto dalle contraddizioni che, se l’Europa si farà, saranno interpretate dallo storico futuro come stadi hegeliani della manifestazione dell’Idea, che portano necessariamente in sé la loro conclusione: ma che, nell’ottica del contemporaneo, e soprattutto in quella del militante che per è impegnato per conseguire un risultato politico a breve-medio termine, si manifestano come contrapposizioni tra interessi e schieramenti favorevoli al superamento dello status quo e interessi e schieramenti decisi a perpetuarlo. In questa contrapposizione le forze del progresso possono, ogni volta, o vincere o perdere. Perché, se è vero che la logica stessa presuppone la fede nella capacità della ragione umana di superare, prima o dopo, le grandi contraddizioni della storia nel senso di promuovere l’emancipazione dell’umanità e la sua liberazione dalla violenza e dal bisogno, è anche vero che la storia umana, pur nel suo lento tendere verso forme sempre più umane di convivenza, è stata anche una storia di occasioni perdute, di guerre, di miserie e di oppressioni. L’umanità paga comunque a carissimo prezzo la propria emancipazione. Ma i tempi del processo, e l’entità dei costi che esso comporta, dipendono anche dalla volontà umana: se così non fosse, l’impegno politico non avrebbe alcun senso che non sia quello della pura lotta per il potere.
 
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