Anno XXXIX, 1997, Numero 2, Pagina 51
Il Consiglio europeo di Amsterdam
I risultati istituzionali del Consiglio europeo di Amsterdam, il cui compito era quello di concludere la Conferenza intergovernativa sulla revisione del Trattato di Maastricht, sono stati sostanzialmente nulli. Si tratta peraltro di un esito del tutto prevedibile. Ora i Quindici dovranno affrontare il problema dell’allargamento. Molti tra i governi dell’Unione, pur non essendo disposti a consentire a decisive rinunce di sovranità, sono consapevoli del fatto che la prosperità delle loro economie, e la stessa pace in Europa, dipendono dal grado di coesione che è garantito dall’attuale assetto istituzionale, per insufficiente che esso sia, e che questo non reggerebbe all’urto dell’allargamento. Si deve quindi prevedere che i negoziati dei Quindici con i paesi candidati avranno un andamento tortuoso e dall’esito incerto. Si tratterà di un’ennesima dimostrazione dell’impotenza e dell’ingenerosità dell’Unione, che deluderà e indignerà molti cittadini dei paesi dell’Europa dell’Est, per i quali la liberazione dal dominio sovietico si identificava con la prospettiva del rapido ingresso in una grande comunità democratica comprendente tutti i paesi europei.
Peraltro, la caratteristica saliente del Consiglio europeo di Amsterdam è stata costituita dal fatto che il problema della riforma dell’Unione, che avrebbe dovuto esserne l’oggetto principale, di fatto è stato preso in considerazione soltanto marginalmente e in modo quasi distratto. Ciò che era in gioco ad Amsterdam era un’altra cosa.
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Ciò che era in gioco ad Amsterdam era l’Unione monetaria. Che questa fosse destinata ad incontrare tanti più ostacoli quanto più si fosse avvicinata la data fatidica del 1° gennaio 1999 non era un mistero per nessuno. Ciò ha ricevuto una evidente conferma da due avvenimenti che hanno reso drammatica la scadenza del Consiglio europeo: la vittoria delle sinistre nelle elezioni francesi e il conflitto aperto tra governo e Bundesbank (quest’ultima fiancheggiata dalla CSU bavarese e da una parte della SPD) in Germania. Alla luce di questi sviluppi, i risultati del Consiglio europeo devono ricevere una valutazione più circostanziata.
Ciò che è emerso in primo luogo ad Amsterdam è che il processo di creazione della moneta europea ha mostrato di avere comunque acquisito una spinta che renderà difficile il suo arresto. Lionel Jospin, presentatosi all’appuntamento con posizioni improvvisate, perché sbalzato al governo dall’esito imprevisto di un’elezione che il suo partito non aveva voluto, si è dovuto alla fine allineare sulle posizioni tedesche, come già aveva fatto Chirac nella fase precedente. I patti convenuti sono stati ribaditi. La data di inizio della moneta unica è stata confermata. Il peggio è stato evitato.
Ma si deve anche osservare, in secondo luogo, che mai le prospettive della moneta unica erano state minacciate in modo così grave. E che l’incertezza continua a gravare sulla sua realizzazione alla data prevista. Il nuovo governo francese ha fatto dichiarazioni e ha preso impegni che hanno sollevato aspettative nel senso di un allentamento del rigore finanziario in Francia. Ciò ha reso più fragile l’intesa franco-tedesca, che è l’asse portante dell’Unione economica e monetaria. Il timore di un rilassamento della politica di bilancio in Francia rafforza le posizioni ultrarigoriste — che coprono un sostanziale rifiuto della moneta unica — della Bundesbank, di Gerhard Schröder e di Edmund Stoiber in Germania. La partita della moneta unica è dunque ancora in buona parte da giocare.
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Il problema dell’unità politica dell’Europa non può essere considerato separatamente da quello dell’Unione monetaria. E le vicende del processo di unificazione europea negli ultimi dieci anni hanno fatto sì che, piaccia o non piaccia, l’Unione monetaria debba essere creata prima dell’Unione politica, e che, oggi, il fallimento (o il rinvio) della prima significherebbe il fallimento della seconda.
E’ certo che il processo di creazione della moneta europea sarebbe enormemente facilitato dalla consapevolezza dei governi europei, o di alcuni tra di essi, della necessità di giungere al più presto ad un assetto democratico e federale delle istituzioni dell’Unione. Ma è giocoforza constatare che oggi questa consapevolezza non esiste. Tutti vedono con chiarezza che la moneta unica da sola non basterà, e che essa dovrà essere sostenuta da un puntello politico. Ma tutti si fermano di fronte all’ostacolo costituito dalla cessione della sovranità. E’ così che questa esigenza riceve in Francia e Germania due risposte ugualmente inadeguate: quella del cosiddetto governo economico dell’Unione, che, secondo il governo francese, dovrebbe essere assicurato attraverso un più intenso coordinamento delle politiche economiche da realizzare nell’ambito intergovernativo del Consiglio europeo e del Consiglio dei Ministri; e quella del patto di stabilità (e di sviluppo), propugnato dal governo tedesco e accettato dagli altri governi ad Amsterdam, che si propone di garantire la disciplina di bilancio dei governi dell’Unione con la minaccia di sanzioni automatiche o semi-automatiche da comminare a quei governi che, dopo l’introduzione della moneta unica, si discostassero senza giustificato motivo oltre un certo limite dall’equilibrio del loro bilancio.
La verità è che la rigidità determinata dalla creazione di una moneta unica in uno spazio completamente liberalizzato (nel quale quindi i governi nazionali sarebbero privati delle leve di intervento costituite dalla manovra sui tassi di interesse, sui tassi di cambio e sulla quantità di moneta) causerà inevitabilmente a scadenza più o meno breve gravi squilibri tra le diverse regioni europee e porrà in termini ineludibili i problemi di una politica europea di bilancio e di un’organizzazione europea del consenso. Se questi problemi non saranno affrontati in modo radicale, la contraddizione attuale tra il potere di prendere le decisioni (che rimane nelle mani dei governi nazionali) e l’imputazione della relativa responsabilità (che viene scaricata sulle istituzioni europee) diventerà insostenibile. Si porrà così il problema della fondazione della Federazione europea o, in alternativa, della dissoluzione dell’Unione monetaria.
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Oggi la consapevolezza dell’identità di fatto tra Unione monetaria e Unione federale è posseduta soltanto dai federalisti (oltre che da qualche anti-europeo dichiarato). Ed è compito dei federalisti lavorare per diffondere questa consapevolezza tra le forze politiche e i cittadini. D’altro lato, la precedenza temporale dell’Unione monetaria nei confronti dell’Unione federale ha il suo fondamento nella realtà delle cose, e l’affermazione secondo la quale la fondazione della Federazione europea è la condizione della creazione della moneta unica non ha oggi altra funzione che quella di servire da schermo a quegli uomini politici che non vogliono né l’una né l’altra. Si deve quindi stare in guardia nei confronti di certe surenchères, tanto retoriche quanto vaghe, sull’unità politica, che non comportano il pagamento di alcun dazio e dietro le quali si cela la volontà di cercare pretesti per sottrarsi alle decisioni spesso difficili che la creazione dell’Unione monetaria comporta.
Il fatto che i governi europei siano ormai posti di fronte al problema, che essi non sono in grado di risolvere senza ricorrere al popolo europeo, dell’abbandono della sovranità nazionale significa che il processo di unificazione europea è giunto alla vigilia di una crisi decisiva. Tutto dipenderà dal fatto che essa si produca prima o dopo la nascita della moneta unica. Se questa sarà già stata creata, e la crisi sarà provocata dalle contraddizioni che essa determinerà in assenza di un governo europeo, l’esito più probabile sarà il salto federale. Se la crisi sarà invece il risultato dell’incapacità dei governi di giungere all’Unione monetaria, il solo esito che è lecito prevedere sarà quello della dissoluzione del mercato unico e del definitivo fallimento del processo di unificazione. Per questo la battaglia dei federalisti per il riconoscimento del potere costituente del popolo europeo non deve proporsi di favorire un’esplosione prematura delle contraddizioni del processo, dimenticando l’importanza degli obiettivi intermedi. Essa deve unire una prospettiva a breve con una prospettiva a medio termine e favorire una maturazione delle forze politiche e dell’opinione pubblica tale che, in occasione della battaglia decisiva, lo schieramento favorevole all’Europa sia abbastanza forte e consapevole da prevalere su quello dei suoi nemici.
Il Federalista