IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LXI, 2019, Numero 3, Pagina 156

 

 

Migrazioni e cambiamenti climatici

 

PAOLO GIANNELLI

 

 

Introduzione.

Le migrazioni costituiscono un fenomeno globale complesso, in continua crescita. Per comprenderle è necessario analizzare la molteplicità di motivi che spingono le persone a lasciare il proprio paese di origine.

Le numerose cause alla base del movimento di masse di persone da uno Stato ad un altro, sebbene abbiano spesso natura diversa, vengono raggruppate, talvolta impropriamente, in due macro aree:

1) cause legate a conflitti o politiche di oppressione,

2) cause di natura economica.

La prima categoria identifica i rifugiati, persone costrette ad abbandonare la propria terra di origine per fuggire da guerre, persecuzioni e/o repressioni legate a motivi di natura politica.

La seconda categoria indentifica invece i così detti migranti economici, persone che lasciano il proprio paese in cerca di migliori condizioni economiche di vita in un altro Stato.

Oggetto di questo saggio sarà l’analisi del secondo gruppo di cause e dei drivers all’origine di queste. In particolare ci si interrogherà se gli eventi ed i processi legati ai cambiamenti climatici costituiscano o meno dei drivers utili per spiegare le migrazioni inter-continentali dall’Africa verso l’Europa e se essi possano essere considerati variabili indipendenti, oppure, variabili intervenienti.
 

I drivers delle migrazioni economiche dall’Africa all’Europa.

Per capire quali siano le condizioni necessarie all’origine delle migrazioni di natura economica occorre individuare dei drivers, ovvero un insieme di variabili indipendenti che ci aiutino a capire perché una persona o un gruppo di persone decida o meno di intraprendere un viaggio dall’Africa all’Europa. I fattori che la letteratura identifica sono generalmente raggruppati in due macro categorie:

Fattori economici: ci si riferisce alle risorse di natura finanziaria cui la famiglia del migrante o il migrante deve disporre per poter affrontare il viaggio verso l’Europa. Sono queste risorse economiche che danno linfa alla tratta degli esseri umani attraverso il mar Mediterraneo, un mercato florido ed in costante crescita il cui valore complessivo sarebbe di circa sei miliardi di euro.[1] Da ciò si evince l’alta redditività delle attività legate al traffico dei migranti, una vera e propria industria, seconda solo al commercio illegale di armi e di droga.

Emigrare ha però un costo che non tutti possono permettersi. Sono quindi solo gli individui e/o le famiglie che possono disporre di risorse economiche elevate a pensare di far intraprendere ad un proprio membro il lungo viaggio dall’Africa all’Europa.

Dai dati pubblicati dall’International Organization for Migration,[2] si evince infatti che un viaggio attraverso il Sahara ed il Mediterraneo centrale ha un costo molto alto e varia a seconda degli Stati da cui questo viene intrapreso.

La via più veloce e sicura per il migrante è quella tramite mezzo aereo. La rotta più battuta è quella che congiunge Nigeria, Turchia ed Unione europea. In questo caso il costo medio per acquistare un visto ed un passaporto falso può superare anche i 10.000 dollari.[3]

Il viaggio da paesi dell’Africa subsahariana via terra e via mare verso l’Italia ha anch’esso un costo difficile da sostenere, intorno ai 4.000 dollari. Meno elevata è invece la tariffa per coloro che partono dalla Somalia o dal Sudan. In questi casi il prezzo della traversata è generalmente inferiore ai 4.000 dollari. Occorre tuttavia ricordare che il prezzo dei viaggi attraverso il deserto può radicalmente cambiare se si manifestano degli imprevisti sul cammino del migrante. Ad esempio, nei casi in cui delle milizie si impossessino di gruppi di persone in viaggio, le famiglie degli ostaggi sono costrette a pagare una somma per il riscatto che può superare anche i 10.000 dollari a persona.[4] Coloro che non possono pagarlo sono obbligati a rimanere mesi, se non addirittura anni, all’interno dei campi di lavoro e detenzione alla mercé dei trafficanti.

Questi esempi ci fanno capire che abbandonare l’Africa nella speranza di raggiungere migliori condizioni di vita in Europa, oltre che essere estremamente rischioso, presenta un costo economico non trascurabile.

I migranti economici non possono quindi appartenere alla parte più povera della popolazione, dato che gli alti costi del viaggio rappresentano un ostacolo insormontabile alla migrazione.

I dati forniti dalla World Bank[5] sono esaurienti a tal proposito ed indicano chiaramente come i migranti non provengano dai paesi più poveri dell’Africa. Esaminando le nazionalità di chi è giunto in Europea nel periodo 2010-2017, possiamo ugualmente vedere che il numero di migranti provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo o dalla Liberia (due tra gli Stati più poveri del mondo) sia veramente esiguo.[6] Al contrario, gli individui provenienti da paesi dell’Africa subsahariana a medio reddito, quali Nigeria o Costa d’Avorio sono in numero nettamente superiore.[7], [8]

Fattori socio-culturali: se i fattori economico-finanziari hanno un peso determinante nell’influenzare la scelta di una persona a migrare, lo stesso può dirsi per i fattori socio-culturali.

Con il termine fattori socio-culturali si definisce l’insieme delle strutture, dei caratteri propri di una data società e dei correlati aspetti culturali. Questi, a differenza di quelli di natura economica, sono difficilmente parametrizzabili poiché non coinvolgono dati di natura quantitativa. Ciononostante sono altrettanto importanti per spiegare perché una persona decida o meno di migrare.

Ma che tipo di risorse socio-culturali servono per poter intraprendere il viaggio?

In primo luogo occorrono risorse caratteriali, ossia il coraggio e l’intraprendenza necessari per cercare fortuna in paesi lontani di cui spesso non si conoscono lingua, cultura e costumi.

Oltre al coraggio serve determinazione ed un buono stato di salute, importanti per affrontare tutte quelle vessazioni fisiche e psicologiche che si possono manifestare durante la traversata. Occorrono inoltre risorse sociali, ovvero reti di parenti e/o conoscenti già residenti in Europa in grado di favorire l’inserimento dei nuovi arrivati.

In sintesi, le migrazioni costituiscono un fenomeno selettivo che coinvolge fattori di varia natura: economici, sociali e culturali.

Migrazioni e cambiamenti climatici.

Dopo aver analizzato le due classi di fattori alla base dei flussi migratori di natura economica verso l’Europa, si cercherà ora di definire quale sia l’effetto dei cambiamenti climatici sulle migrazioni. C’è davvero una correlazione evidente tra mutamenti dello scenario ambientale e le migrazioni?

I cambiamenti climatici costituiscono delle variabili indipendenti che possano spiegare le migrazioni inter-statali, oppure rappresentano una variabile interveniente?

Come già anticipato nel precedente paragrafo, i fattori alla base delle migrazioni sono molteplici e non tutti facilmente quantificabili.

Premesso che i dati da analizzare sono pochi e di complicata interpretazione, per capire se vi sia o meno un nesso causale tra cambiamenti climatici e migrazione è necessario porsi tre domande:

1) Quali sono gli eventi ed i processi che derivano dall’aumento della temperatura terrestre?

2) Hanno essi un impatto diretto sulla migrazione?

3) Se sì, che tipo di fenomeni migratori generano: inter-statali o intra-statali?

Ma quali sono, in concreto, gli effetti dei cambiamenti climatici sul pianeta?

1) Cambiamento delle precipitazioni e relativi effetti di breve-lungo periodo: se da un lato l’innalzamento della temperatura terrestre si traduce in un aumento del grado di piovosità di certe aree geografiche, al contempo, un incremento di 2°C nei prossimi cinquanta anni potrebbe generare un effetto opposto nelle regioni del pianeta contraddistinte da un clima desertico/semi-desertico. Si stima che tale aumento possa impattare su regioni che già soffrono di scarse risorse idriche, portando ad una maggiore salinità del suolo con effetti negativi sull’agricoltura e, conseguentemente, sul tessuto economico locale. Gli Stati dell’Africa settentrionale ed orientale saranno probabilmente quelli maggiormente colpiti.[9] L’aumento della temperatura non avrebbe solo un effetto diretto sul processo di desertificazione. Al contrario, come detto prima, si stima che potrebbe verificarsi un aumento della piovosità in certe aree del Nord Europa, dell’America del Nord e della Siberia con un possibile conseguente aumento delle inondazioni in queste zone.[10]

2) Aumento delle temperature dell’aria e della superficie dei mari: l’incremento delle temperature superficiali del mare e dell’aria avrà un impatto diretto su quello che è denominato il ciclo dell’acqua terrestre, ossia la combinazione degli eventi legati all’evaporazione, condensazione, precipitazione e infiltrazione dell’acqua sul nostro pianeta. I climatologi stimano che l’aumento della temperatura terrestre avrà un effetto diretto sull’innalzamento della temperatura superficiale dei mari, che si traduce in una maggiore quantità di vapore acqueo nell’atmosfera. Un’atmosfera con più vapore acqueo favorisce l’insorgenza di eventi atmosferici più imprevedibili ed impetuosi.[11] Non stupisce in questo senso vedere aree geografiche da sempre caratterizzate da un ciclo dell’acqua terrestre prevedibile e costante, improvvisamente flagellate da un incremento di eventi atmosferici estremi, quali temporali intensi o violentissime raffiche di vento.

3) Innalzamento del livello dei mari causato dallo scioglimento dei ghiacci: secondo gli studi di James Hansen, climatologo e direttore del Goddard Institute for Space Studies della NASA, un aumento della temperatura terrestre di 2°C nei prossimi cinquant’anni genererebbe un innalzamento del livello del mare di 5 metri. Ciò avrebbe un impatto diretto sulle città costiere, sulle regioni abitate dei delta dei fiumi e, soprattutto, sui piccoli Stati insulari.[12]

4) Aumento dei livelli di salinità ed acidità del mare: l’innalzamento della temperatura del mare ha un effetto diretto sul suo livello di salinità. Un mare più caldo è un mare contraddistinto da un maggiore grado di evaporazione superficiale. Ciò si traduce in maggiori livelli di salinità, in una minore quantità di ossigeno ed un maggiore grado di acidità delle acque. Ciascuno di questi tre aspetti genera delle ripercussioni sul grado di vivibilità degli oceani e sull’aumento delle così dette “zone morte”: aree marine caratterizzate da una sempre più ridotta presenza di fauna ittica.

Tutti questi processi ed eventi potrebbero avere, sia nel breve che nel lungo periodo, degli effetti sul territorio e conseguentemente sulle variabili socio-economiche di una popolazione residente in una determinata area geografica.

Sebbene sia stato confermato per gli Stati dell’Africa subsahariana il nesso tra cambiamenti climatici e riduzione delle superfici coltivabili, con dirette conseguenze sull’agricoltura e sulla produzione di cibo, lo stesso non può essere detto per quanto riguarda la correlazione tra cambiamenti climatici e aumento dei flussi migratori inter-statali ed inter-continentali. Vi sono ancora numerosi gaps da colmare. In primo luogo, a livello conoscitivo non si hanno sufficienti dati a disposizione, come viene spesso affermato nei vari rapporti di FAO[13] e IOM.[14] Inoltre, i cambiamenti climatici possono essere interpretati come delle variabili intervenienti che vanno ad aggravare i fattori socio-economici alla base delle migrazioni, come ad esempio povertà, insicurezza alimentare, disoccupazione, limitato accesso a meccanismi di protezione sociale ed esaurimento di risorse naturali.[15] L’abbandono delle superfici rurali non si traduce tuttavia in un esodo verso gli Stati limitrofi, o addirittura verso il Nord globale, bensì in un aumento dei flussi verso le aree urbane.

Dai report FAO appare evidente una crescita della migrazione associata ai cambiamenti climatici all’interno dei confini nazionali piuttosto che transfrontaliera. L’insorgenza di processi climatici avversi legati all’innalzamento delle temperature, come ad esempio ridotte precipitazioni, siccità e fenomeni di degradazione del suolo hanno dimostrato di essere dei fattori all’origine dell’abbandono dei territori rurali nei paesi caratterizzati da un alto livello di povertà. I dati statistici, in questo senso, indicano un notevole aumento della popolazione insediata nelle grosse metropoli africane ed una riduzione della popolazione nelle aree rurali sottoposte a forti stress climatici.

Si stima che tra il 2008 ed il 2015 annualmente nel mondo circa 24,8 milioni di persone siano state costrette ad abbandonare i propri territori a seguito di disastri naturali e fenomeni atmosferici legati ai cambiamenti climatici. Secondo le stime FAO, nel 2050, il numero salirebbe a 400 milioni sul totale della popolazione mondiale. Questi numeri sembrerebbero di per sé allarmanti, sebbene sia doveroso fare alcuni distinguo.[16]

Innanzitutto bisogna fare una distinzione tra migrazioni temporanee e migrazioni permanenti. La gran parte delle migrazioni interne dovute a fenomeni fisici di natura improvvisa provocati dai cambiamenti climatici, come ad esempio tempeste tropicali, piogge di massiccia entità ed alluvioni, hanno una natura temporanea dovuta all’evacuazione emergenziale dei territori colpiti. Ristabilitosi l’ordine e ripristinate condizioni minime di vivibilità, le popolazioni che hanno abbandonato tali zone tendono a reinsediarsi. Questo tipo di migrazioni, come già affermato in precedenza, sono in massima parte intra-statali.[17]

Le migrazioni permanenti invece interessano quei processi che impattano su un ecosistema in un arco di tempo più lungo e non hanno una natura temporanea, come le precedenti. Il motivo è intuitivo ed è legato all’irreversibilità del cambiamento dell’ecosistema. Tra i cambiamenti di lungo periodo possiamo citare l’innalzamento del livello del mare, lo scioglimento dei ghiacciai, l’acidificazione degli oceani, l’aumento della salinità del suolo, la deforestazione, la perdita della biodiversità e la desertificazione. Questi interagiscono con variabili di natura socio-economica, influenzando la decisione da parte delle persone di migrare o meno. Ciascuno dei processi sopra elencati va comunque considerato alla luce di una specifica situazione e contestualizzato rispetto ad una particolare area geografica. Dire che l’aumento del livello del mare ed il disboscamento impattino in egual misura su migrazioni di natura permanente sarebbe sbagliato se non si prendessero in esame altri fattori di analisi, come l’area geografica, i fattori economici, sociali e culturali della popolazione di cui si tratta.
 

Conclusioni.

L’impatto dei cambiamenti climatici sulle migrazioni non è facile da riscontrare. Come affermano molti studi, non esiste una relazione causale diretta tra gli eventi ed i processi legati all’innalzamento della temperatura terrestre e l’aumento dei fenomeni migratori. Ciò che invece può essere affermato è che gli effetti che i cambiamenti climatici hanno sui territori interagiscano con le altre variabili all’origine delle scelte migratorie delle persone. Per questo, al fine di valutare l’impatto che uno specifico fenomeno ha sui flussi intra- e inter-statali di persone, è necessario stabilire come ciascuno dei tanti eventi e processi legati ai cambiamenti climatici si leghi e che impatto abbia sul tessuto socio-economico di una determinata regione e, soprattutto, come interagisca con i fattori socio-culturali.

Fattori geopolitici, socio-economici, culturali sono le vere variabili indipendenti da prendere in considerazione. In questo senso, i fenomeni naturali legati all’aumento della temperatura terrestre possono essere interpretati come una variabile interveniente che può giocare un ruolo importante ma ancora difficile da definire.

Infine, un elemento su cui la letteratura è allineata è che a subire maggiormente gli effetti dei cambiamenti climatici siano le popolazioni più povere, le stesse che non dispongono delle risorse finanziarie necessarie per poter migrare.[18]

Sebbene sia stato dimostrato finora che non vi sia un nesso causale tra migrazioni e cambiamenti climatici, l’impatto di questi ultimi hanno sull’ambiente e sulle economie degli Stati più poveri è innegabile.

In questo senso, la Commissione Europea, gli Stati membri e la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) stanno svolgendo un ruolo primario nell’erogazione di risorse volte a limitare l’effetto dei processi ed eventi legati all’aumento della temperatura terrestre nei Paesi in via di sviluppo, soprattutto africani.

Nel solo 2017 sono stati investiti complessivamente 20,4 miliardi di euro, una cifra ingente ma necessaria per poter avviare progetti duraturi sul clima declinati su tre assi prioritari che mirino a:[19]

1) integrare i cambiamenti climatici nelle strategie nazionali dei paesi in via di sviluppo,

2) aumentare la resilienza delle popolazioni dei territori colpiti da forti stress climatici,

3) sostenere l'elaborazione e l’attuazione di strategie di adattamento e mitigazione.

Se l’Unione europea vorrà continuare ad essere il leader globale su clima ed energia è importante che non smetta di allocare risorse finanziare, anche nel lungo periodo, per supportare tali politiche ambientali.


[1] Agenzia Europea dell’Ambiente, Cambiamenti climatici e acqua. Oceani più caldi, inondazioni e siccità (2019), https://www.eea.europa.eu/it/segnali/segnali-2018/articoli/cambiamenti-climatici-e-acqua-2014.

[2] International Organization for Migration, Migration and climate change (2008), https://www.iom.int/news/iom-migration-research-series-no-31-migration-and-climate-change.

[3] L. Bagnoli e L. Bordrero, Le rotte e i costi delle migrazioni, Corriere della Sera, 14 settembre 2017.

[4] Ibidem.

[5] World Bank, Assessing the impact of climate change on migration and conflicts (2008), https://siteresources.worldbank.org/EXTSOCIALDEVELOPMENT/Resources/SDCCWorkingPaper_Migrat (pdf).

[6] World Bank, Poverty and shared prosperity 2018 (2018), https://www.worldbank.org/en/publication/poverty-and-shared-prosperity.

[7] Ministero dell’Interno, Sbarchi e accoglienza dei migranti: tutti i dati (2019), https://www.interno.gov.it/it/sala-stampa/dati-e-statistiche/sbarchi-e-accoglienza-dei-migranti-tutti-i-dati.

[8] UNHCR, Operational portal. Refugee situation (2019), https://data2.unhcr.org/en/situations/mediterranean.

[9] International Organization for Migration, Migration and climate change, op. cit..

[10] D.R. Kniveton, C.D. Smith, R. Black, Emerging migration flows in a changing climate in dryland Africa, Nature Climate Change, 2 (2012), pp. 444–447, https://www.nature.com/articles/nclimate1447.

[11] Agenzia Europea dell’Ambiente, Cambiamenti climatici e acqua…, op. cit..

[12] M.G. Midulla, A. Stocchiero, Migrazioni e cambiamento climatico (2015), Brief a cura di Cespi, Focsiv e WWF Italia, http://www.focsiv.it/wp-content/uploads/2015/10/WWF-Report.pdf.

[13] FAO, Migration agriculture and climate change (2017), http://www.fao.org/3/I8297EN/i8297en.pdf.

[14] International Organization for Migration, Climate change and migration in vulnerable countries (2019), https://publications.iom.int/books/climate-change-and-migration-vulnerable-countries

[15] C. Vatana, Perché le persone emigrano? (2019), Mondopoli, http://www.mondopoli.it/2019/04/04/perche-le-persone-migrano-i-fenomeni-migratori-tra-mito-e-realta/.

[16] FAO, Migration agriculture and climate change, op. cit..

[17] International Organization for Migration, Climate change and migration in vulnerable countries, op. cit..

[18] M. Borderon, P. Sakdapolrak, R. Muttarak, E. Kebede, R. Pagogna, E. Sporer, Migration influenced by environmental change in Africa: A systematic review of empirical evidence, Demographic Research, 41 (2019), pp. 491-544, https://www.demographic-research.org/volumes/vol41/18/default.htm.

[19] Commissione Europea, Finanziamenti internazionali per il clima (2019), https://ec.europa.eu/clima/policies/international/finance_it.

 

 

 

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