IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno LXIII, 2021, Numero 1, Pagina 30

 

 

Per una politica europea
di unificazione mondiale

 

ALFONSO SABATINO

 

 

1. I concetti di “fortuna” e di “virtù” di Machiavelli e il loro intervento nel processo europeo dato l’equilibrio internazionale postbellico.

Per impostare una strategia adeguata di uscita dalla crisi dell’ordine internazionale occorre fare riferimento ai concetti di “fortuna” e di “virtù” già richiamati da Machiavelli nel capitolo 25 de Il Principe, verificare il loro intervento nel processo di costruzione europea e valutare quali fattori possono portare a configurare un nuovo ordine internazionale fondato sulla pace e sull’emergenza ambientale.

Se si riflette sull’avvio del processo europeo, occorre riconoscere, nella sua genesi, la presenza sia della “fortuna” che della “virtù” indicate da Machiavelli. Infatti la “fortuna”, dopo le due devastanti guerre mondiali dello scorso secolo, era espressa dalla affermazione della divisione bipolare del potere mondiale. La virtù, a sua volta, si manifestò con la Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 e con la rivendicazione democratica del processo, espressa da Spinelli e dal Movimento federalista europeo, da lui fondato. La divisione mondiale bipolare poggiava, dato l’esito della II Guerra mondiale, sulle ragion di Stato delle due grandi potenze vincitrici (USA e URSS) e soprattutto sulle dilaganti forze dell’industrializzazione per cui con la seconda rivoluzione industriale, nel corso del XIX secolo (elettricità, chimica, motore a combustione interna e, soprattutto, tecnologie della  produzione di massa) era entrato in crisi il modello di sviluppo del sistema europeo delle potenze nazionali con l’affermazione delle economie extraeuropee di dimensione continentale.

Gli USA e l’URSS divennero protagonisti della divisione bipolare mondiale dopo la II Guerra mondiale, con una differenza di fondo che condizionerà le rispettive ragioni di Stato. Gli USA avevano iniziato a industrializzarsi nel corso del XIX secolo e avevano bisogno di esportare una parte della loro produzione non assorbibile dal mercato interno; l’URSS, al contrario, era l’erede dell’Impero zarista che aveva avviato la propria industrializzazione solo agli inizi del secolo XX, dopo la sconfitta subita dal Giappone nel 1905.
 

2. La Ragion di Stato dell’URSS.

Lo stalinismo, dietro il velo ideologico della costruzione del socialismo, in realtà, portava avanti, a ritmo accelerato, con i piani quinquennali, un processo di industrializzazione militare a fini difensivi, sottolineando la continuità con le strategie di sviluppo (fondate sull’imperativo del passaggio da un’economia prevalentemente agricola a un’economia industriale) dei ministri zaristi Stolypin e Witte, al potere dopo la sconfitta subita ad opera del Giappone nel 1905.

Tuttavia, il problema dell’industrializzazione dell’URSS rimase al centro della ragion di Stato moscovita, come fu evidenziato dallo scontro tra Stalin e Trotzkij sulla scelta tra il consolidamento della rivoluzione socialista in un solo paese, ovvero l’industrializzazione dell’URSS, e la diffusione mondiale della rivoluzione, che, a ragione, avrebbe esposto l’URSS alle reazioni del capitalismo mondiale.

Il Giappone, primo tra le potenze non europee, aveva compreso le ragioni e la forza del colonialismo occidentale (individuati, al tempo, nell’industrializzazione, nella ristrettezza dei mercati nazionali, nella necessità di vasti mercati protetti: il cosiddetto “spazio vitale”) e aveva avviato la propria industrializzazione ai fini della propria indipendenza e della sua possibile espansione in Asia orientale per disporre di un ampio mercato protetto e accedere alle materie prime necessarie per la propria economia. Il Giappone seguiva, in questo, il modello di sviluppo economico, diretto dallo Stato, della Germania guglielmina. La sua lezione fece scuola nell’Impero zarista, ma il ritardo dei progetti di industrializzazione, gli ostacoli politici interni alle necessarie riforme e la partecipazione alla I Guerra mondiale, non riuscirono a impedire la rivoluzione del 1917. Infatti la sconfitta zarista del l905, ad opera del Giappone, è stata sempre sottovalutata in Occidente, ma non a Mosca, dove nel 1939, dopo l’attacco giapponese e del Manciukuò, la Manciuria allora controllata dai giapponesi, alla Mongolia, i sovietici insistettero con la Germania nazista per stipulare il patto Molotov-Ribbentropp il 23 agosto 1939 che assicurava la pace ad occidente e altri vantaggi per Mosca.

Oltre che rimandare lo scontro con la Germania, il patto assicurava all’URSS molti vantaggi territoriali (la spartizione della Polonia, i Paesi Baltici, la Moldovia, la Bessarabia), conquiste poi mantenute dopo la II Guerra mondiale. La Germania riceveva in cambio forniture di materie prime e di alimentari per essa essenziali per sostenere il confronto con il Regno Unito. Nel 1941, poi la Germania attaccò l’URSS poiché le forniture sovietiche erano state volutamente ridotte da Mosca e Hitler riteneva di poter risolvere il conflitto in breve tempo, sbagliando di grosso, e senza coordinarsi con il Giappone. Il conflitto mongolo-giapponese terminò con la vittoria sovietica del generale Zukov (poi vittorioso a Berlino) che accerchiò, con i carri armati, la sesta armata giapponese, costringendola alla resa. I giapponesi, dopo la sconfitta, già impegnati in Cina, preferirono attaccare il sud-est asiatico e l’Indonesia, poco difesi, per accedere alle risorse petrolifere dell’area.

La vittoria giapponese del 1905 sull’impero zarista e quella sovietica del 1939, che arrestò l’espansionismo giapponese in Asia centro-settentrionale, sono fatti poco considerati in occidente, ma sono decisivi per capire lo svolgimento e l’esito della II Guerra mondiale. L’URSS ha potuto resistere all’invasione tedesca e vincere la guerra, perché non era impegnata contro il Giappone. Non bisogna dimenticare il ruolo avuto dalla spia tedesca, ma comunista, a Tokio, il famigerato agente Richard Sorge, che informò Stalin che il Giappone non avrebbe attaccato, permettendo a Stalin di ritirare in tempo truppe dalla Siberia per evitare la caduta di Mosca a dicembre 1941.
 

3. La Ragion di Stato USA.

In questo quadro evolutivo extraeuropeo, gli Stati Uniti svilupparono una ragion di Stato rivolta ad egemonizzare i mercati internazionali e assicurare il loro libero accesso. Questa scelta, già formulata agli inizi del secolo XX, poté materializzarsi solo successivamente con la II Guaerra mondiale, dopo che l’amministrazione Roosevelt, con il New Deal e il rafforzamento del governo federale, aveva posto le basi per il rilancio della politica internazionale del paese. La manifestazione palese della nuova politica internazionale degli Stati Uniti si trova, infatti, nella Carta atlantica.[1] Il documento concordato il 14 agosto 1941 dal presidente USA Franklin D. Roosevelt con il premier inglese Winston Churchill, il quale aveva bisogno dell’aiuto americano per resistere all’offensiva nazista. Nella Carta atlantica vennero poste le basi per la costruzione di un ordine internazionale liberoscambista postbellico fondato sul libero accesso di tutti i paesi al mercato internazionale. Ovviamente ciò significava la fine del colonialismo, che era stato alla base della crisi degli anni ‘30 negli Stati Uniti d’America e nel mondo, a causa della introduzione da parte di Londra, ormai potenza in declino, della tariffa imperiale, fortemente protezionista dei commerci all’interno dell’Impero britannico e all’origine della diffusione mondiale dell’involuzione protezionistica, che limitava l’accesso USA ai principali mercati mondiali.[2]

La Carta Atlantica costituì poi la base per la Dichiarazione di San Francisco che portò alla nascita dell’ONU. Il disegno USA, di organizzare la sicurezza e l’economia mondiale sulla base delle proprie necessità, fu poi completato nel 1944 dalla Conferenza di Bretton Woods, che pose le basi per il regime monetario internazionale, ancorato al dollaro, e nel 1947 dalla Conferenza dell’Avana che portò alla costituzione del GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) e quindi al processo mondiale di liberalizzazione degli scambi. Va a questo punto sottolineato che gli Stati Uniti d’America, al tempo, posero le basi per la costruzione delle prime istituzioni di governo mondiale sovranazionale: ONU, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale.
 

4. La divisone bipolare del mondo.

Il disegno USA di egemonizzare l’economia mondiale, cozzava necessariamente con la ragion di Stato dell’URSS. L’URSS, nel secondo dopoguerra, aveva l’obiettivo primario di ricostruire il proprio apparato industriale, andato ampiamente distrutto dall’invasione nazista, e di condurre a termine, e in sicurezza, il proprio processo di industrializzazione militare interrotto dalla guerra. Mosca non poteva condividere l’apertura al commercio internazionale che avrebbe comportato una sua dipendenza da Washington. Ciò spiega l’obiettivo sovietico di isolarsi e di portare il più lontano possibile da Mosca i confini della propria sfera egemonica, realizzata a caro prezzo con la vittoria sulla Germania nazista, istaurando nell’Europa centro-orientale una cintura di regimi satelliti strettamente controllati, organizzati poi nel Patto di Varsavia (la cortina di ferro), e, sul piano interno, realizzando una rigida repressione del dissenso.

Le relazioni USA-URSS, a conclusione della II Guerra mondiale, pertanto, non potevano che essere conflittuali. Da parte sovietica, pur essendo al tempo coscienti del monopolio atomico degli Stati Uniti, furono fatti dei tentativi per espandere la propria sfera di influenza, per eliminare la presenza occidentale a Berlino e sondare il livello della risposta statunitense (vedi il blocco delle comunicazioni terrestri occidentali con Berlino ovest), al quale rispose la mobilitazione logistica USA (ponte aereo di rifornimenti) che aggirò il blocco terrestre senza ricorrere ad interventi militari. A seguito della mobilitazione USA, l’URSS si rese conto che, in un eventuale conflitto diretto, gli USA, al di là del loro monopolio atomico, avrebbero avuto una maggiore capacità di resistenza. Ma anche da parte americana si volle evitare uno scontro militare diretto a ridosso della conclusione del secondo conflitto mondiale, che, per la stanchezza delle popolazioni, non avrebbe trovato sufficiente supporto popolare negli USA e all’interno della propria sfera di influenza, ancora poco consolidata, data la guerra civile in corso in Grecia e la presenza di un forte partito comunista in Italia. Tuttavia, la risposta statunitense si concretizzò in modo evolutivo con la costituzione dell’Alleanza Atlantica (e della NATO) e con il lancio del piano Marshall. Entrambe le iniziative erano dirette a consolidare la sfera di influenza statunitense e furono alla base del nuovo corso della storia europea, fondato sulla indotta e necessaria riconciliazione franco-tedesca, sotto l’ombrello protettivo statunitense, e sull’avvio successivo del processo di costruzione europea.
  

5. L’assestamento dopo la II Guerra mondiale, l’indipendenza della Cina e la distensione.

La guerra in Corea, rivolta a eliminare la presenza statunitense sulla terraferma asiatica, per l’URSS una minaccia costante, e a sondare il livello di risposta americana in estremo oriente, e la conquista maoista del potere in Cina appartengono, più propriamente, alla fase di assestamento che seguì la II GM, anche se al tempo furono interpretati in occidente come tentativi di espansione del comunismo. In realtà, la vittoria nel 1949 di Mao Tse dong sulle forze di Chiang Kai shek non può essere considerata pienamente una espansione del comunismo. Nel 1949, la Cina riconquistò la propria indipendenza dalle influenze straniere, ponendo fine a quello che i cinesi chiamano “il secolo della vergogna”, 100 anni di ripetuti tentativi coloniali occidentali (compresa la guerra dell’oppio). In verità la vittoria di Mao non fu la vittoria del comunismo sulla democrazia, in quanto il generale Chiang Kai shek era un autocrate sostenuto dagli americani, quindi portatore di una soluzione coloniale. Inoltre, non tutti i seguaci di Mao erano comunisti, come Chou En lai, per anni primo ministro della Repubblica popolare cinese e Lin Piao, poi annoverato nella “banda dei quattro” dopo la Rivoluzione culturale maoista. Questi personaggi erano dei nazionalisti, sostenitori dell’indipendenza cinese dalle influenze straniere, che si erano alleati a Mao durante il suo confronto con Chiang Kai shek e la resistenza all’invasione giapponese. In ogni modo la Rivoluzione culturale rappresentò il canto del cigno del disastroso comunismo maoista che aveva solo peggiorato le condizioni di sviluppo del paese. Morto Mao nel 1976, nel 1978 il suo successore Deng Xiaoping avviò le riforme che in meno di cinquant’anni hanno permesso alla Cina di diventare la seconda potenza economica mondiale, e in un futuro ormai prossimo, la prima potenza per livello di PIL.

Acquistata nel 1950 la parità atomica da parte dell’URSS, le due grandi potenze si aprirono alla distensione, organizzando tacitamente le regole del gioco della “Guerra fredda” nel quadro dell’equilibrio nucleare mondiale e nel rispetto delle reciproche sfere di influenza, (Vedi la rimozione statunitense nel 1951 del generale Mac Arthur  dal comando delle forze in Corea — sembra che volesse usare l’arma atomica e attaccare la Cina, con il rischio di accendere un conflitto atomico con l’Unione Sovietica — e vedi, inoltre, nel 1956 il mancato intervento occidentale nella rivolta ungherese e l’ingiunzione di Washington a Francia e Regno Unito di ritirarsi dopo il loro intervento a Suez, che può essere considerato il segnale della fine del colonialismo). Ai margini della divisione bipolare del mondo si sviluppò il movimento degli “Stati non allineati”, guidato dalla Yugoslavia di Tito, dall’Egitto di Nasser, dall’India di Nehru, e dall’Indonesia di Sukarno. Tuttavia questo movimento non incise sul quadro di potere mondiale e progressivamente scomparve con la morte dei suoi protagonisti e l’avvento del processo di decolonizzazione. A causa della decolonizzazione, negli anni Sessanta del secolo sorso, si aprì un nuovo teatro di confronto bipolare in Africa e in Asia a seguito del tentativo delle due grandi potenze di attrarre nella propria area di influenza i nuovi Stati che accedevano all’indipendenza.
  

6. L’avvio del processo europeo.

Ora se la pressione dell’URSS sull’Europa occidentale, lo scoppio della guerra in Corea e la conquista maoista del potere in Cina, posero il problema della ricostruzione dell’apparato industriale tedesco-occidentale per organizzare una barriera contro le pressioni espansionistiche comuniste, e possono costituire i fattori della “fortuna” machiavellica che ha permesso l’avvio del processo di costruzione europea, va aggiunto che tale processo non si sarebbe avviato senza la “virtù” della proposta Monnet-Schuman di realizzare la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), quale primo passo del processo di costruzione europea. Allo stesso modo, alcuni anni dopo, non sarebbe nata la Comunità economica europea (Mercato europeo comune e, quindi, disporre delle risorse da destinare alla costruzione del suo armamento nucleare (da un lato) e al bisogno della Germania occidentale (dall’altro lato) di ancorarsi, per la sua ricostruzione economica, politica e morale, dopo l’esperienza nazista, al sistema di alleanze democratiche occidentali (riconciliazione franco-tedesca sotto l’ombrello NATO, convergenza delle ragion di Stato e affermazione dell’asse franco tedesco come motore del processo europeo).

Occorre a questo punto aggiungere un elemento importante che ha segnato un fattore decisivo di svolta nell’avanzamento del processo inceppatosi per la crisi valutaria della fine degli anni sessanta, che ha permesso il rilancio europeo dopo la crisi petrolifera del 1972, e costituisce ancora oggi un fattore di spinta del processo di costruzione europea in presenza della crisi generata dalla pandemia Covid-19. Si tratta della rivendicazione democratica per l’avanzamento del processo europeo introdotta da Spinelli con il suo Manifesto di Ventotene (Manifesto per l’Europa libera e unita) e la fondazione del Movimento federalista europeo. Infatti, il processo di costruzione europea, entrato in stasi dopo il completamento del Mercato comune e la crisi del dollaro, alla fine degli anni sessanta, si sbloccò nel dicembre 1975, con la decisione, presa al vertice di Roma, sull’elezione diretta del Parlamento europeo (PE). Va ricordato che nel 1967 il MFE aveva lanciato in Italia l’“Iniziativa legislativa popolare per l’elezione diretta della delegazione italiana all’Assemblea parlamentare europea” (questo il nome all’epoca del Parlamento europeo). L’iniziativa italiana trovò seguito in iniziative parlamentari in Francia (ad opera di Mitterrand) e in Belgio. Oggi, a oltre quaranta anni dalla prima elezione diretta del Parlamento europeo, quindi della prima esperienza di democrazia sovranazionale, è significativo che la Commissione europea si coordini con il Parlamento di Strasburgo per sostenere i suoi piani di governo dell’economia rivolti a superare la crisi economica e sanitaria del Covid-19 (Vedi intervento al PE del 27 maggio 2020 della Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, per la presentazione del nuovo Quadro finanziario Pluriennale 2021-2028 e del piano di rinascita “Next Generation EU”, sostenuto da emissioni di debito pubblico a carico delle istituzioni europee per 750 miliardi di euro). Ciò significa che il quadro istituzionale europeo sta assumendo, all’interno, una connotazione sovranazionale federale capace di influire, all’esterno, sulle vicende mondiali, come avvenne negli anni Settanta del secolo scorso.

Infatti, dopo il vertice di Roma del 1975, queste spinte si manifestarono immediatamente, Si aprì una stagione di grandi avanzamenti istituzionali e politici, vedi l’iniziativa Spinelli (eletto nel 1979 al Parlamento europeo) sul Trattato costituzionale, la ratifica dell’Atto unico europeo (che introdusse il voto a maggioranza per il completamento del mercato unico), il rilancio del processo di unificazione monetaria dell’Europa, grazie all’iniziativa del presidente francese Giscard d’Estaing e del cancelliere tedesco Schmidt per la creazione dello SME al fine di rinsaldare i legami tra le monete europee, essenziali per il funzionamento del mercato unico europeo che si voleva completare nel 1992, e sottrarle, in tal modo, alle influenze dei comportamenti erratici del dollaro USA. Infatti, alle spinte svalutative del dollaro USA del tempo, dovute al finanziamento monetario della loro guerra in Vietnam, rispondeva una rivalutazione competitiva del Deutsche Mark e una svalutazione altrettanto competitiva del Franco francese e della Lira italiana, con la conseguente alterazione delle ragioni di scambio nel Mercato comune europeo.

L’attrazione che il processo europeo ebbe sulle forze democratiche di opposizione nei paesi dell’Europa centro orientale (satelliti dell’URSS), alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, pose le premesse per la caduta del muro di Berlino, per la riunificazione tedesca, per la nascita dell’Unione europea (Trattato di Maastricht), per la nascita dell’euro e dell’Unione monetaria europea (UEM), per lo scioglimento dell’Unione Sovietica e per l’allargamento dell’UE ai paesi dell’Europa centro-orientale, già appartenenti al Patto di Varsavia. Queste considerazioni permettono di porre in secondo piano, tra le cause della crisi sovietica, la pressione su Mosca del riarmo statunitense promosso dal Presidente USA Donald Reagan. Senza il processo europeo, che indicava la costruzione di un nuovo ordine internazionale, fondato su rapporti internazionali pacifici condivisi, l’URSS avrebbe reagito al riarmo americano con un ritorno allo stalinismo, opzione realmente considerata al Cremlino prima dell’avvento al potere di Michail Gorbacev, che invece fu portatore del progetto della “Casa comune” europea. Va ricordato che all’epoca, il premio Nobel russo Andrej Sacharov affermò che l’Unione europea era “il motore e il modello dell’unificazione mondiale”.
  

7. Le nuove opportunità di sviluppo europeo e mondiale; la fortuna e la virtù necessarie.

Le nuove opportunità di sviluppo europeo sono offerte dal piano Next Generation EU, presentato al Parlamento europeo il 27 maggio 2020 dalla presidente della Commissione europea, e approvato dal Consiglio europeo, riunito a Bruxelles, dal 17 al 21 luglio. La “fortuna”, in senso machiavellico, nelle presenti circostanze che sottolineano la raggiunta interdipendenza mondiale, è rappresentata dall’emergenza climatica e da quella sanitaria, espressa dalla pandemia Covid 19. La “virtù”, a sua volta, è data dalle proposte della Presidente della Commissione che rafforzano l’impegno europeo per superare la crisi Covid-19 e quella ambientale e invitano a concepire una svolta nelle relazioni esterne UE (ruolo mondiale geopolitico dell’UE) e per il suo sviluppo interno (affermazione di poteri di governo federali in ambito UE).

La svolta nelle relazioni esterne dell’UE è ravvisabile nella gestione del prelievo alle frontiere sul contenuto di carbonio delle merci importate nell’UE (carbon tax). Sul punto valgono le osservazioni dell’economista anglo-americano Kenneth Rogoff[3], il quale argomenta che nei paesi in sviluppo le centrali termoelettriche hanno attualmente un’età media di 12 anni, su una durata media di 50 anni, evidenziando un costo elevato per la loro conversione energetica imposta dalla politica UE (introduzione della carbon tax penalizzante le loro esportazioni verso l’UE). Se l’UE devolvesse, in tutto o significativamente, il gettito della sua “carbon tax” a beneficio della conversione energetica dei paesi in sviluppo acquisterebbe una posizione di leadership mondiale per la fondazione di un nuovo ordine mondiale “ambientale”, con la stessa influenza mondiale che ebbe la Carta Atlantica.

Pertanto, sarà decisiva la posizione del Parlamento europeo sul progetto presentato dalla Commissione. Infine, va anche considerato che anche il piano europeo di rilancio dell’economia Next generation UE può diventare un modello mondiale di gestione della crisi economica mondiale generata dalla pandemia Covid-19 e della conversione ambientale, poiché molti Stati nel mondo potrebbero essere colpiti dalle devastanti e diffuse conseguenze economiche, generate da entrambe.

Per superare le dette sfide, è necessaria la cooperazione tra Cina, USA e UE per attivare le possibilità di intervento anche del Fondo Monetario Internazionale (FMI), con emissione di prestiti in DSP (Diritti Speciali di Prelievo) a favore dei paesi in crisi, valorizzando, in tal modo, e attualizzando il ruolo dell’istituzione monetaria mondiale creata nel 1944 a Bretton Woods. Ma è assolutamente necessaria, a tal fine, l’unificazione delle quote dei paesi euro presso il FMI e l’indipendenza strategica internazionale dell’UE per modificare i rapporti di forza internazionali e i regolamenti del Fondo. L’UE, alleata con l’Unione euroasiarica e l’Unione africana, può assolutamente condurre un’iniziativa di mediazione tra USA e Cina, per la creazione di nuove istituzioni e strumenti di Governo mondiale, per la trasformazione del FMI in uno strumento di governo dell’economia mondiale.

In questo quadro, che certamente condizionerà i lavori della “Conferenza sul futuro dell’Europa”, e le conseguenti riforme istituzionali, diventerà di primaria importanza la mobilitazione dell’Italia a favore di nuovi rapporti nel Mediterraneo, rivalutando l’iniziativa dell’UPM, e sostenendo attivamente la cooperazione tra l’Unione Europea e l’Unione africana. Italia, Grecia, Spagna, Malta e Cipro possono diventare protagoniste di un rilancio mediterraneo, e specificatamente del Mezzogiorno, qualora gestissero piani coordinati di sviluppo per migliorare le relazioni con il Medio Oriente e l’Africa. Ma non solo. Potrebbero addirittura essere protagoniste di una coraggiosa iniziativa di costruzione delle nuove istituzioni di governo mondiale, a iniziare dalla moneta e dal credito.


[1] https://www.lasecondaguerramondiale.com/la-carta-atlantica.

[2] L’Inghilterra degli anni Trenta riprendeva le tematiche della “tariff reform campaign” di J. Chamberlain. Nell’estate 1932 si tenne la Conferenza economica imperiale di Ottawa, che deliberò l’introduzione di una tariffa doganale protettiva e un regime di preferenza doganale a favore dei Dominions britannici. Vennero anche introdotti controlli sulle esportazioni di capitali, da cui conseguì una caduta del livello del commercio internazionale, Cfr. https://en.wikipedia.org/wiki/British_Empire_Economic_Conference.

[3] Cfr: Kenneth Rogoff, A Fairer Way to Help Developing Economies Decarbonize, Project Syndicate, 6 Jan. 2021, https://www.project-syndicate.org/commentary/developing-economies-decarbonization-taxes-financial-aid-by-kenneth-rogoff-2021-01.

 

 

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