IL FEDERALISTA

rivista di politica

 

Anno XXII, 1980, Numero 3, Pagina 179

 

 

RAPPORTO DI MARIO ALBERTINI
AL COMITATO FEDERALE DELL’UEF DEL 28-29 GIUGNO 1980
 
 
1. Il Bureau exécutif ha preso in esame il problema dell’azione dell’UEF nel quadro della situazione attuale dell’Europa e sulla base dei risultati del Congresso di Strasburgo. Schöndube ha osservato che dovremmo ormai concentrare la nostra azione e la nostra propaganda sul tema del governo europeo, così come abbiamo fatto nel passato per il voto europeo. Io credo che egli abbia ragione, quindi vorrei proporvi di discutere questa prospettiva in questa sessione del Comitato federale. Naturalmente essa non significa che noi dovremmo occuparci solo del governo europeo. Noi dobbiamo occuparci dei problemi politici, economici e sociali dell’Europa nel contesto mondiale che abbiamo definito a Strasburgo, ma facendo constatare ogni volta che essi non possono essere risolti in modo efficace, e spesso non possono nemmeno essere affrontati, senza un governo europeo.
2. La principale obiezione che si presenta è che un governo europeo sarebbe attualmente impossibile. Noi dovremmo replicare che un governo europeo non era parso impossibile nel 1951 ad Adenauer, De Gasperi, Schuman e Spaak quando essi decisero di affidare all’Assemblea ad hoc il compito di redigere lo statuto della Comunità politica (che comportava ovviamente un governo europeo), anche se allora non c’era né l’attuale grado di integrazione economica, né un parlamento eletto direttamente dal popolo europeo. E dovremmo inoltre far presente che l’opinione secondo la quale la creazione di un governo europeo sarebbe impossibile — o, al contrario, possibile — dipende in primo luogo dal tipo di azione cui si pensa per conseguire un obiettivo di questo genere. In effetti, se si ritiene che questo compito spetti ai governi nazionali (col Consiglio europeo, ecc.), e si basi pertanto sull’intervento e su progetti di «saggi», di diplomatici e di burocrati, la cosa risulta manifestamente impossibile. Se si crede invece (come i grandi europei che ho ricordato) che il progetto debba in ogni caso essere elaborato dal parlamento europeo, e dar luogo ad un pubblico dibattito per far entrare in campo tutte le forze interessate, l’opinione pubblica europea e quella mondiale, allora la cosa risulta possibile perché in questo caso non si è messi subito fuori gioco, e si può procedere gradualmente verso l’obiettivo. In fondo si tratta di riconoscere una verità elementare. Il governo europeo è un problema costituzionale. Esso può pertanto essere risolto, in ultima istanza, solo da chi detiene il potere costituzionale, il popolo, sia mediante i suoi rappresentanti, sia direttamente con il referendum (sulla base di progetti costituzionali del Parlamento europeo).
3. La questione del governo europeo è attuale e urgente, indipendentemente dal tempo necessario per risolvere un problema di questo genere, anche perché solo con l’idea di questo punto di arrivo si riesce a capire che cosa può fare, e quale via deve percorrere sin da ora la Comunità. Bisogna tener presente che se è vero che la Comunità non ottiene ancora risultati efficaci nel campo della politica economica e monetaria (per questo i rapporti col Regno Unito sono complessi, l’allargamento è difficile, la società europea è squilibrata ecc.), è anche vero che una politica economica europea nel senso autentico del termine è possibile solo con un governo europeo. Noi dobbiamo spiegare pazientemente questo aspetto della situazione, e far osservare che se si chiede alla Comunità (come è giusto e inevitabile, specie dopo il voto europeo) di affrontare le questioni dell’energia, dell’occupazione, dell’inflazione, della riconversione industriale ecc., ma non si fa nulla nel contempo per creare il mezzo indispensabile per questi scopi, un governo europeo, si provoca la sfiducia nell’idea stessa dell’Europa. E non basta. Dobbiamo inoltre far osservare che come abbiamo avuto il diritto di voto europeo, così dipende da noi ottenere la creazione di un governo europeo. Pochi si sono battuti per il voto europeo, quando non ci credeva quasi più nessuno. Ma hanno vinto, perché non era possibile dire per sempre no ad una richiesta così legittima. La stessa considerazione vale per il governo europeo. Non è possibile trattare eternamente gli europei come dei minori, che possono votare ma non possono, col voto, scegliere il governo. A questo riguardo l’UEF deve prendere l’iniziativa. Nel passato l’UEF ha agito efficacemente perché ha posto a tutti i partiti, a tutti i governi e a tutti i cittadini il problema del voto europeo, e dell’impossibilità di proseguire nella costruzione dell’Europa senza il voto dei cittadini. Da ora in poi, e sino al conseguimento dello scopo, l’UEF deve porre a tutti i partiti, a tutti i governi, ai sindacati, ai cittadini, la questione del governo europeo, e dell’impossibilità di risolvere i problemi che hanno dimensione soprannazionale senza un governo europeo.
4. Per battersi efficacemente per un governo europeo bisogna saper parlare delle sue competenze e della sua forma. Circa le sue competenze, vale il criterio seguente: bisogna attribuire al governo europeo le competenze che gli consentano di agire dove è necessaria una presenza dell’Europa, sia nel campo della politica interna sia in quello della politica estera. Per quanto riguarda la politica interna, abbiamo fatto capire a molte persone che la convergenza delle politiche economiche nazionali e la riduzione degli squilibri regionali non sono possibili senza la moneta europea e un bilancio europeo non inferiore al 2,5% del prodotto lordo europeo (rapporto Mac Dougall). Abbiamo inoltre mostrato che solo a questo punto la Comunità acquisterebbe di fatto, e non solo di diritto, la capacità di agire non solo nel campo agricolo, ma anche in quelli industriale, regionale e sociale. Queste opinioni si manifestano ormai nello stesso Parlamento europeo. Adesso si tratta dunque di far capire che senza un governo europeo — cioè senza l’autorità democratica indispensabile per funzioni di questo genere — non avremo mai una moneta europea e un bilancio europeo di questa dimensione. D’altra parte, per quanto riguarda la politica estera, noi dobbiamo ormai far capire che non si può creare un governo europeo senza creare una difesa europea autonoma, cioè non dipendente dagli USA e non bisognosa della loro protezione. Va osservato che ciò corrisponde alla soluzione di uno dei maggiori problemi della politica mondiale. Solo sulla base dell’indipendenza europea, e della equal partnership, l’Europa e l’America ritroveranno la solidarietà e lo spirito con il quale affrontarono insieme, in anni ormai lontani, la sfida del futuro. Ne segue che solo con questa prospettiva noi potremo mobilitare a favore del governo europeo le forze che sanno che esiste una crisi dei rapporti fra il popolo europeo e il popolo americano; che vogliono superare questa crisi mediante il cambiamento del rapporto Nord Sud a favore del Terzo mondo, e che cominciano a capire che la crisi dei rapporti fra gli USA e l’Europa continuerà ad aggravarsi fino a che gli europei si affideranno alla protezione americana — diventando sempre più irresponsabili — e gli americani saranno costretti a battersi per il primato mondiale — diventando sempre più nazionalisti.
5. Per quanto riguarda la forma del governo europeo, alcune questioni sono già chiare. Si tratta di fare un governo federale, cioè un governo con competenze definite e limitate, e quindi sottoposto non solo al controllo politico del Parlamento europeo, ma anche a quello costituzionale della Corte di giustizia e dei tribunali (bisognerà ricordare che col federalismo si realizza la difesa giuridica dell’indipendenza sia del governo comune, sia del governo degli Stati associati). Bisogna però tener presente che non si può progettare un governo democratico europeo sulla base dei modelli del passato, e senza tener presente la crisi dello Stato democratico che si manifesta in tutti i paesi, anche se con modi diversi e con diversa gravità. Ciò che dobbiamo far capire, è che la creazione di un governo europeo costituisce proprio l’occasione storica (in quanto tale non ripetibile), per affrontare teoricamente e praticamente il problema della crisi dello Stato democratico. A livello europeo non si tratta in effetti di creare un altro Stato-provvidenza (che ha avuto il merito di promuovere la giustizia sociale, ma presenta il difetto sia della degenerazione corporativa della lotta politica e delle istituzioni, sia del ripiegamento di ogni paese su se stesso), ma di correggere i limiti corporativi dello Stato nazionale con una politica europea motivata solo dai problemi dell’indirizzo economico globale e dal trasferimento di risorse indispensabile solo a questo fine. In questo contesto d’azione, e con un governo basato più sull’interesse generale che sulla somma degli interessi corporativi, si potrebbe finalmente cercare di promuovere la formazione della volontà generale indispensabile per costruire l’economia e la società dell’epoca post-industriale, e per dare un contributo effettivo alla pace del mondo e alla giustizia internazionale. Bisogna dunque non solo battersi per il governo europeo, ma iniziare un grande dibattito sul nuovo modello politico sociale — oggi per l’Europa, domani per il mondo — in modo da associare alla costruzione dell’Europa le forze vive della società e la gioventù europea.

 

 

 

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